giovedì 18 marzo 2021

Subramanian Shankar, "Il fantasma del tamarindo" Intervista 2021

                                                  


  “Il fantasma del tamarindo” è il terzo romanzo di Subramanian Shankar, professore di inglese e direttore del Creative Writing Program alla University of Hawai’i a Manoa.

Nel suo sito (www.sshankar.net) Mr. Shankar dà una bellissima definizione di sé e della sua opera: 

  Sono uno studioso-romanziere. Scrivo in generi diversi perché la parola è flessibile e potente, a volte più potente della spada. La mia narrativa è basata su profonde ricerche, mentre i miei studi sono guidati dalla mia attività come romanziere.


Il suo romanzo non è affatto una visione romantica dell’India. Anzi, è l’opposto. C’è una grande storia d’amore, ma c’è anche una tragedia che è parte di un’altra tragedia più grande. C’è stato un avvenimento particolare o una storia vera che Lei conosceva che ha dato origine al romanzo?

     Sì, alcune parti del romanzo hanno preso ispirazione da storie vere e da persone vere. La nonna, Gomati Paati, in particolare. Il suo personaggio è basato, alla lontana, sulla mia bisnonna per quello che riguarda il suo ambiente, non gli avvenimenti che hanno a che fare con il nipote Ramu ma la storia delle sue origini. Anche molte delle località, ad esempio il villaggio di Ramu e di Ponni, sono state ispirate da luoghi veri. Inoltre mi sono basato molto sulla mia conoscenza della storia delle caste, inclusa la lotta contro il sistema delle caste. Molti episodi del romanzo, ad esempio il mantenimento di pozzi separati per le diverse caste oppure lo sciopero dei lavoranti, sono storicamente ben documentati. Come dice Lei, non è affatto una visione romantica dell’India.


Il romanzo si svolge nel Tamil Nadu. L’India è un paese così grande che corriamo spesso il rischio di generalizzare. Quali sono le caratteristiche del Tamil Nadu che lo rendono diverso da altre parti dell’India?

     È vero, il Tamil Nadu è molto diverso dalla maggior parte dell’India, storicamente e culturalmente. Proprio come l’altro stato del Sud dell’India che gli è vicino, il Kerala. Sono molte le maniere in cui il Sud dell’India è diverso dal Nord. Per la lingua, il cibo, perfino per il tipo di induismo che è praticato. Politicamente il Tamil Nadu si è trovato ad essere spesso al di fuori dei grandi regni e degli imperi del Nord centrati intorno al fiume Gange. I contatti esterni dell’India del Nord sono per lo più con l’Asia occidentale e centrale. Invece il Sud dell’India ha sempre avuto dei collegamenti storicamente più profondi con l’Africa e con l’Asia Sud-orientale. Spero che il romanzo renda in parte giustizia a questa complessa realtà dell’India del Sud.


È inutile dire che sono rimasta molto turbata dalla discriminazione che è al centro del romanzo. La vicenda copre un lungo periodo di tempo, iniziando dall’India coloniale fino agli anni ‘70 e ‘80- lo sappiamo perché è citata Indira Gandhi. È ancora presente oggi il sistema delle caste? Avrei pensato che il Raj avesse fatto qualcosa per abolirlo, proprio come hanno proibito il suttee. Non hanno fatto nulla?

    Oggigiorno la discriminazione secondo le caste è vietata legalmente in India, messa fuori legge nella costituzione. Ma naturalmente c’è la legge e c’è la realtà della pratica, così in molte parti della vita indiana continuano la discriminazione e il pregiudizio secondo le caste- dalla violenza fisica e omicidio (penso ai recenti delitti d’onore e linciaggi) alle forme quotidiane di mancanza di rispetto. Purtroppo questo fa parte della realtà contemporanea dell’India, anche se nello stesso tempo dobbiamo ammettere che si è lottato per apportare veri cambiamenti- qualcosa a cui il romanzo cerca di rendere onore.

