venerdì 2 maggio 2014

Tracy Chevalier, "La dama e l'unicorno" ed. 2004

                                                         painting fiction
                                                         il libro ritrovato

L’amore in un arazzo
Tracy Chevalier, “La dama e l’unicorno”
Ed. Neri Pozza, trad. Massimo Ortelio, Euro 15,50


Un arazzo , il segno esteriore dell’importanza e della ricchezza di una famiglia, una maniera fastosa per rivestire, riscaldare e illuminare le pareti di una stanza, una storia intessuta da tramandare alle altre generazioni, lo specchio di altre storie vissute, delle vite dei personaggi che sono lì raffigurati. C’è un arazzo al centro dell’ultimo libro di Tracy Chevalier, “La dama e l’unicorno”, e ancora una volta, come già ne “La ragazza con l’orecchino di perla”, l’autrice riesce a operare una sorta di magia, a tessere lei stessa un arazzo di parole, a farci entrare nel quadro che stiamo guardando. Da un giorno di Quaresima del 1490 alla Candelora del 1492, poco meno di due anni per il tessitore di Bruxelles Georges de la Chapelle per portare a termine i sei arazzi commissionati da Jean le Viste di Parigi. In realtà Jean le Viste avrebbe voluto delle scene di battaglia come soggetto degli arazzi; era stata sua moglie Geneviève a chiedere qualcosa di più gentile, visto che gli arazzi sarebbero stati la dote della figlia Claude. Impossibile che ci sia della malizia nel suggerimento della devota Geneviève, di rappresentare la dama e l’unicorno nei riquadri. E’ facile capire la simbologia dell’unicorno, ed è questa sessualità celata, accennata e trionfante, questo erotismo elegante che diventa il filo conduttore delle storie vissute a Parigi e Bruxelles, fuori e dentro l’arazzo. Il pittore Nicolas, sempre pronto a infilarsi sotto tutte le gonnelle senza curarsi dei figli che lascia in giro, dà le sembianze di Geneviève e di Claude a due delle grandi figure femminili, e le altre due avranno le fattezze di Christine e di Aliénor, la moglie e la figlia del tessitore belga.
Due anni di lavoro in cui due ragazze metteranno al mondo due figli di Nicolas, Claude viene mandata in convento perché non venga sedotta dal pittore, Christine si mette al telaio contravvenendo alle regole della gilda, e noi impariamo a conoscere i segreti dell’arte della tessitura, la tecnica di ingrandire i disegni sui cartoni che serviranno da modelli alla rovescia, la pazienza richiesta dallo sfondo millefleur che ha i colori e i profumi del giardino di Aliénor. Si alternano i punti di vista, della madre e figlia parigine vestite con i broccati che riappaiono negli arazzi e della madre e figlia di Bruxelles che si consumano gli occhi sul telaio (ma la dama che tiene l’unicorno in grembo ha il viso triste di Aliénor), di Nicolas il seduttore e del buon cartonista Philippe, (ma è lui che sposa Aliénor e fa da padre al figlio dell’altro). Ha una qualità pittorica, lo stile della Chevalier, e il suo romanzo ha il dono di alludere, di suggerire, di stimolare i sensi del lettore, con la sua ricchezza visiva, l’attenzione alla consistenza tattile dei tessuti, agli odori più o meno gradevoli, alla musicalità della parola.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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