mercoledì 28 settembre 2022

Kader Abdolah, “Il faraone d’Olanda” ed. 2022

                                                         vento del Nord


Kader Abdolah, “Il faraone d’Olanda”

Ed. Iperborea, trad. Elisabetta Svaluto Moreolo, pagg. 286, Euro 17,50

 

    Zayed Hawass aveva perso la memoria. Aveva dimenticato tutto e non sapeva più chi era. Del suo passato ricordava solo questo nome e un segreto.

Che inizio foriero di tristezza per questo nuovo libro di Kader Abdolah che è, sì, triste, ma bello, bellissimo. Perché questa è una tristezza insita nella vita, in quello che ci può succedere e di cui nessuno è responsabile. E i pensieri, le riflessioni suscitate dall’Alzheimer mai nominato ci fanno indugiare sulle pagine, così come ci riempie di dolcezza la storia dell’amicizia tra Zayed e Abdolkarim. “Il faraone d’Olanda” è un romanzo sulla decadenza fisica e mentale causata dall’età che avanza, sull’amicizia, sulla morte (una morte che non fa paura, che ci prospetta un’altra vita nel ricordo di chi resta), sul distacco da una patria e sul diritto al ritorno nella terra dove affondano le nostre radici e dove riposerà il nostro corpo.

    Il vero nome di Zayed Hawass era Herman Raven. Alle sue spalle aveva una brillante carriera di archeologo in Egitto, aveva pubblicato libri su quel paese dove aveva vissuto e partecipato agli scavi più importanti nelle tombe dei faraoni. Tutto era stato cancellato dalla sua mente. Ricordava un solo nome, che non era quello di uno dei faraoni più noti, ma di una regina poco conosciuta, Merneith.


E il suo segreto riguardava proprio lei, Merneith, la cui mummia giaceva in un sarcofago nella sua cantina. Soltanto l’amico Abdolkarim (figlio di un restauratore di libri antichi del Cairo ed ex operaio in una ditta di lavatrici dell’Aia) ne è al corrente. Anzi, Abdolkarim ha dipinto su pannelli di legno le figure fantastiche che sorvegliano il sonno dei faraoni nelle loro tombe per poi attaccarli sulle pareti e sul soffitto della cantina- sommi sacerdoti, guardiani, giovani donne, teste di cani e di gatti, le piante del Nilo tra cui si nascondono i coccodrilli. E Ra, il dio del sole con corpo di uomo e testa di falco- uno spettacolo che lascia senza fiato il direttore del Museo Nazionale delle Antichità di Leida quando viene invitato a vedere la mummia. Perché i due amici gli hanno chiesto aiuto per realizzare il loro intento, riportare la regina Merneith in Egitto prima che per loro sia troppo tardi, prima che Zayed si smarrisca del tutto nei meandri della sua mente, prima che la Morte li sorprenda alle spalle, come dice la poesia “Il giardiniere e la morte”.

     Quello che succede da adesso in poi è una tragicommedia. Non possiamo mai ridere apertamente perché siamo rattristati nel vedere ritornare bambino un uomo che aveva raggiunto le vette del sapere, ma sorridiamo perché le disavventure dei due vecchietti sono buffe, ci inteneriamo nel leggere dell’affetto con cui Abdolkarim si prende cura dell’amico, lavandolo, allacciandogli i pantaloni dopo che questi è andato in bagno, aiutandolo a camminare- ognuno di noi vorrebbe avere un amico come Abdolkarim. E finiamo per ammirare Abdolkarim che raccoglie il testimone e, con cocciutaggine e orgoglio, porta a compimento quello che si erano prefissati, anche se deve farlo da solo, perché i coccodrilli che tormentavano Zayed in sogno avevano raggiunto il suo amico.


    Riesce a spuntarla, Abdolkarim. Non si lascia comprare da chi offre dei soldi per avere la mummia- da una parte c’è la realtà della nostra società consumista e governata dal dio denaro, dall’altra ci sono loro, i due amici di cui poi ne resta uno solo, che vogliono preservare la dignità della regina morta quattromila anni fa. “Era un uomo speciale”, dirà la figlia di Zayed che porta il nome della donna faraone, “che cercava nel profondo della terra l’oro delle civiltà passate”- e non era certo l’oro che si trasforma in soldi.

    Uno dei più bei libri dello scrittore iraniano che è rifugiato politico nei Paesi Bassi dal 1988, colorato della malinconia del tempo che passa, di nostalgia, ma anche di serenità.

