mercoledì 14 maggio 2014

Susan Abulhawa, "Nel segno di David"

                                                        Un giorno. Un paese
                                                        Voci da mondi diversi. Medio Oriente.
                                                         il libro ritrovato



Susan Abulhawa, “Nel segno di David”
Ed. Sperling & Kupfer, trad. Claudia Lionetti, pagg. 365, Euro 17,00
Titolo originale, The Scar of David


Con la conquista israeliana della Palestina nel 1967 non potemmo più tornare a Gerusalemme. Non ci era permesso. Durante il primo giorno di occupazione Israele demolì tutti i circa duecento antichi palazzi del quartiere marocchino, dando alle centinaia di residenti poche ore di preavviso per evacuare le loro case, le loro vite, la loro storia.


   Suo padre glielo ripeteva sempre, che l’avevano chiamata Amal, con la a lunga, perché così acquistava il significato al plurale: voleva dire “speranze”, tutte le speranze che erano necessarie ai palestinesi per continuare a voler vivere. Si chiama Amal la protagonista che- ad un certo punto- diventa la voce narrante del romanzo “Nel segno di David” della scrittrice palestinese Susan Abulhawa. In realtà il titolo originale è “La cicatrice di David”, perché il fratellino di Amal, rapito da un israeliano per essere “regalato” alla moglie sterile, aveva una cicatrice sul viso e verrà riconosciuto da quella cicatrice quasi vent’anni dopo, durante la guerra dei sei giorni, dal fratello maggiore. Mentre lui neppure sa di essere arabo, di essersi chiamato Ibrahim prima che i nuovi genitori gli dessero il nome di David, di trovarsi davanti ad un nemico che è in realtà suo fratello. E allora il segno di quella vecchia ferita diventa qualcosa di più di un marchio di riconoscimento, è la cicatrice mai rimarginata di tutta una nazione, è una linea di frontiera che una volta non esisteva, sarà un muro eretto come un recinto.

     “La storia la scrivono i vincitori”, è una frase citata da Goering a Norimberga, e fa un effetto strano riferirla in questo contesto in cui i vincitori appartengono al popolo che i nazisti avevano progettato di sterminare. La Storia dei vincitori- gli Israeliani- parla di una terra promessa da cui sono stati espropriati ma loro di diritto, unica garanzia di vita dopo i pogrom, le uccisioni di massa e i forni che li hanno spinti a lasciare l’Europa. La Storia dei vinti- i palestinesi- parla del primo grande sopruso di aver dovuto abbandonare, nel 1948, le case e la terra in cui vivevano da un tempo di cui si è persa la memoria, di essere stati sospinti come bestiame nei campi profughi, con scene di violenza che sono pari a quelle di stampo nazista. La Storia contenuta nei libri cita il trattato di Balfour che ha creato le premesse per mezzo secolo di guerre e guerriglie.
    Il libro di Susan Abulhawa racconta la storia dei vinti attraverso quella della famiglia di Amal, con due grandi scene di apocalittica violenza che segnano i due climax del romanzo: la prima è nel 1948, quando la famiglia di Amal deve lasciare Ein Hod, fondata da un generale dell’esercito di Saladino nel 1189, e culmina nel rapimento del bambino; la seconda è nel 2002, quando gli israeliani distrussero Jenin, il campo profughi che era cresciuto a dismisura in mezzo secolo di “provvisorietà”. Covo di terroristi, secondo Israele, ma la rappresaglia operata, che non fa distinzione tra attivisti, vecchi, donne e bambini, è di infausta memoria.
    E’ un romanzo composito, “Il segno di David” di Susan Abulhawa, a tratti romanzo storico e a tratti saga famigliare. C’è un tono nostalgico nella rievocazione di un passato dorato e scomparso, una vena sentimentale nelle storie d’amore della protagonista, del fratello, dell’amica, una indignazione che unisce la rabbia al dolore nel racconto di fatti che non sono stati riferiti in maniera corretta dai media. Ed è sempre opportuno leggere la storia nella versione dei vinti, ascoltare un’altra voce.    

la recensione è stata pubblicata su www.alice.it, devo però aggiungere che in seguito il romanzo di Susan Abulhawa è stato rivisto dall'autrice e ripubblicato dalla casa editrice Feltrinelli con il titolo "Ogni mattina a Jenin".
Susan Abulhaw 

                       

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