Mi dispiace. Il mio pc è fuori uso. Posso soltanto leggere, scrivere e…avere pazienza.
Tolkien non era ancora stato tradotto in italiano. L'attore che impersona Frodo sul grande schermo non era ancora nato. Leggevo in inglese "Il signore degli anelli", c'era un temporale, era saltata la luce. Ricordo di avere acceso una candela ed aver proseguito la lettura: per me quell'immagine- io che leggo a lume di candela- è diventata il simbolo della mia passione. Io leggo, sempre, ovunque. E amo parlare di libri, per farli amare dagli altri.
Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
Sebastian Barry, “Ai tempi del vecchio Dio”
Ed.
Einaudi, trad. Anna Rusconi, pagg. 248, Euro 18,05
C’era
una volta…Ai tempi del vecchio Dio…Questa è una storia del passato,
tuttavia non ha niente della favola. Oppure è una favola nera, peggio di quelle
dei fratelli Grimm. Il protagonista, il narratore non affidabile, è un
poliziotto in pensione dal buffo nome di Tom Kettle (‘bollitore’) che riceve la
visita di due giovani poliziotti che vogliono parlare con lui di un vecchio
caso rimasto irrisolto. Tuttavia questo non è un mystery. Oppure lo è, ma è un
mystery dell’animo o della memoria o della vita umana ricolma di tragedie.
Tom Kettle vive da solo a Dalkey, vicino a Dublino. Aveva una moglie, June, con un nome che conteneva una promessa, e due figli, Winnie e Joseph. È solo non perché gli altri componenti della famiglia vivano lontani ma perché sono morti. All’inizio non è tutto chiaro, perché Tom ha superato i sessant’anni, perché a tratti sembra confuso, perché è scosso dal caso su cui sono state riaperte le indagini (la morte di un prete), perché sembra uscire dal presente entrando nel passato per poi tornare al presente in un flusso di coscienza particolare, perché vede persone che in realtà sono evanescenti ed è lui l’unico a vederle (noi pensiamo al “Giro di vite” di Henry James). Poi, a poco a poco, si alza il sipario, i ricordi sono meno confusi, riemerge il tempo in cui lui si è innamorato di June, così speciale ai suoi occhi, quello in cui si sono scambiati le memorie del loro passato, entrambi cresciuti in orfanotrofi, entrambi abusati da chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro. E poi i figli che hanno riempito di amore, perché avessero un’infanzia diversa dalla loro. E poi? Poi la catastrofe. Erano riapparsi gli spettri del passato, una tragedia aveva tirato l’altra.
Si legge come un mystery, “Ai tempi del vecchio Dio”. Si legge rincorrendo la verità di quello che è accaduto, al sacerdote che June aveva riconosciuto, a June che soltanto in apparenza era più serena, alla figlia Winnie che era diventata tossicodipendente, al figlio che pareva essere sfuggito ai drammi famigliari ed era finito ucciso dal padre di un paziente che non aveva potuto curare. E a lui, Tom, che cosa era successo a lui? Come aveva potuto sopportare tutto questo? Assomiglia al personaggio di Giobbe, ai tempi del vecchio Dio.
La trama del romanzo di Sebastian Barry poggia
su una tremenda accusa alla Chiesa, punta l’indice contro i preti pedofili di
cui abbiamo letto molto, protagonisti di scandali vergognosi, ma è come se
l’autore capovolgesse la prospettiva e, nello stesso tempo, come se un sasso
venisse scagliato in uno stagno dalle acque torbide e sprofondasse allargando
onde concentriche tutto intorno. È la
storia di un trauma, di una ferita nascosta che non si è mai cicatrizzata, di
una soluzione che porta con sé altre colpe, di una giustizia adatta ai ‘tempi
del vecchio Dio’, di tanta, troppa sofferenza.
Un
libro duro in cui il peso di ciò che è narrato è difficile da sopportare e il
cui significato si dispiega pienamente nella seconda metà, ma è l’empatia dello
scrittore che lo rende unico.
Cento sfumature di giallo
Casa Nostra. Qui Italia
Valerio Aiolli, “Portofino blues”
Ed.
Voland, pagg. 368, Euro 19,00
La maggior parte dei lettori non
giovanissimi ricorderà il caso della contessa Francesca Vacca Agusta, scomparsa
l’8 gennaio del 2001. Avevano trovato le sue pantofole sulle rocce della
scogliera su cui si affacciava Villa Altachiara, a Portofino, e poi anche il
suo accappatoio bianco. Il corpo sarebbe stato ritrovato una ventina di giorni
più tardi, le correnti lo avevano trascinato fino ad una baia della Costa
Azzurra. Lasciava un patrimonio enorme, sei testamenti su cui gli eredi si
sarebbero accapigliati, un compagno che forse era un ex compagno ma che viveva
in una specie di dependance nel giardino della villa, un amante in carica (un
messicano che avrebbe dovuto sposare a giorni), un’amica che le stava sempre
vicino.