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domenica 25 settembre 2022

Juhea Kim, “Come tigri nella neve” ed. 2022

                                                       Voci da mondi diversi. Corea

       la Storia nel romanzo

                   love story

Juhea Kim, “Come tigri nella neve”

Ed. Nord, trad. Emanuela Damiani, pagg. 368, Euro 18,00

 

    Più di mezzo secolo di Storia della Corea attraverso la storia di due protagonisti coreani e un ufficiale giapponese, nel romanzo di Juhea Kim, scrittrice nata in Corea ma trasferitasi con la famiglia negli Stati Uniti quando aveva nove anni.

    1917. “Come tigri nella neve” inizia con una scena di caccia. Un uomo, affamato e infreddolito, spera di uccidere qualche animale per nutrire la sua famiglia. Nevica, lui è sempre più debole, si sdraia nella neve e morirebbe se non fosse salvato da un gruppo di soldati giapponesi che si sono persi sulla montagna. In realtà è lui, poi, che salva i giapponesi, non solo indicando loro la strada ma mettendo in fuga una grossa tigre e- in questo continuo scambio di ‘chi salva chi’- il capitano Yamada interverrà in suo favore quando il maggiore Hayashi vorrebbe eliminarlo e gli regalerà addirittura il suo portasigarette d’argento.


   È un prologo in cui troviamo parecchi degli elementi che serviranno da leit-motiv nel corso della narrativa. La splendida tigre, animale di una specie in via di estinzione, e il monito che la riguarda, non uccidere mai una tigre a meno che lei non voglia uccidere te, che potrebbe estendersi alla prepotenza di popoli invasori; la miseria dei coreani; le figure antitetiche dei due giapponesi; quell’oggetto d’argento che, come nelle fiabe, servirà da riconoscimento alla fine del libro insieme ad un altro oggetto, un anello dato da una donna.

    Jung-ho è il figlio del cacciatore nella neve. Dopo la morte del padre andrà a Seul dove si unirà a una banda di ragazzini di strada che vivacchiano arrangiandosi, taglieggiando- e sono pagine che fanno una strana impressione, ricordano, a migliaia di chilometri di distanza e in un altro secolo, le vicende di “Oliver Twist” o di altri libri di Dickens nei sobborghi squallidi di Londra o quelle dei bambini di Bucarest di Florina Ilis.

    Jade è ancora una bambina quando viene venduta dalla madre per diventare apprendista di una cortigiana. A vederla ora sembra impossibile, eppure Jade diventerà una giovane donna di grande fascino, calcherà le scene, si arricchirà.


     Le strade di Jung-ho e di Jade si incrociano, per lui lei è più che un’amica, per tutta la vita sarà convinto che gli è destinata. Ma Jade ha in cuore un altro…

    Una parte del libro segue le vicende dei giovanissimi protagonisti che diventano adulti nella Corea occupata dai giapponesi. Un’altra parte, più interessante e però non molto approfondita, ci racconta dei movimenti clandestini per ostacolare il governo giapponese. Altri protagonisti avanzano sulla scena- coreani che non vogliono impegnarsi e mettere in pericolo le loro ricchezze e altri invece che rischiano la vita in nome della libertà della patria, giapponesi spadroneggianti e odiosi e altri invece (riappare Yamada, aumentato di grado e infine di servizio in Manciuria durante gli ultimi giorni della seconda guerra mondiale) consapevoli di calpestare l’indipendenza di un popolo.


    L’attenzione della scrittrice è puntata su una piccola parte della società coreana, sull’ambiente (o vogliamo chiamarlo ‘il fenomeno’?) delle cortigiane che oggi si chiamerebbero escort. Si sottolinea il tipo di studi che fanno, incluso la musica, il canto, la danza, perfino un accenno di lingue straniere, l’importanza di avere fascino più ancora che bellezza, si glissa con eleganza su quello che gli viene richiesto. Il loro è un mondo lontano dalla lotta quotidiana dei ragazzini di strada per sopravvivere, così come pure dalla politica che, se le coinvolge, è sempre su un piano personale.

Avremmo desiderato qualcosa di più da questo romanzo che sembrava promettere molto e che invece non ci soddisfa del tutto, anche per una narrativa a tratti eccessivamente lenta.