    Per quello che riguarda la sua domanda sul Raj britannico, temo che i britannici avessero meno interesse nel sopprimere le atrocità che nello sfruttare le differenze. È vero che il governo britannico che, come mostro nel mio romanzo, era razzista e colonialista, ha scosso molte cose nella società indiana. Ma ha anche reso peggiori molti aspetti della discriminazione all’interno della società indiana. Perché in fin dei conti i britannici, se dovevano schierarsi con qualcuno, preferivano farlo a fianco dell’élite della società indiana.


Vengono usate due parole diverse per indicare la casta più bassa: paraiyar e adi dravida. Capisco che ci deve essere una sottile differenza di significato, potrebbe spiegarla? Ed è questa la casta che è conosciuta come quella degli ‘intoccabili’?

      Lo so, è complicato! Ci sono tante caste cosiddette ‘intoccabili’ in India. Paraiyar è il nome per una specifica casta ‘intoccabile’ nell’India del Sud. Ovviamente ‘intoccabile’ è un termine veramente problematico. Così nel tempo si è cercato di proporre delle alternative. Adi Dravida è uno di questi termini che è stato proposto nel Sud dell’India. Adesso il termine preferito e usato maggiormente in tutta l’india è Dalit, reso popolare dal grande leader Dalit B. R. Ambedkar.

Ho pensato che il personaggio di Parthiban Reddy, il proprietario della cava, ‘il boss cattivo’ che sfrutta gli abitanti del villaggio, rappresenti coloro che traggono vantaggi economici dal mantenere la gente in condizione di ignoranza e sottomissione, aumentando così la loro discriminazione. Ed è una cosa che succede ovunque. Anche se è stata abolita più di un secolo fa, è ancora presente la schiavitù, nei suoi molteplici aspetti?

      Quella che si raffigura in quella parte del romanzo non è la vera schiavitù, un sistema in cui le persone possono essere comprate e vendute come proprietà, ma piuttosto una forma di lavoro vincolato, una forma di lavoro in cui, con una combinazione di pressione sociale ed economica e di esclusione, i lavoratori sono tenuti in forme estreme di mancanza di libertà. Tecnicamente questa può anche non essere schiavitù, ma è certamente una devastante forma di sfruttamento dove la casta ha un ruolo cruciale. Il romanzo cerca di evidenziare questo con il personaggio di Parthiban Reddy.


Il primo fidanzato di Ponni è un attore, lo zio di Ponni è un attivista politico, il padre di Ramu è un intellettuale e lo zio è un proprietario terriero del tutto sordo alle necessità dei suoi lavoranti, Ramu e il suo amico si dedicano ad una causa umanitaria. Voleva forse mostrare i percorsi diversi che un uomo può scegliere di fare?

    Questa è una bella osservazione. Per me era molto importante non lasciare il lettore con una visione piatta e unidimensionale dell’India, specialmente considerando gli argomenti difficili di cui tratta il romanzo.

Il tema della giustizia: il mistero della morte di Murugappa e di Ramu e del suo amico non viene risolto. Dobbiamo leggerci un altro tipo di discriminazione?

    Anche questa domanda mi piace molto e penso che includa già la risposta. Non tutti i misteri della vita sono risolti, vero? E a volte non perché non possono esserlo, ma perché a nessuno interessa risolverli. Sappiamo che la giustizia è raramente uguale per tutti. E non è forse anche la mancanza di giustizia un’altra forma di discriminazione?

 Le sto facendo queste domande il giorno della Festa della Donna, vogliamo quindi parlare del bellissimo personaggio di Gomati Paati, la nonna di Ramu? Penso che sia il personaggio più completo, quello che, per amore, supera i pregiudizi con cui è cresciuta. È splendida. Dobbiamo lasciare alla donna il ruolo di superare la discriminazione?


     Sì, facciamolo. Molti lettori hanno ammirato il personaggio di Gomati Paati, che non è senza difetti ma che lotta contro di essi. Ha incominciato come un personaggio minore, avevo intenzione di darle un ruolo breve all’inizio del romanzo. Poi è lei che a forza si è scritta da sé nel romanzo! Penso che il contributo che le donne hanno dato per rendere il mondo un luogo più sicuro, più gentile e più giusto, non venga riconosciuto a sufficienza. Se Gomati Paati può avere una piccola parte in questo, per me va benissimo.

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intervista e recensione saranno pubblicate da www.stradanove.it



 

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