venerdì 2 maggio 2014

Tracy Chevalier, "L'ultima fuggitiva" ed. 2013

                                                           la Storia nel romanzo
                                                           il libro ritrovato

Tracy Chevalier, “L’ultima fuggitiva”
Ed. Neri Pozza, trad. Massimo Ortelio, pagg. 308, Euro 18,00
Titolo originale: The Last Runaway

A un tratto la sagoma scura uscì allo scoperto rivelandosi per quello che era: una giovane donna di colore, a piedi nudi e con un vestito giallo. Aveva i capelli legati da una striscia di stoffa strappata dall’orlo del vestito. Quando si alzò, la gallinella scappò spaventata, ma la donna rimase immobile in mezzo al cortile, la mano tesa verso Honor. Nella sua inerme semplicità, quel gesto le fece accapponare la pelle. Aiutami, questo voleva dire, sono una fuggiasca. Le avevano insegnato fin da bambina che la schiavitù era una brutta cosa e andava combattuta, ma si era sempre trattato di parole, buoni propositi. Ora Honor era chiamata a fare qualcosa, anche se non sapeva cosa.

    Seguiamo la traccia dei nomi, per iniziare la lettura de “L’ultima fuggitiva”, il nuovo e tanto atteso romanzo di Tracy Chevalier. Siamo il lettore ignaro che cerca di anticipare il gusto delle pagine che ha davanti.
    L’Adventurer, una nave salpata da Bridport, non lontana da Lyme Regis dove la scrittrice aveva ambientato “Strane creature”, e diretta in America: è una premonizione di un’avventura. Tra i passeggeri due sorelle a bordo: Grace e Honor. I loro nomi non sono affatto insoliti per l’epoca in cui vivono, ma l’orecchio e l’occhio attenti colgono la loro appartenenza al movimento religioso della Società degli Amici, altrimenti detti Quaccheri. Ed è un dettaglio fondamentale per la storia che leggeremo.
E’ il 1850. Grace intende raggiungere nell’Ohio il fidanzato, Honor accompagna la sorella per incominciare una nuova vita dopo la delusione per la fuga del suo promesso sposo con un’altra donna. E’ Honor la prima fuggitiva di questo romanzo che inizia con le parole, ‘Non poteva più tornare indietro’. Nessuno può mai tornare indietro da ciò da cui fugge, anche se la condizione di Honor è rosea in confronto alle fughe di cui leggeremo, ma…i trenta giorni sull’oceano sono stati un inferno per la ragazza che non ha smesso un istante di soffrire il mal di mare. E così Honor, la cui nostalgia per il luogo che ha lasciato, per la famiglia e l’amica Biddy, traspare dalle lettere che scrive e che impiegheranno due mesi per arrivare a destinazione, deve proseguire il viaggio, anche quando Grace muore di febbre gialla e Honor si chiede come riuscirà a dare la notizia al fidanzato e che cosa ci farà lei, in mezzo a gente che non conosce.
      Tracy Chevalier ci ha reso dipendenti dalle splendide ricostruzioni ambientali dei suoi romanzi in cui ci ha narrato- finora- storie che si svolgevano nel Vecchio Continente, ad iniziare da “La ragazza con l’orecchino di perla” (2000) che soffiava vita in un quadro di Vermeer a “Strane creature” (2009) che ci spalancava il mondo dei fossili. Ne “L’ultima fuggitiva” Tracy Chevalier fugge lei stessa dall’Inghilterra in cui vive dal 1984 per ritornare nella sua America, guardandola con gli occhi dell’inglese Honor che si stupisce del paesaggio, delle piante e degli animali che non ha mai visto prima, del modo di vivere degli abitanti che le paiono rozzi in paragone con gli inglesi. Poco pulite e ordinate le case, poco ospitali le persone, poco spirituale l’atmosfera nelle sale dell’assemblea in cui gli Amici si raccolgono per onorare Dio con la meditazione. Honor ha un’arte: cuce in maniera finissima, la sua specialità sono le trapunte. E le trapunte- la tecnica per unire i ritagli di stoffa, il significato dei vari disegni, le occasioni per cui vengono cucite- diventano l’emblema di tutte le differenze tra i due mondi: estremamente semplici quelle americane, raffinate quelle inglesi, dono d’amore quelle inglesi, la dote fissata in un numero per le spose americane.   

     C’è un tema che sta a cuore a Tracy Chevalier che ‘ritorna’ negli Stati Uniti ed è quello dei veri fuggitivi negli anni precedenti la guerra civile americana- gli schiavi di colore che cercano di raggiungere il Canada dagli stati del Sud dove il loro lavoro forzato nei campi di cotone è essenziale per l’economia a vantaggio esclusivo dei ricchi bianchi. I quaccheri sono contrari alla schiavitù- non è forse detto sia nella Bibbia sia nella Costituzione che tutti gli uomini sono stati creati uguali? E’ inevitabile che Honor, la semplice Honor che ragiona con la sua testa e non si lascia intimidire da nessuno, si presti ad aiutare quelle ombre scure che passano di notte, braccate come animali dal fascinoso Donovan che si annuncia all’inseguimento con il cupo rumore degli zoccoli del suo stallone (il nostro pensiero corre ai Nazgul, i Cavalieri Neri di Tolkien). Il bene e il male sono schierati su fronti avversi nella lotta in cui si contendono la vita dei fuggitivi. Il bene opera di nascosto- ‘la ferrovia sotterranea’ era il nome che veniva dato al percorso con punti sicuri di appoggio a cui gli schiavi potevano rivolgersi-, il male è altisonante e ha il colore del sangue. E’ bello il personaggio di Honor, così fedele al nome che porta, che non apre più bocca per manifestare il dissenso con la famiglia dell’uomo che ha sposato (vincendo l’attrazione per Donovan, una sorta di Heathcliff americano). Bello anche quello di Belle (il cui volto non è né bello né carino, in contraddizione al suo nome che rispecchia invece il suo cuore) che crea cappellini e nasconde schiavi.    

     Quanto all’ultima fuggitiva- è forse la donna di colore che è tornata per riprendere le sue bambine e fuggire una seconda volta? È Belle che fugge nell’aldilà? E’ Honor che, riunitasi al marito, fugge verso Ovest con la loro bimba Comfort (un altro bel nome significativo)? E’ la vecchia nera che sfugge alle grinfie del furioso Donovan? E c’è ancora un’altra riflessione che ci ha accompagnato lungo tutto il libro, perché sappiamo che il passato dei romanzi della Chevalier non è mai interamente passato: forse la parola ‘ultima’ non esiste affatto, in qualche parte del mondo c’è sempre qualcuno che continua a fuggire da persecuzioni, violenze, ingiustizie, guerre. Alla ricerca di uno scampolo di vita.
   


la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it



      

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