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mercoledì 21 settembre 2022

Alessia Gazzola, “La Costanza è un’eccezione” ed. 2022

                                                                Casa Nostra. Qui Italia

      cento sfumature di giallo
            love story

Alessia Gazzola, “La Costanza è un’eccezione”

Ed. Longanesi, pagg. 304, Euro 19,00

 

    Non c’è bisogno che vada a riguardare che cosa ho scritto, parlando dei romanzi precedenti di Alessia Gazzola, sia quelli che hanno per protagonista Alice Allevi, sia i due più recenti con Costanza- so di ripetermi e non mi importa. Mi piacciono, i romanzi giallo-rosa di Alessia Gazzola, perché sono leggeri ma intelligenti, sentimentali ma con brio. Attendo ogni nuovo libro, pregustando il piacere della lettura che, immancabilmente, provo.

E così è stato per “La Costanza è un’eccezione”, un romanzo che mi ha regalato ore in cui ho dimenticato i problemi quotidiani.

    Anche qui i filoni sono due e così pure i piani temporali. Nel filone ‘privato’ seguiamo le vicende di Costanza, della piccola Flora di quattro anni, e di Marco, il padre di Flora rimasto a lungo tale senza saperlo, perché la bambina era stata concepita in giorni spensierati a Malta dopo i quali lui era scomparso. Adesso Marco ha lasciato la fidanzata ‘storica’, proprio poco prima delle nozze, ma dice di trovarsi in una zona grigia di indecisione. Che sia innamorato della sua bambina con i capelli rossi è chiaro, non si sa se lo è altrettanto della mamma della bambina (pure lei con i capelli rossi).


    Il filone ‘giallo’ è ambientato nella Venezia del ‘600 ed è appassionante quanto la piccola storia famigliare di Costanza. Ormai Costanza lavora come anatomopatologa a Venezia ma, quando gli ex colleghi dell’Istituto di Paleopatologia di Verona le chiedono di collaborare in una ricerca che è stata loro richiesta, non può fare a meno di accettare. Primo, perché è l’occasione di guadagnare dei soldi extra, secondo, perché avrà l’occasione di incontrare spesso il bel Marco.

    Una chiesa di Venezia sta per essere interamente restaurata (Marco dirigerà il cantiere) e, approfittando dei lavori, la nobildonna veneziana Cassandra Almazàn vuole che vengano esaminati i resti dei suoi avi, vissuti nel Seicento e nel Settecento, conservati nella cripta. Non erano nati nobili, gli Almazàn. Erano mercanti spagnoli arricchiti che, pagando, erano diventati ‘nobili per soldi’. Su di loro erano circolate truci maldicenze. Si diceva che fossero in combutta con il diavolo (perché erano troppo ricchi), che fossero maledetti (ogni generazione perdeva quasi tutti i figli), che fossero vampiri. Questa, poi, è l’accusa più strana e sarà interessantissimo leggere, nel romanzo, le possibili spiegazioni mediche.


       La storia d’amore di Costanza e Marco, raccontata con la solita vivacità e con quella leggerezza che ci fa sorridere per la simpatia del personaggio, ha la sua controparte con quelle di un’altra Cassandra Almazàn, vissuta nel Seicento e di sua sorella Lucrezia, morta giovanissima precipitando dal palco del teatro. “Venezia è una città dalla storia feroce”- è vero, ce ne rendiamo conto esaminando gli scheletri della cripta, leggendo, insieme a Costanza, le cronache della città che riportano tutte le morti e le presunte cause del decesso. C’erano anche i sepolcri di due bambini nella cripta- di che cosa erano morti? Poteva essere stata una malattia genetica quella che affliggeva gli Almazàn? (e noi pensiamo alla bimba Flora che si è solo rotta due ditini della mano) e poi c’era un sepolcro senza nome in cui il morto era stato sepolto a faccia in giù: perché? Era questo Innominato quello che era stato accusato di vampirismo?


      Alessia Gazzola conosce la materia di cui parla, sia che si tratti di dettagli medici sia che rispolveri la Storia e i costumi di Venezia su cui si è documentata. Ed è una Storia affascinante e molto interessante, quella della Serenissima in cui gli spagnoli sono ancora guardati con sospetto e odio e ai nuovi ricchi non è sufficiente il possesso di splendidi palazzi sul Canal Grande- vogliono fregiarsi di un titolo, Giacomo Almazàn vuole che il suo cognome sia tramandato ai posteri anche se ciò significa obbligare il marito della figlia ad abbandonare il suo, di cognome.

     È proprio vero che questo romanzo conclude una trilogia e che, dopo Alice, dobbiamo separarci anche da Costanza?

