lunedì 22 settembre 2014

Tim O'Brien, "Inseguendo Cacciato" ed. 2007

                                         Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
guerra del Vietnam
il libro ritrovato

Tim O’Brien, “Inseguendo Cacciato”
Ed. Feltrinelli, trad. Sandro Ossola, pagg. 300, Euro 17,00
Titolo originale: Going After Cacciato


E poi, a guerra finita, a storia decisa, le avrebbe spiegato perché si era lasciato andare alla guerra. Non a causa di forti convinzioni, ma perché non sapeva. Non sapeva chi avesse ragione o cosa fosse giusto. Non sapeva se fosse una guerra di autodeterminazione o di autodistruzione, sfacciata aggressione o liberazione nazionale; non sapeva a quali discorsi credere, a quali libri, a quali politicanti…non sapeva chi veramente avesse dato inizio alla guerra né perché ne quando né per quali motivi…

    Avviene per la guerra quello che avviene per la Shoah, riesce impossibile parlarne. Lo storico ha la parte più facile- spiega le cause, enuncia i fatti, battaglie, vittorie e sconfitte, conta i morti, i feriti, i dispersi, i prigionieri. Ma come si fa a dare l’idea della guerra a quelli che non l’hanno né combattuta né vista?
Tim O’Brien fa una scelta azzardata, in “Inseguendo Cacciato”, quella di mescolare il reale e il surreale, il vero e il fantastico. Il risultato è spiazzante, il suo è un racconto tanto più doloroso perché ha bisogno di un’evasione per essere sopportato, ha bisogno di alternare scene che resteranno come un incubo nella memoria di Paul Berlin, il personaggio principale, e scene di un sogno- quello di arrivare a Parigi. A Parigi. A piedi o con mezzi di fortuna. Dal Vietnam. Be’, su un’immaginaria linea retta, quale città se non la Parigi della Tour Eiffel, delle Folies Bergères, della placida Senna, delle torri di Nôtre Dame, può trovarsi all’estremo opposto di Saigon o di Hanoi, nel 1968? Parigi, allora.
Tim O'Brien soldato in Vietnam
     Non si può, però, partire, così, per Parigi. Ci vuole un pretesto. Lo offre Cacciato (il nome è già un programma), una sorta di Forrest Gump del romanzo di O’Brien, il marmittone un po’ stupido che si mette a pescare mentre i compagni devono perlustrare una galleria dove probabilmente il nemico è in agguato, ma neppure poi tanto stupido se rifiuta di unirsi alla congiura contro il comandante che li sta mandando verso una morte quasi certa. Cacciato è così grigio e invisibile che nessuno saprebbe descriverlo. E’ il soldato qualunque. E comunque, un giorno, Cacciato dice ‘basta’ e se ne va. L’aveva detto, che voleva andare a Parigi, che aveva studiato le mappe. Un disertore? Bisogna inseguirlo e portarlo indietro. Partono in sette o otto, seguendo la scia degli incartamenti delle barrette alimentari che Cacciato si lascia dietro. Rifiutano di chiamarsi disertori, loro riporteranno Cacciato in Vietnam.
   Inizia così il più straordinario racconto di viaggio- il lettore non deve mai chiedersi dove finisca la realtà dell’esperienza vissuta e dove inizi l’immaginato, si passa dall’una all’altro senza soluzione, quasi come se questo fosse l’appendice indispensabile di quella. E invece non c’è dubbio sul dove incominci la realtà della guerra, a mano a mano più difficile da sopportare- i compagni morti: fino ad un attimo prima scherzavano e facevano battute e poi si era in attesa dell’elicottero che ne portasse via i corpi (ammesso che riuscisse ad atterrare);
la Regione dei Laghi (uno di loro l’aveva chiamata così) con i crateri delle bombe piene di cadaveri galleggianti nell’acqua (già, piove sempre); le maledette gallerie in cui due di loro avevano perso la vita: perché mai esplorarle e non farle saltare subito in aria?; i villaggi bruciati, la gente spaventata. Niente aveva preparato il ventenne Paul Berlin a tutto questo. Perché poi si era arruolato? Questa non era la guerra combattuta da suo padre in Europa, quando era chiaro dove fosse il male. E poi si passa, dal racconto di paura e di morte, a quello del viaggio, avventuroso, divertente, incredibile. Si varcano frontiere senza alcuna difficoltà, uno di loro uccide un bufalo che traina un carro con due vecchie e una ragazza in fuga (questa violenza immotivata è il risultato della guerra) e tuttavia la conseguenza è che Paul Berlin si innamora della profuga vietnamita che arriverà con lui a Parigi. Non prima, però, di essere caduti in una galleria e aver conosciuto un vietcong prigioniero là sotto, di essere arrestati e scappati (come nei migliori romanzi di cappa e spada) dalle prigioni di Teheran- ed altre avventure ancora, per finire in una soffitta (come in un romanzo dell’800) vicino alle campane di una chiesa e ai piccioni che tubano.
    La vera fine, però, è di quelle che segnano per sempre, è la maniera più atroce per diventare grandi, per lasciarsi l’età dell’innocenza alle spalle. E con Paul Berlin (un cognome che ricorda la guerra di un’altra generazione) è tutta l’America che si è lasciata l’innocenza alle spalle. Anche se, come dice il vecchio tenente, “Possono capitare cose peggiori”. Lo sappiamo bene, con la conoscenza che abbiamo di quello che è successo dopo.

    Bello e straziante, questo libro che contrappone la guerra ad un sogno.


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