Era scivolata ed era caduta, in quella notte invernale? Forse, visto la quantità di alcol che era solita bere, oltre alla cocaina di cui non poteva fare a meno. Si era suicidata? Sembrava poco probabile, anche se era soggetta a crisi depressive. Qualcuno l’aveva spinta?
Valerio Aiolli ricostruisce il caso, mettendo insieme le tessere del puzzle. Al centro c’è lei, l’inquieta ex commessa che aveva sposato il conte Corrado Agusta, industriale e costruttore di elicotteri, da cui si era separata nel 1984. Intorno a lei una miriade di figure, tutto il jet set e l’ambiente politico degli anni ‘80- il suo nuovo compagno, Maurizio Raggi, giovane ristoratore di Portofino, era legato a Bettino Craxi e al PSI e aveva coinvolto la contessa in questo sodalizio. Anche Francesca Vacca Agusta finì nel mirino di ‘Mani Pulite’, sospettata di aver contribuito al trasporto all’estero dei beni del leader socialista. Non soltanto uomini politici ma anche personaggi del mondo dello spettacolo, teste coronate di regnanti ed ex regnanti, tutti quelli che potevano contare su grandi ricchezze e per cui la vita era passare da un divertimento all’altro, in una continua ricerca di novità e di piaceri più o meno proibiti, rivivono in queste pagine che descrivono un lusso ed uno spreco inimmaginabili per la gente comune. C’è anche altro, però, nella ricostruzione del caso della contessa Agusta. Perché, ricordiamoci che il suo titolo le veniva dal conte Corrado Agusta da lei sposato nel 1974. Ed è un’altra Italia ancora, quella in cui si muove Corrado Agusta, figlio dell’imprenditore areonautico Giovanni. È l’Italia uscita dalla guerra che sogna in grande, che lavora sodo, e la Agusta s.p.a,, dopo essersi riversata sulla costruzione di barche, autobus e motociclette a causa delle restrizioni imposte dalle clausole del trattato di pace, nel 1950 si libra in alto con gli elicotteri. Neppure qui mancarono difficoltà, accuse di corruzione in cui fu implicato anche il principe Vittorio Emanuele.
Corrado e Francesca si separarono negli
anni ‘80, ma non divorziarono mai. Eppure, nonostante avesse il mondo ai suoi
piedi, non era felice, Francesca Vacca Agusta. Era sempre alla rincorsa di
qualcosa che le sfuggiva non appena sembrava l’avesse raggiunta. Un aereo
privato la portava a fare shopping in giornata a Londra, e poi Londra era forse
troppo vicina, e allora, Miami, la Tunisia, Acapulco. Sempre inquieta, sempre
trasgressiva, consapevole che la giovinezza era già alle sue spalle anche se si
illudeva che non fosse così perché la chirurgia estetica e gli amanti molto più
giovani riuscivano a ingannarla.
È come se Valerio Aiolli avesse in mano
una cinepresa e la spostasse per riprendere i diversi personaggi della cerchia
della contessa Agusta, mettendo a fuoco lei attraverso le loro parole e i loro
comportamenti, sforzandosi di capire, di arrivare ad una soluzione di un caso
ambiguo la cui soluzione ufficiale forse non è pienamente soddisfacente. E
allora “Portofino blues” è, come dice il titolo, un noir triste nonostante
l’apparente luccichio, un noir che coinvolge una donna, prima di tutto, ma
anche il tipo di società che la circonda.
vento del Nord
cento sfumature di giallo
Katrine Engberg, “Il tempo della fine”
Ed. Marsilio, trad.
Claudia Valeria Letizia, pagg. 422, Euro 20,00
È febbraio quando un giovane uomo si uccide
gettandosi sotto un treno in corsa. Si chiamava Daniel Leon.