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domenica 18 settembre 2022

Marina Lewycka, “Breve storia dei trattori in lingua ucraina” ed. 2022

                      Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

        love story

Marina Lewycka, “Breve storia dei trattori in lingua ucraina”

Ed. Astoria, trad. Luigi Maria Sponzilli, pagg. 317, Euro 19,00

 

 

    Non lasciatevi spaventare dal titolo del libro, “Breve storia dei trattori in lingua ucraina”, perché questo romanzo è una storia d’amore, anche se amore da una parte sola, buffa e tragica, commovente e patetica. Un amore senile che conosce momenti di illusoria felicità e di delusione straziante. E sì, c’è anche una breve storia dei trattori in lingua ucraina, e mai avremmo creduto che la storia di un attrezzo agricolo potesse essere così interessante, se raccontata in maniera così leggera, ad interpretare tutta la storia socio-economica-politica di un paese, l’Ucraina, che ha sempre avuto ambizioni di indipendenza pur facendo parte dell’Unione Sovietica.

     Nikolaj Mayevsky ha 84 anni ed è vedovo da due anni, è emigrato in Inghilterra nel 1943 dall’Ucraina e adesso si è innamorato di una connazionale di 36 anni con un figlio adolescente. Quando comunica alle due figlie di volersi sposare, Vera e Nadja per una volta sono d’accordo che questo matrimonio debba essere impedito: è chiaro che Valentina, una biondona dalle grandi tette, mira alla cittadinanza britannica, a scuole d’élite per il figlio, ai soldi di quello che lei pensa sia un ricco vedovo.


    E’ Nadja che racconta e riferisce lo scambio di frenetiche conversazioni telefoniche tra lei e la sorella, tra loro due e il padre, le lettere inviate al Ministero degli Interni, l’incontro con Valentina. Ma ormai è cosa fatta, si sono sposati- come abbiano fatto a sposarsi secondo il rito cattolico non si sa, visto che Valentina è divorziata (ma lo è poi veramente?). Nikolaj cede a tutti i suoi desideri, che sono ordini in realtà: una macchina, due macchine, una cucina nuova, conti telefonici alle stelle. L’amore senile è cieco come l’amore adolescenziale. Finché- ben presto- incominciano gli insulti di Valentina, coloratissimi, umilianti, sprezzanti. Dice al marito che è “un inutile asino con il cervello bollito e il pene raggrinzito”, “una reliquia di merda secca di una vecchia capra”, “un insetto da schiacciare”, “un cadavere da mettere nella tomba”. E ancora, gli aggettivi riservati ai suoi attributi sessuali sono, “molle e appiccicoso”, “moscio e floscio”.

   Dietro questa storia d’amore dagli esiti prevedibili, il romanzo contiene altre storie, schegge di vita che affiorano dai dialoghi, si nascondono tra le parole: la volgare e venale Valentina pensa a suo figlio, vuole che studi a Cambridge perché - nel suo inglese approssimativo- in Ucraina “solo opportunità per delinquenti e prostitute”, e, quando la raggiunge in Inghilterra, l’ex marito ci illumina sulla condizione dell’Ucraina, riserva di mano d’opera a basso costo per la Russia e le potenze occidentali, grande esportatrice di donne avviate alla prostituzione. Altro ancora viene rivelato a frammenti, soprattutto da Vera, che ha dieci anni più di Nadja ed è la Bambina della Guerra. Vera racconta del padre che era stato veramente un cadavere evaso da una tomba, perché nel ‘41 aveva disertato e si era nascosto in un cimitero. E di quando erano stati deportati nel campo di lavoro a Drachensee- sono ricordi così orrendi che niente era mai stato detto a Nadja, la Bambina della Pace.


   Quella che era iniziata come una vicenda tragicomica costruita sul modello tradizionale del vecchio rincoglionito che viene abbindolato, diventa la storia più complessa di una famiglia, di un paese, di una terra fertile derubata da Stalin, l’occasione per Nadja, l’unica privilegiata dalla vita fra tutti i personaggi, di comprendere ed accettare che i suoi genitori non sono stati degli eroi ma dei sopravvissuti. Che tutti, anche Valentina, lottano per sopravvivere al meglio e con ogni mezzo.


 Il romanzo è già stato pubblicato in passato da Mondadori e viene riproposto ora dalla casa editrice Astoria.

La recensione è stata pubblicata dalla rivista letteraria Stilos.

