Voci da mondi diversi. Area germanica
guerra dei Balcani
Melinda Nadj Abonji, “Soldato tartaruga”Ed. Keller, trad. Roberta Gado, pagg. 193, Euro 16,00
Ecco un altro romanzo che si aggiunge a
quelli che già conosciamo e che lanciano un forte messaggio contro la guerra,
contro tutte le guerre- “Mattatoio n.5” di Kurt Vonnegut, “Il buon soldato
Sc’veik” di Jaroslav Hasek, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di
Remarque, i romanzi di Ralf Rothmann, per citare i primi che ci vengono in
mente. Il tema non è nuovo, dunque, e forse non lo è neppure la figura del
personaggio principale, il ragazzo che, per essere politicamente corretti, si
definirebbe ‘diversamente abile’ schiacciato dalla macchina della guerra. E la
prima domanda che ci si pone è proprio- ma chi ha potuto giudicare abile alla
leva un ragazzo così?
Zoltán Kertész, figlio unico che vive con i
genitori in un paese al confine tra Ungheria e Serbia, era perfettamente
normale e faceva il garzone del panettiere fino all’incidente descritto, dal
suo punto di vista, nelle prime pagine. Era caduto dalla moto, suo padre non si
era neppure accorto che non era più seduto dietro di lui. E comunque, dopo, Zoltán
non era più stato lo stesso. Il panettiere poteva dargli solo l’incarico di
spostare i sacchi di farina. La voce di Zoli- il diminutivo con cui lo chiamano
tutti- è quella di un bambino anche se ha più di vent’anni. Per quello che
dice, per come lo dice. Ha la passione per i fiori, vuol bene al suo cane, il
rapporto con la madre, una donna delusa sia dal figlio sia dal marito, che beve
e che probabilmente incontra altri uomini, è difficile- chissà fino a che punto
Zoli si rende conto del disprezzo con cui lei lo tratta.Zrenjanin
Agli inizi degli anni ‘90 scoppia la guerra
dei Balcani e Zoli viene arruolato nell’Armata popolare jugoslava. Il tono
della narrazione cambia, la voce di Zoli è sempre più infelice e spaventata, la
richiesta supplichevole perché la madre lo tiri fuori dalla caserma cade nel
vuoto. Anzi, la madre- e non sappiamo se giudicarla egoista o irresponsabile o
crudele- è solo capace di raccomandargli di ‘non partire per la tangente’
(quando Zoli ha una reazione esagerata) e di ripetergli che l’esercito farà di
lui un uomo, una vecchia retorica che risulta ancora più stupida in questo
caso.
Una
serie di episodi in cui Zoli diventa lo zimbello dei commilitoni e- ancora
peggio- dei suoi superiori di grado sono lenti passi verso la tragedia finale.
Zoli, però, si fa un amico e non può essere altri che un ragazzo emarginato
quanto lui perché è obeso. Si consolano l’un l’altro, si fanno coraggio l’un
l’altro, cercano di farsi forza reciprocamente per affrontare quella che sarà
la prova suprema di un soldato: ma veramente dovranno uccidere qualcuno?
Poi c’è il punto di volta, la marcia in cui devono battere un record e non se ne sa il perché. E l’amico di Zoli arranca, non ce la fa. Lo legano a Zoli che deve trainarlo, come fosse una bestia. Un’infamia di una crudeltà inaudita. È così che si forma un uomo? O è un uomo chi è capace di provare compassione e di accettare i limiti? Succede quello che succede.
Un’altra voce narrante si alterna a quella
di Zoli, quella di sua cugina Anna, il punto di vista esterno. Anna è stata
compagna di giochi di Zoli, Anna ripercorre i passi di Zoli- va a vedere la
caserma e poi torna nella casa dove il padre di Zoli non vive più e la madre
continua a bere. Vede la debolezza del padre, l’anaffettività della madre,
l’assurdità del dramma che si è compiuto. E la normalità della voce di Anna
evidenzia l’infantilità di quella di Zoli, ci fa soffrire di più per
l’ingiustizia della sua sorte.
Un romanzo che suscita in noi sentimenti
diversi- di pietà, di rabbia, di commozione, di desiderio di protesta. La poesia
della lingua cerca di smorzare questi sentimenti che, invece e proprio per
contrasto. si affermano con forza ancora maggiore.
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Sembra davvero un bellissimo libro da leggere... sicuramente di forti emozioni. Grazie
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