Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
Ed. Neri Pozza, trad. S. Bortolussi, pagg. 318, Euro
18,00
È il 1952. Manca un anno all’incoronazione
della giovane regina Elisabetta, un anno che sarà cruciale per il protagonista
del primo romanzo di Natasha Solomons “Un perfetto gentiluomo”, un anno in cui
giocherà il tutto per tutto per essere riconosciuto come ‘il perfetto
gentiluomo’ inglese. Era quello a cui Jakob Rosenblum mirava da quando, nel
1937, lui e la moglie Sadie erano sbarcati in Inghilterra, in fuga da Berlino.
Appena arrivati, a Jakob era stato
consegnato un opuscolo di Informazioni
utili. Sarebbe diventato la sua Bibbia- quella dei suoi antenati non gli
interessava molto, era Sadie che rispettava le leggi e i riti. Erano
informazioni che dovevano servirgli per integrarsi, per passare inosservato,
per essere ‘come una panchina in un parco’ e non ‘un papavero in un campo di
grano’. Via con quel nome, prima di tutto. Era diventato Jack. Proibito parlare
tedesco anche in casa- peccato che nessuno sarebbe mai riuscito a togliergli quel
duro accento teutonico.
Jack aveva fatto fortuna con una trovata geniale. Si era messo a produrre moquette e tappeti. Si era potuto comprare una jaguar. Eppure tutti quei soldi non gli erano bastati per riuscire ad entrare in nessun club di golfisti- perché, si sa, un vero gentleman inglese gioca a golf. Potremmo dire che se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto, se non suonasse strano riferito ad un ebreo. Perché Jack Rosenblum avrà il suo campo da golf. Non solo. Lo inaugurerà in maniera spettacolare per festeggiare l’incoronazione della regina, a giugno del 1953. Il primo passo è comperare una di quelle romantiche case con il tetto di paglia nel Dorset.
C’è un count-down, quindi, nel romanzo. Si
scaleranno i giorni da quando i Rosenblum arrivano nella nuova casa (romantica
solo nella pubblicità dell’immobiliare, in realtà fatiscente) fino al giorno
fatidico che riserberà parecchie sorprese. Jack è l’eroe assoluto, al centro
della scena. Un eroe fallibile, buffo, “un metro e sessanta di golfista
guerriero”, con un sogno che persegue ad onta di tutti gli ostacoli, senza
curarsi delle beffe e dello scherno di cui è fatto oggetto. Lui “non era uno di
quegli sventurati nei romanzi di Thomas Hardy: lui non credeva nel fato,
credeva che ciascuno dovesse crearsi la propria fortuna”.
Non trova aiutanti per la sua impresa? Farà da solo, lavorerà giorno e notte a spianare e preparare il terreno per il campo da golf, sotto gli occhi dei contadini del vicino villaggio, dapprima divertiti, poi stupiti, poi ammirati, e infine pronti ad aiutarlo.
Viene invitato dall’aristocratico vicino di
casa che vuole mostrarlo come un fenomeno da baraccone ai suoi amici, tutti
snob inglesi puro sangue? Jack accetta emozionato e, se fa una figura ridicola,
molto peggio, molto più disprezzabili appaiono i suoi ospiti che si prendono
gioco di lui.
Ci si mette anche la natura a boicottare il
sogno di Jack? Lo porterà sull’orlo della disperazione? A questo punto, però,
l’ometto ridicolo si è conquistato il rispetto e l’amicizia dei contadini e
tutti saranno pronti ad aiutarlo.
Mentre Jack vede solo la meta del suo sogno, Sadie è la custode dei ricordi, inghiottita dal dolore e dalla tristezza per quelli che sono rimasti in Germania e di cui non si sa più nulla. Jack avanza nella vita senza girarsi indietro, Sadie è la Memoria. E, quando non riesce più richiamare alla mente i visi dei suoi cari, Sadie incomincia a cucinare i piatti ‘di laggiù’ che sanno di casa, che profumano di ricordi, che parlano con la voce del ricettario di sua madre.
Se per Jack il golf è un simbolo del nuovo
uomo che vuole essere, la Baumkuchen,
la torta a tanti strati quante sono le persone che si vogliono ricordare è per
Sadie il simbolo della vita che si sono lasciati alle spalle.
Se
il lavoro al campo da golf permette a Jack di gettare un ponte tra sé e le
persone del posto, la Baumkuchen è il
legame culinario tra Sadie (il suo cognome è stato trasformato nel bellissimo
Rose-in-Bloom, rosa in fiore) e le donne del villaggio.
Ci sarebbe altro da dire di questo romanzo,
del filone delle lettere di Jack al famoso golfista che ci fanno pensare a
quelle di Herzog nel libro di Saul Bellow, del folklore locale, di una
straordinaria amicizia di Jack con un vecchietto con cui condivide bevute di un
micidiale liquore fatto in casa, della 'casa Orchard', del finale, infine, su cui
è doveroso tacere.
Un romanzo molto godibile, anche se non
raffinato quanto “I Goldbaum”.
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