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Marina Lewycka è nata da genitori ucraini in un campo profughi a Kiel, in Germania, ma è cresciuta  e vive in Inghilterra, dove insegna alla Sheffield Hallam University. “Breve storia dei trattori in lingua ucraina” è il suo primo romanzo.

venerdì 16 settembre 2022

Reine Arcache Melvin, “Tradite” ed. 2022

                                              Voci da mondi diversi. Filippine

la Storia nel romanzo
love story

Reine Arcache Melvin, “Tradite”

Ed. e/o. trad. Paola D’Accardi, pagg. 483, Euro 19,50

 

      In esilio sapevano che niente poteva durare, eppure la famiglia cercò di sentirsi a casa nel nuovo paese.

Il nuovo paese è l’America. La città in cui si sforzano di sentirsi a casa fabbricandosi dei riti- la messa domenicale, la passeggiata lungo la spiaggia, il poker che il padre giocava con gli altri dissidenti filippini- è san Francisco. E la loro famiglia è composta dai genitori e due figlie.

     Il padre, Gregorio, era stato un oppositore del regime dittatoriale. Incarcerato e sottoposto a tortura, era riuscito a fuggire, approdando in California con moglie e figlie. Lali e Pilar, ora ventenni (Lali è la maggiore ma sono nate nello stesso anno), hanno la bellezza un poco esotica del paese da cui vengono. Lali è estroversa e sensuale, Pilar è il suo opposto.

Sembrava che la vita lontana da Manila, dopo otto anni di esilio politico, fosse possibile quando Gregorio viene assassinato e la famiglia ritorna in patria- Lali ha sposato Arturo, figlioccio del dittatore, e questo è sufficiente per assicurare una protezione per se stessa, la sorella e la madre.

Manila

È questo il primo tradimento di questo bel romanzo ambientato nelle Filippine negli anni finali della dittatura di Marcos seguiti da quelli della presidenza di Cory Aquino. Ne seguiranno altri, a tutti i livelli, famigliari e politici, perché il fascino del romanzo è in questo stretto intreccio di personale e pubblico, nell’esplorazione di sentimenti, pulsioni e interessi- fino a che punto si riesce a mantenere la propria integrità sotto la pressione di minacce per la propria vita o per quella di chi ci è caro?

     Pilar, la vestale della memoria paterna, si era sdegnata per l’unione della sorella con i nemici del padre, sospettati addirittura di averlo fatto uccidere. Eppure non può fare a meno di sentirsi attratta anche lei da Arturo e sarà Lali stessa a spingerla tra le sue braccia quando, incinta, sente di non avere più alcuna attrattiva per il marito. Meglio sapere Arturo con la sorella che con un’altra… lei poi se lo riprenderà. Ma questo è un altro tradimento, solo in apparenza diverso da quello della stessa Lali con uno straniero che raccoglie in una stanzetta cieca le fotografie degli orrori e delle violenze che accadono di continuo nelle isole delle Filippine. E in seguito, quando Arturo si candida alle elezioni, non è anche questo un tradimento? Quando Lali accetta di parlare ai comizi e di sostenerlo, non tradisce la memoria del padre, acclamato come un eroe? Ma era stato poi veramente un eroe, Gregorio? Oppure era venuto a patti con la sua coscienza e aveva tradito, in nome della famiglia?

Cory Aquino

     È come se il libro fosse spaccato in due, con una frattura che è come quella di un tradimento. Una parte del libro ci racconta storie d’amore, di dubbi d’amore, di erotismo e passione. È una parte che in apparenza è scollata dall’altra e invece è necessaria per bilanciarla, perché quest’altra, questa seconda parte, è l’aspetto della stessa realtà, ma è atroce. La violenza è quotidiana, villaggi incendiati, uomini, donne e bambini uccisi senza pietà. Da chi? Gli uni addossano le colpe agli altri- sono state le forze del governo, i vigilantes, o chi? Altri tradimenti…Una nave affonda, a bordo c’era un numero di persone di gran lunga superiore a quello che poteva portare. La nave era di proprietà della famiglia di Arturo- sono danni collaterali? Bisogna mentire, nascondere, insabbiare, corrompere. Perché tutti sono corrompibili, secondo quello che c’è in ballo.