La trama incomincia a scorrere a settembre, a
Copenhagen. Liv Jensen ha lasciato il suo impiego in polizia e adesso lavora
come investigatrice privata- risolvere misteri è la sua passione. Ed è proprio
il suo ex capo della Squadra Omicidi che le chiede aiuto per risolvere un caso
vecchio di tre anni prima quando un noto giornalista è stato ucciso nella sua
casa. Era cresciuto nel Nord della Danimarca dove viveva ancora suo fratello,
un allevatore di maiali. La loro famiglia abitava in una grande fattoria che il
giornalista avrebbe voluto trasformare in un museo, contro il parere del
fratello. L’aveva spuntata il fratello, la fattoria era stata venduta ed era
stata trasformata in una distilleria di whisky.
Anche Liv abitava nel Nord e, tornando a Copenhagen, ha trovato un miniappartamento in affitto presso la famiglia Leon, sì proprio i Leon di quel Daniel che è morto lasciando un padre malato e anziano e una sorella gemella. Daniel era stato accusato di aver ucciso la moglie che lo aveva lasciato e, prima del suo suicidio, era stato per anni ricoverato in una struttura per malati mentali.
Leon- un cognome che dovrebbe anticiparvi almeno una parte della loro storia. È una storia di particolare interesse perché rivela dei segreti di una Storia più ampia. Nell’algida Danimarca, che pensavamo fosse neutrale durante la guerra, c’erano dei bunker tedeschi costruiti lungo la sua costa settentrionale, così come c’erano navi tedesche che intercettavano le imbarcazioni degli ebrei che avevano investito i loro risparmi per pagarsi la fuga verso le coste della Svezia, verso la libertà.
Ma come il filone di
questa storia di famiglia si intrecci con quelle del nostro tempo, con la scia
di omicidi che in apparenza sono scollegati tra di loro, è una sorpresa
intrigante che getta un'ombra oscura su persone e istituzioni.
“Il tempo della fine” è il primo di una
serie di libri che hanno Liz Jensen per protagonista e aspettiamo quelli
seguenti per mettere a fuoco una investigatrice di cui sappiamo poco, di cui
solo alcuni tratti vengono accennati e molti sono accennati. Piccola di
statura, individualista, una compagna con cui ha un rapporto forse in crisi, un
piccolo segreto sul perché abbia lasciato il corpo di polizia. Vorremmo
conoscerla meglio, almeno come conosciamo il paesaggio del nord della
Danimarca, brullo e spazzato dal vento, sotto un cielo basso e infinito.
Parlando del suo libro la scrittrice ha detto che è in parte la storia della sua famiglia quella che ha raccontato nel romanzo. L’idea le è venuta quando sua madre le ha consegnato un rapporto della polizia svedese, datato 6 ottobre 1942, su una coppia di ebrei che avevano attraversato lo stretto di Øresund nascosti su di un peschereccio. Erano i suoi nonni in fuga dal nazismo e la nonna era incinta di suo padre.
Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
Chiara Valerio, “La fila alle poste”
Ed.
Sellerio, pagg. 366, Euro 16,00
Chiara Valerio ritorna a Scauri nel romanzo
che è ‘quasi’ un seguito di “Chi dice e chi tace”. ‘Quasi’ perché non è
propriamente un seguito delle vicende del libro precedente e non è Chiara
Valerio che ritorna a Scauri, sono i suoi personaggi che non si sono mai mossi
da Scauri, la piccola città di mare tra Roma e Napoli. E così li ritroviamo
tutti, l’avvocato Lea Russo con le due figlie e il marito, Mara che era stata
la compagna di Vittoria, Filomena e Mimmo e l’avvocato che era stato il marito
di Vittoria e Rebecca e anche il gatto dal nome improbabile di Gallina nera e
altri ancora che non ricordavamo o non avevamo conosciuto.
Perché, nonostante l’io narrante sia sempre Lea, i due protagonisti sono altri- sono Scauri stessa, da cui ci si allontana e a cui si ritorna, e Vittoria, morta ormai da tre anni, presente assente, indimenticabile Vittoria, punto di paragone, Vittoria che non finisce di stupire, di cui tuttora si scoprono segreti, da parte della quale viene recapitato un regalo- adesso, dopo tre anni- a Lea.
Succede così nelle piccole città che sono
poco più che grandi paesi- volete sapere le novità, i pettegolezzi, i fatti
degli altri? Mettetevi in fila allo sportello delle poste e, nell’attesa, c’è
poco che resti nascosto, verrete a conoscere sia quello che volete sapere e sia
quello che preferireste non sapere affatto.
È la fine di novembre. Scauri ha quell’aria un po’ grigia e abbandonata che hanno tutti i paesi di mare sul far dell’inverno. Succede una cosa strana, a Scauri, ne parlano tutti quelli che sono in fila alle poste- c’è qualcuno che ruba le vongole che, da che mondo è mondo, vengono messe a spurgare lungo la spiaggia, la ridda di supposizioni su chi sia il colpevole si incrocia.
