lunedì 19 maggio 2014

Timothy Findley, "Guerre" ed. 2005

                                                            prima guerra mondiale
                                                            il libro ritrovato


Timothy Findley, “Guerre”
Ed. Neri Pozza, trad. Maria Cristina Ravioli, pagg. 238, Euro 15,00


La guerra del 1914-1918 è passata nella memoria collettiva come la “Grande Guerra”, perché per la prima volta una guerra coinvolgeva un così gran numero di potenze mondiali e perché per la prima volta vennero impiegate armi letali più potenti, armi chimiche e aeroplani. Remarque, Céline, Hemingway, hanno scritto dei capolavori sulla prima guerra mondiale. A questi aggiungiamo ora “Guerre” dello scrittore canadese Timothy Findley, scomparso nel 2001, un libro che, come tutti i grandi libri, offre diversi livelli di lettura. Il primo, il più facile nella sua drammaticità, è quello della storia del volontario canadese Robert che salpa per la Francia nel dicembre del 1915, resta gravemente ferito nel giugno del 1916- morirà nel 1922 prima di aver compiuto ventidue anni. C’è un sottotesto, però, che arricchisce straordinariamente questa lettura, disseminato di indizi e riferimenti che completano la storia, trasformandola in una potente denuncia dell’assurdità della guerra e di tutte le guerre, un lamento virile sullo spreco di gioventù spezzate, un apprezzamento dei valori dell’amicizia e dell’amore. Chi era Robert? Il libro si presenta come una specie di inchiesta, una ricerca di testimonianze per capire l’episodio in apparenza folle che segnò la fine del ragazzo: sotto il bombardamento nemico, aveva fatto fuggire  centotrenta cavalli guidandoli in salvo, come un cowboy impazzito.
E allora lo scrittore torna indietro, guarda le fotografie di Robert insieme alla sua famiglia, ascolta chi lo ha conosciuto, cerca di ricostruire quello che è successo. Aveva una sorella handicappata, Robert, di cui si sentiva responsabile e, quando lei era morta in un incidente, lui si era arruolato. E’ questo un indizio della predisposizione di Robert a prendersi cura dei più deboli- come farà per l’amico Harris che si è ammalato durante il viaggio in mare; così come il suo rifiuto di uccidere i conigli tanto amati dalla sorella si collega al trauma di obbedire all’ordine di finire un cavallo azzoppato e culmina poi quando Robert uccide il ragazzo tedesco sulla linea del fronte. Una scena bellissima ed emblematica: Robert e i compagni hanno appena scoperto di essere sopravvissuti ad un attacco di gas e vedono il tedesco, un ragazzino come loro. Uno scambio di occhiate, un messaggio muto- perché uccidersi? Ma sarà Robert a sparare- lui, che per errore aveva ripetutamente mancato il cavallo nella stiva, uccide per errore, perché non è una pistola quella che il tedesco si allunga a prendere, ma un binocolo. E quel potente simbolo sessuale, il cavallo, è un filone conduttore per un’allusione, o più di un’allusione, all’amore omosessuale, implicito nell’amicizia di Robert e Harris, esplicito in un rapporto spiato in un bordello, culminante nello stupro che Robert subisce- ma forse è anche dello stupro gigantesco della guerra di cui si vuol parlare. Il tema della giovinezza sprecata è sottolineato di continuo con citazioni da libri per ragazzi (è dal libro di Mark Twain il saluto della madre di Robert, “torna alla zattera, Huck”, solo che Robert non tornerà mai più) in stridente contrasto con il trattato di Clausewitz sulla guerra che un ragazzo legge nelle trincee o con i versi di canti religiosi. Un’ultima osservazione sull’atmosfera di questo splendido romanzo: il ricordo è quello delle vaste praterie del Canada accarezzate dal vento, la realtà è quella della pioggia implacabile e del fango che sembra essere stato creato nelle Fiandre, che risucchia i vivi prima ancora che siano morti.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos

Timothy Findley



                 

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