    E dietro, dietro tutto questo, dietro la violenza, la crudeltà e la corruzione, c’è un paese che vive di superstizioni e folklore, un paese di contrasti, di miseria totale (una madre a cui hanno ucciso il marito affida a Lali il figlio più piccolo e non è insolito per i poveri regalare i bambini a chi se ne può occupare meglio- tradisce la sua bambina, Lali, amando di più il piccolo sconosciuto?) e ricchezze incredibilmente sfacciate (la madre di Arturo fa il bagno nel latte, un’allusione alle abitudini di Imelda Marcos, peraltro mai nominata, come neppure il marito), un paese di una bellezza lussureggiante e selvaggia.

   Leggiamo per vivere altre vite, per sapere di altri paesi. “Tradite” è un libro da leggere.   

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mercoledì 14 settembre 2022

David Lagercrantz, “Obscuritas” ed. 2022

                                                                       vento del Nord

     cento sfumature di giallo

David Lagercrantz, “Obscuritas”

Ed. Marsilio, trad. Laura Cangemi, pagg. 411, Euro 19,90

 

    Estate 2003. Gli americani stanno invadendo l’Iraq con l’obiettivo di deporre Saddam Hussein e impedirgli di dotarsi di armi di distruzione di massa. A Stoccolma un arbitro di calcio di origini afghane viene ucciso a sassate, alla fine di una partita. Dell’omicidio viene accusato un italiano, padre di uno dei giocatori che aveva protestato contro la mancata segnalazione di un calcio di rigore. È facile prendersela con un immigrato italiano di cui tutti conoscono il carattere focoso e la tendenza ad ubriacarsi. Ma è lui il colpevole?

    “Obscuritas”, di David Lagercrantz (lo scrittore svedese che, dopo aver scritto tre volumi per completare “Millennium” dello scomparso Stieg Larsson, ha dato il meglio di sé nei due romanzi “La caduta di un uomo. Indagine sulla morte di Alan Turing” e “Il cielo sopra l’Everest”) è il primo di quella che sarà una serie con protagonisti due investigatori originali- il professor Hans Rekke e Micaela Vargas, figlia di immigrati cileni.


    Non sono solo i due personaggi principali ad essere originali, in questo “thriller” che si divora. Lo è l’ambientazione della trama che valica i confini svedesi per portarci nell’Afghanistan dei talebani, lo è l’interessante binomio di politica e musica- questa volta non sono i libri ad essere pericolosi e a venire bruciati, ma la musica per cui gli strumenti musicali vengono fracassati (un dolore indescrivibile, un altro vero e proprio delitto), lo è lo sguardo acuto dentro la psiche che il professore ci insegna partendo da osservazioni minime.

    “Obscuritas” è il titolo del romanzo, una oscurità che circonda il caso dell’omicidio, che avvolge minacciosa i prigionieri in quella che viene chiamata “Dark prison”, la prigione della CIA in Afghanistan dove si praticavano torture più crudeli di quelle di Guantanamo, che mette a tacere i musicisti, che incombe sul sobborgo proletario di Husby, dove abita Micaela, dove suo fratello spadroneggia come un piccolo gangster, che infine ovatta la mente e l’anima di Hans Rekke, il genio fragile in preda a demoni difficili da sconfiggere.


    È la polizia stessa a decidere di coinvolgere il professore nel caso dell’arbitro Jamal Kabir che è stato ucciso. Rekke è un esperto mondiale di tecniche di interrogatorio, professore di psicologia, un tempo grande musicista. È un personaggio ‘creato’ per assomigliare a Sherlock Holmes- la sua capacità di dedurre un aspetto della vita o del carattere di chi si trova di fronte a lui, semplicemente osservandolo senza neppure averne l’aria, è assolutamente straordinaria. Un esempio- il gesticolare di Jamal Kabir sul campo non è che, piuttosto che essere un vezzo, indicava un suo passato di musicista? E però, nonostante le sue grandi doti, Rekke è un uomo fragile che si droga con medicine per tirare avanti.

    Secondo la migliore tradizione che vuole che il ‘doppio’ di un investigatore sia il suo contrario, Micaela Vargas è donna, appartiene ad un ambiente sociale lontanissimo da quello aristocratico di Rekke, è figlia di immigrati. A suo favore il padre esule per sfuggire alle torture in Cile, a suo svantaggio il fratello nel mirino della polizia. Micaela è ambiziosa e capace, è un’osservatrice dalla mentalità aperta. È lei la prima a dubitare che l’italiano sia colpevole.