E
poi c’è ben altro, c’è una notizia sconvolgente e drammatica, un altro
colpevole su cui puntare il dito. Una bambina è stata ammazzata. Tutto sembra
indicare che sia stata la mamma ad ucciderla, però non si trova l’oggetto con
cui è stata colpita. La piccola Agata era nata con il forcipe e ne aveva
derivato danni permanenti. Il padre della bambina si era rivolto a Lea perché
prendesse la difesa della moglie, ma erano intervenuti anche due avvocati di
Roma.
Sono queste le due esili tracce lungo le
quali si svolge il romanzo. Sono come due indagini dal peso diverso che danno
modo di scoprire verità nascoste e insospettate, e a queste però si aggiunge
un’altra indagine interiore che ha a che fare con i sentimenti e con le
pulsioni amorose. L’attrazione che Lea provava per Vittoria non è mai finita, è
quasi un’ossessione dentro di lei, la spinge a porsi delle domande sul suo
rapporto (molto felice peraltro) con il marito, un uomo quasi incredibilmente
buono, intelligente e comprensivo, la porta ad avvicinarsi a Rebecca che era
stata compagna, pure lei, di Vittoria. È come se Vittoria, così sicura di sé,
così spavalda, così incurante del giudizio altrui, avesse dato coraggio ad
altri che avevano vissuto amori considerati proibiti e che ora riescono a
parlarne e a viverli sotto un’altra luce.
Il passo della narrazione è diverso da
quello di “Chi dice e chi tace” dove ci si aggirava in un perimetro più
circoscritto di vicende e di sentimenti. Qui è come se camminassimo per le vie
di Scauri, perdessimo la strada e ci avviassimo in un’altra direzione e, nel
camminare, incontrassimo altre persone e facessimo altre esperienze e le
paragonassimo a quelle già vissute.
vento del Nord
cento sfumature di giallo
Aslak Nore, “Gli eredi dell’Artico”
Ed.
Marsilio, trad. Giovanna Paterniti, pagg. 471, Euro 20,00
L’esergo sono parole di Kim Philby, il
famoso agente segreto britannico che prese la cittadinanza sovietica nel 1963: To betray you must first belong.
Nel prologo, a Longyearbyen nelle Svalbard, una scena mozzafiato: una motoslitta arriva a gran velocità nei pressi della casa del Governatore, l’uomo che era in sella al veicolo cade pesantemente a terra. Fa in tempo a dire poche parole al governatore che si trovava lì: non doveva essere toccato, aveva bisogno di cure di emergenza, era stato avvelenato, si chiamava Zemljakov, Colonnello Vasilij Zemljakov. Aveva fatto poi il nome dei Falck, la famiglia di armatori che erano a capo della fondazione Saga con cui sovrintendevano alla conservazione degli archivi storici della Norvegia, e aveva aggiunto che loro, i Russi, avevano una talpa dentro la Saga, uno della famiglia.
“Gli eredi dell’Artico”, secondo romanzo
della serie iniziata con “Il cimitero del mare”, si annuncia dunque come un
libro di spionaggio, oltre ad essere una saga famigliare, un’intrigante analisi
politica nello scenario affascinante dell’estremo Nord, un tempo zona di scarso
interesse ed ora di enormi possibilità con il cambiamento climatico in atto. Lo
scioglimento dei possenti ghiacciai dell’Artico potrebbe garantire un passaggio
a Nord che accorcerebbe di gran lunga il tempo di navigazione per gli scambi
commerciali con l’Oriente.
Le isole Svalbard, tra i 74° e gli 81° di latitudine Nord, a metà strada tra Groenlandia e Russia, sono un’area non incorporata della Norvegia, ma, per il trattato del 1920 che ne regola lo stato giuridico, gli altri 14 stati firmatari hanno il diritto di svolgere attività economiche e scientifiche nell’arcipelago, senza discriminazioni. E una Falck del ramo di Bergen della famiglia, Connie Knarvik (aveva cambiato il cognome negli anni ‘comunisti’ della sua giovinezza), possedeva delle terre con una miniera nelle isole- era quella Adventdalen che sarebbe diventata il pomo della discordia, ambita dai russi ma soprattutto da Alexandra Falck che offriva delle azioni della Saga per comprarsi il sostegno di Connie alla nomina di Presidente.
