venerdì 30 maggio 2014

Elif Shafack, "La bastarda di Istanbul" ed. 2006

                                                       Voci da Mondi diversi. Medio Oriente
il libro ritrovato

Elif Shafak, “La bastarda di Istanbul”
Ed. Rizzoli, trad. Laura Prandino, pagg. 385, Euro 18,50
Titolo originale, The Bastard of Istanbul

Le storie di famiglia possono intrecciarsi in modo tanto profondo che ciò che è accaduto generazioni prima può avere conseguenze su dettagli apparentemente irrilevanti nel presente. Il passato è tutto tranne che concluso. Se Levent Kazanci non fosse diventato un uomo così amaro e prepotente, suo figlio Mustafa sarebbe stato una persona diversa? E se generazioni prima, nel 1915, Shushan non fosse rimasta orfana, Asya, oggi, sarebbe lo stesso una bastarda?

    Già nel titolo, “La bastarda di Istanbul”, troviamo un accostamento di parole- un nome e una città- che, in qualche maniera, ci suonano dissonanti. Perché, pur consapevoli di una generalizzazione, associamo la città turca con la religione musulmana di cui conosciamo la severità nei confronti delle donne e intuiamo che un figlio bastardo deve portare sulle spalle un greve fardello. Ma anche che ci deve essere stata una buona dose di coraggio per una donna, per mettere al mondo una figlia bastarda. E’ come se il titolo fosse un’anticipazione di idee e modi di vita opposti, che si attraggono e si respingono. Il libro inizia con una figura femminile che corre, in minigonna e tacchi alti, sotto la pioggia. E’ bella, è giovane, è oggetto di attenzioni. Lei è spavalda e un poco ribelle- lo sarà in tutto il libro. Qui, nel primo capitolo, sta andando in una clinica ad abortire: non se ne farà niente, nascerà Asya, una delle due protagoniste principali del romanzo. L’altra protagonista è una bimba in Arizona, figlia di madre americana e padre armeno che si sono appena separati. La bimba si chiama Armanoush Tchakhmakhchian (un cognome volutamente quasi impronunciabile) e sua madre, per vendicarsi della famiglia invadente dell’ex marito, non trova niente di meglio da fare che sposare in seconde nozze un turco.

    Questi gli antefatti di una storia che intreccerà le vite delle due ragazze, rivelando legami più vecchi ancora, perché gli armeni un tempo convivevano pacificamente con i turchi- fino alla prima guerra mondiale, fino alle persecuzioni, le deportazioni, il genocidio mai riconosciuto dalla Turchia, la diaspora. La vita è piena di strane coincidenze e uno scrittore può appropriarsene a piene mani: chi può dire che qualcosa è impossibile? E così, come in una rivisitazione del classico romanzo ottocentesco in chiave turca, il patrigno di Armanoush è lo zio di Asya, unico maschio con quattro sorelle della famiglia Kazanci; un gioiello che apparteneva alla bisnonna di Armanoush riappare nei cassetti di una zia di Asya, e la nonna di Armanoush è la bambina salvata per miracolo in una delle marce della morte, finita in un orfanotrofio, andata sposa ad un turco (non diciamo a chi) finché uno dei fratelli non l’aveva ritrovata e portata via con sé, in America.
     Non abbiamo svelato niente che il lettore non scopra quasi subito nelle pagine del romanzo, costruito su capitoli che alternano uno sguardo sull’interno della famiglia turca a Istanbul e uno sulla famiglia armena in America. E ci colpisce la somiglianza di vita e comportamenti, la condivisione di ricette e di alcune tradizioni, a sottolineare un passato comune. Le donne giocano il ruolo più importante in entrambe le famiglie, nonostante la palese venerazione per gli uomini di casa, ed Elif Shafak accentua la caratterizzazione di ogni figura attribuendo loro dei tratti che le differenziano e che vengono continuamente sottolineati e ripetuti, impedendoci di confonderle- come faceva Dickens nei suoi affollatissimi romanzi. Per le donne Kazanci, poi, la diversità assume anche un altro significato: una zia porta il velo, la madre di Asya sfoggia una massa di ricci ribelli, un’altra zia cambia di continuo acconciatura e colore dei capelli; una è insegnante, una predice il futuro, una fa tatuaggi…tutto è possibile a Istanbul, la religione non impone regole ferree.
Quando Armanoush arriva a Istanbul in cerca delle sue radici e rivela di essere armena raccontando la sorte della sua famiglia in esilio forzato, la reazione che incontra, sia nella famiglia Kazanci sia tra gli intellettuali che le presenta Asya, è sconcertante- c’è chi non sa niente, chi nega, chi pensa che ormai sono avvenimenti del passato ed è inutile ritirarli fuori. Ed è qui che il romanzo di Elif Shafak, che in Turchia ha subito una condanna per questo libro, acquista peso e consistenza pur nel tono scanzonato e ricco di humour: il passato non è mai passato, ai morti si può dare pace solo quando si riconosce la violenza che è stata loro inflitta, le ingiustizie non possono essere risanate ma ci se ne deve assumere responsabilità.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

Elif Shafack


                                                                

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