    L’originalità maggiore del romanzo, però, è nel portare la nostra attenzione alla musica, bandita come ogni divertimento dai talebani. Perché la musica distrae, la musica eleva lo spirito. E niente deve distrarre dall’adorazione di Allah, niente altro può elevare lo spirito. Il filone della ricostruzione del passato di Kabir è interessantissimo, a partire da ciò che Rekke deduce dalle cicatrici sulla sua schiena e dai sottili segni che il cadavere di Kabir ha sui polpastrelli. Il motivo dell’omicidio potrebbe non avere niente a che fare con il calcio (e, a proposito, Kabir aveva intercesso perché si potesse continuare a giocare a calcio a Kabul).

   L’ obscuritas non si è del tutto dissolta, ma si raggiunge la claritas alla fine, quella a cui ambiva sempre il professor Rekke, anche quando studiava, e che ripeteva come un mantra, come un’ancora di salvezza.

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domenica 11 settembre 2022

Leo Giorda, “L’angelo custode” ed. 2022

                                                                         Casa Nostra. Qui Italia

       cento sfumature di giallo

Leo Giorda, “L’angelo custode”

Ed. Ponte alle Grazie, pagg. 272, Euro 16,00

 

Giacomo Chiesa, vicequestore .

Adriano Scala, soprannominato Woodstock, insegnante elementare, hippie fuori tempo.

Claudio Gatto, musicista la cui carriera è stata stroncata da una pesante accusa.

Sono questi i tre personaggi principali del romanzo ‘giallo’ dell’esordiente scrittore Leo Giorda. E hanno tre nomi che, in qualche maniera, sono indicativi.

    Il vicequestore Chiesa è un poliziotto tutto d’un pezzo, allineato sulla destra in quanto ad idee politiche, molto attento all’abbigliamento, tutto lavoro e famiglia (finché si rende conto che il suo rapporto coniugale è una mera facciata).

   Il soprannome di Adriano Scala, Woodstock, parla da sé. Per lui è come se fossero ancora gli anni ‘70- sia per come si veste, sia per le sue preferenze musicali, sia per il liberale consumo di sostanze stupefacenti. Per Woodstock l’uso di droga è necessario- si giustifica dicendo che, solo sotto l’influsso degli stupefacenti, il suo intelletto ha una sorta di illuminazione, ha delle intuizioni, quasi delle visioni per cui riesce a trovare tracce di quello che altri non vedono. È un personaggio che ricorda da vicino il mitico Sherlock Holmes e fa pensare anche ad un nuovo personaggio apparso di recente sulla scena letteraria del giallo in un romanzo di David Lagercrantz.


    Quanto al povero Gatto, proviamo compassione per lui e le sue mosse coraggiose finali, dopo una presa di coscienza dolorosa ma risolutiva, ci fanno piacere. È il capro espiatorio per eccellenza- in passato quando era stato accusato ingiustamente di pedofilia ed ora, quando il cadavere di un ragazzino viene trovato nei pressi della sua abitazione ed è facile indicare lui come il colpevole, nonostante il suo alibi.

    Quello del ragazzino è un corpo senza testa, un delitto atroce. Ci vuole l’intervento di Woodstock, a cui Gatto si rivolge anche se sa benissimo che è un detective dilettante, per scoprire che altri tre ragazzi sono scomparsi di recente a Roma, e tutti erano orfani e ospiti di istituti religiosi.

   Siamo a Roma, badate bene. Una Roma vivissima di quartieri popolari accanto a case gentilizie. E al Vaticano. Se i ragazzi erano ospitati in istituti religiosi, bisogna passare dal Vaticano per avere permessi di colloqui e indagini. Sarà possibile?


    “L’angelo custode” è un buon esordio, porta una ventata di novità sulla scena. Sono nuovi, anche se non originalissimi, i personaggi che animano la trama. Piace Woodstock, il “Sherlock Holmes tossico” (è Gatto che lo definisce così), pur con qualche tratto di ingenuità (sperando che nessun lettore provi ad emularlo per vedere se l’effetto delle droghe dia anche lui l’illuminazione). Piace anche Chiesa, soprattutto alla fine, quando dimostra che è capace di cambiare. Piace Gatto che impara che non è mai troppo tardi per far valere le sue ragioni e portare avanti quella che sembra un’impresa impossibile- denunciare la polizia. Piace il modo in cui sono costruiti i personaggi, con dei flashback che aiutano a capire il loro evolversi. Piace l’attenzione puntata su un crimine odioso in cui le vittime sono scelte oculatamente tra chi non ha voce, perché non c’è nessuno toccato dalla sua scomparsa. Piace lo stile della narrazione che sembra ridere di se stessa, con un tono scanzonato e autoironico che si addice perfettamente al protagonista fricchettone dietro cui indoviniamo qualche aspetto del giovane scrittore stesso (lungi da me il pensare che Leo Giorda faccia uso di droghe per cercare ispirazione!).