La trama del romanzo è fitta di personaggi, di avvenimenti e di intrighi e il quadro è ampio, spazia dalle Svalbard alla Russia, alla Norvegia e al Medio Oriente. Sullo sfondo il naufragio del traghetto della Hurtigruten che era affondato nel 1940 causando la morte di 300 persone che erano a bordo, tra di loro anche Thor Falck. È difficile che delle verità che restano misteri per anni vengano del tutto alla luce. Nel caso della famiglia Falck ci sono ancora molte ombre, molti segreti, molti punti dubbi che suscitano contese e rivalità. Quando il testamento di Vera, vedova di Thor Falck, fa perdere alla nipote Alexandra non solo la nomina di Presidente della Saga ma anche l’avita dimora di Oslo in cui è cresciuta, si riaccendono gli odi e riprendono le lotte tra i due rami della famiglia.
Il romanzo di Aslak Nore è, però, ben altro
che una vivace e interessante storia di famiglia. C’è una quadrupla corrente di
suspense che segue dei filoni con molteplici implicazioni, alcune delle quali
di grande attualità politica- chi sarà eletto, in definitiva, Presidente della
Saga? Chi acquisterà la Adventdalen da Connie Falck? Chi è la talpa russa tra i
Falck? È vera o falsa l’accusa di far parte della CIA fatta a Hans Falck preso
prigioniero dai russi? E infine, la vera grande sorpresa del libro è l’identità
di John Berg, il giornalista che aveva avuto un ruolo importante nel libro
precedente. Come già era successo quando avevamo terminato di leggere “Il
cimitero del mare”, l’ultima pagina de “Gli eredi dell’Artico” ci fa desiderare
di leggere il seguito al più presto.
Se cercate un thriller diverso dal solito e
niente affatto banale, questa è la lettura per voi.
Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
Cristina Cassar Scalia, “Delitto di benvenuto. Un’indagine di Scipione Machiavelli”
Ed.
Einaudi, pagg. 320, Euro 18,05
Niente male essere accolti da un delitto
nel nuovo commissariato di Noto dove il funzionario di Pubblica Sicurezza
Scipione Macchiavelli è appena stato trasferito d’urgenza- le allusioni al
motivo ricorrono in tutto il libro, possiamo benissimo immaginarli se suo padre
neppure più gli parla, ci verranno confermati solo alla fine. E, per lo meno,
il fatto che debba subito essere operativo distoglie Scipione da rimuginare
sulla ‘punizione’.
Perché la punizione era già iniziata con il viaggio in treno da Roma- è il 1964, niente treni ad alta velocità, men che meno autostrade che portino sull’isola, era stato un viaggio infinito. Per arrivare a Noto. Una cittadina bellissima con gli edifici in pietra dorata, i balconi sorretti da quelle figure mitologiche o grottesche, l’arco di ingresso di cui i netini si vantavano come se fosse l’Arco di Trionfo- ma che era in confronto a Roma? Il freddo poi. Scipione non si aspettava quel freddo sotto Natale. Non immaginava che non ci fosse riscaldamento nelle case ma solo qualche vetusta stufetta elettrica. Non aveva previsto che il suo alloggio sarebbe stato una stanza a pensione presso una coppia di coniugi di cui la moglie era assolutamente incapace di cucinare. Le uniche note positive erano state la competenza e la simpatia degli uomini della sua squadra, il maresciallo Catalano e il brigadiere Mantuso, e il ritrovare un amico come giudice a Siracusa.
Scipione Macchiavelli era appena arrivato,
dunque, quando una donna era andata a denunciare la scomparsa del marito, un
funzionario di banca. Lei era bella, un poco sciupata, comprensibilmente perché
aveva cinque bambini. Era solito allontanarsi senza avvisare, il marito? Aveva dei
nemici? Be’, sì, perché il rispettabile funzionario di banca prestava soldi a
usura, era uno strozzino, insomma. Aveva altre donne? Be’, anche…
Cristina Cassar Scalia ha sostituito la protagonista siciliana doc dei suoi romanzi seriali, Vanina Guarrasi, con un commissario che viene da Roma e che ha un nome che si ritrova sulle pagine della Storia dell’antica Roma,
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Vanina Guarrasi sullo schermo |
Una lettura attenta farà caso agli indizi
che portano a scoprire chi ha commesso l’omicidio- non abbiamo mai avuto dubbi
che la morte giustificasse l’assenza del notabile da casa-, la narrazione
procede spedita, ricca di piccoli dettagli che la caratterizzano e la rendono
molto piacevole, sorprendendoci con una Sicilia nella morsa del gelo dicembrino.
Se volessi dare un giudizio, direi ‘senza
infamia e senza lode’, piacevole per l’appunto.