mercoledì 21 maggio 2014

Sébastien Japrisot, "Una lunga domenica di passioni" ed. 2005

                                                        prima guerra mondiale
                                                        il libro ritrovato


Sébastien Japrisot, “Una lunga domenica di passioni”
Ed. Rizzoli, trad. Simona Martini Vigezzi, pagg. 279, Euro 16,00


Una domenica lunga sette anni, quella del romanzo dello scrittore francese Sébastien Japrisot, “Una lunga domenica di passioni”. E, se il titolo italiano fa pensare a passioni diverse, sentimenti d’amore ma anche di sofferenza o di odio o di generosità o di invidie e tradimenti, quello originale francese, “Una lunga domenica di fidanzamento”, lo riporta al legame che fa muovere tutta la storia, alla promessa di fedeltà tra Mathilde e Manech che viene ripetuta ogni volta che un personaggio  racconta la sua versione di quello che successe quella domenica 7 gennaio 1917. Il lettore sa subito i fatti sostanziali: il primo capitolo incomincia con “c’erano una volta cinque soldati francesi che facevano la guerra, perché il mondo va così”. Un inizio da fiaba per una realtà che è ben lontana dall’esserlo: cinque soldati si erano feriti volontariamente per essere rimandati a casa, per sfuggire al carnaio, ed erano stati condannati a qualcosa di peggio della fucilazione come traditori- sarebbero stati condotti nella striscia di terra nessuno tra le trincee nemiche e abbandonati lì, come per un tiro al bersaglio.
Alle famiglie era stato comunicato che erano morti in battaglia, tutti e cinque. Nel capitolo iniziale ogni soldato è identificato solo con il numero di matricola, dal suo modo di camminare avanzando nel fango, dal tipo di ferita che si è inferto; dopo, a poco a poco, impariamo a conoscerli con il loro nome, o meglio, con il soprannome- il generoso Eskimo e il comunista Six Sous, il piccolo criminale Droit Commun e il grigio Cet Homme, e poi Manech, chiamato il Bleuet, il “Fiordaliso”, come tutti gli ultimi arruolati, quando ci mancava poco che anche i bambini venissero mandati a combattere quella guerra disperata. Non era già più in sé, Manech il Bleuet, quando era stato scaraventato nella terra di nessuno di quella zona con un nome che ci martellerà nelle orecchie per tutto il libro, Bingo Crepuscolo (verrà spiegato alla fine questo nome che contiene l’idea del morire  della luce e della vita), si era messo a fare un pupazzo di neve, sorridendo.
A guerra finita, nel 1919, l’ufficiale che ha scortato i prigionieri, ormai molto ammalato, racconta a Mathilde di quel compito ingrato, di come avrebbe voluto lasciarli fuggire, delle ultime lettere che lui stesso aveva raccolto per inoltrarle alle famiglie. Vengono fuori altri nomi, di altre persone che hanno assistito alla scena- e Mathilde si mette sulle loro tracce, investigatrice per amore, insieme ad un investigatore triste che le offre i suoi servigi. Perché Mathilde, figura luminosa che non si arrende nonostante sia confinata su una sedia a rotelle, non vuole credere che il ragazzo con cui ha fatto l’amore a sedici anni sia morto- lei lo troverà. Leggiamo le lettere dei cinque prigionieri (e almeno un paio sembrano scritte in codice), ascoltiamo versioni diverse della domenica di passioni e di quello che è successo dopo, delle mogli, del vivandiere, di un parroco, di un altro ufficiale, della sorella di un tedesco che era nella trincea di fronte. Fino allo scioglimento finale, quando attraverso le storie dei cinque prigionieri abbiamo letto la storia della guerra con la condanna di tutte le guerre, filtrata attraverso una storia di amore.


la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos

Sébastien Japrisot

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