   Piace infine Roma, la Roma di Trastevere e non quella di via Condotti o dei fasti imperiali, percorsa con il mezzo scalcinato motorino di Woodstock- sembra una parodia di Gregory Peck in "Vacanze Romane".

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mercoledì 7 settembre 2022

Enrico Deaglio, “Qualcuno visse più a lungo” ed. 2022

                                                                     Casa Nostra. Qui Italia

              romanzo-saggio

Enrico Deaglio, “Qualcuno visse più a lungo”

Ed. Feltrinelli, pagg. 288, Euro 18,05

 

    Agghiacciante. Non mi viene in mente nessuna altra parola per definire il romanzo-saggio di Enrico Deaglio, “Qualcuno visse più a lungo”. Incalzante come un thriller, con un numero di morti ammazzati superiore a quello di qualunque thriller, con una trama criminale vasta come quella dei migliori thriller nordici e tuttavia con la costante consapevolezza che questa non è invenzione, che non possiamo schermarci dietro l’illusione che questo è un romanzo e che no, queste cose non succedono in realtà. Perché è tutto vero e ci riguarda, ci tocca da vicino. Questa è la nostra Storia, anche se non vorremmo.

    I primi a capire tutto- a capire che i Graviano avevano vinto- furono i ragazzi e i ragazzini di Brancaccio.

  Insieme a loro, don Pino Puglisi, che li vide sfrecciare davanti alla chiesa, felici e rombanti sugli scooter, ed ebbe un presagio.

i fratelli Graviano

   Inizia così, verso le cinque della sera della domenica 19 luglio 1992, quando il magistrato Paolo Borsellino perse la vita nell’attentato di Via Amelio. Solo due mesi prima, il 23 maggio, Giovanni Falcone, il giudice che aveva portato alla sbarra 475 tra boss e gregari di Cosa Nostra, era morto in un attentato ancora più scenografico (mi si permetta questo aggettivo per un allestimento mortale impensabile). Da quella sera di luglio Giuseppe Graviano comandava Brancaccio, era lui il Capo. E nessuno sapeva di lui. Fu arrestato nel gennaio del 1994, a Milano. Era in un ristorante (alla moda, manco a dirsi) con il fratello e le rispettive fidanzate. Fu la fine di un’epoca. Resta la domanda: come è stato possibile che l’attenzione non sia mai stata focalizzata sui fratelli Graviano?

il Brancaccio

   È questa epoca, iniziata dopo la fine della guerra, che Enrico Deaglio scansiona nel suo libro, insieme alle vicende che hanno visto i Graviano dirigere nell’ombra. Una carrellata di nomi, di luoghi, di patteggiamenti e di accordi- e non solo in Italia, perché gli Stati Uniti sono coinvolti in questa Storia che riguarda non solo la colonia mafiosa che aveva messo radici oltre Atlantico, ma anche alti esponenti del governo-, di traffici di droga di proporzioni enormi, di morti, un numero incredibile di morti (ricordo un numero, ad un certo punto- diecimila-, che poi aumenterà). È questo che sconvolge il lettore comune, l’omicidio come soluzione, l’eliminazione fisica eseguita con l’indifferenza con cui si ammazzerebbe una mosca.


Una pagina dopo l’altra accumula nomi di personaggi in vista (Andreotti, sette volte presidente del Consiglio, primo fra tutti, il sempre scagionato Berlusconi e poi perfino esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi segreti), attentati e crimini di ogni tipo, incluso quello di depistaggio, collusioni tanto più incredibili quanto in apparenza al di sopra di ogni sospetto, il tutto documentato, il tutto trattato con uno stile che sfrutta l’ironia per attenuare la drammaticità dei fatti di mezzo secolo in cui era come se l’Italia si fosse sdoppiata- ‘loro’ e noi. ‘Loro’ che giganteggiano con i loro delitti e noi lillipuziani che abbiamo vissuto e che viviamo in un universo parallelo, che proviamo orrore per gli echi che ci arrivano, che facciamo fatica a capire quello che è accaduto e che accade, perché è al di là della nostra portata, al di là della nostra operosità quotidiana.

    Da leggere. Per sapere.



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