domenica 14 settembre 2014

Marco Magini, "Come fossi solo" ed. 2014

                                                             Casa Nostra. Qui Italia
                                                             guerra dei Balcani
     fresco di lettura


Marco Magini, “Come fossi solo”
Ed. Giunti, pagg. 224, Euro 14,00

   Guardo la massa di corpi impilati, coperti ormai di mosche. Potrò mai dimenticare questa immagine? Cosa dirò a Sanja quando un giorno mi chiederà cosa faceva suo padre durante la guerra?


   A volte ci sfugge un libro. Per disattenzione, perché sono tanti i libri pubblicati, per caso. Ed è una fortuna che qualche altro lettore ce lo segnali, perché avremmo perso veramente molto, senza leggerlo. “Come fossi solo” di Marco Magini è stato pubblicato a gennaio, il mese che culmina con il Giorno della Memoria. Memoria della liberazione di Auschwitz, memoria di tutte le stragi e di tutti gli orrori del secolo XX. Nel libro di Magini tre personaggi si avvicendano per raccontare l’eccidio dell’enclave musulmana di Srebrenica, nel luglio del 1995.
   Romeo Gonzalez, giudice del tribunale internazionale per i crimini di guerra, Dirk, giovane casco blu olandese del contingente Onu, Dražen Erdemovic, il sangue misto, serbo con origini croate, cittadino della Bosnia musulmana. Il colpevole, lo spettatore, il giudice. Eppure, quando terminiamo il libro, avvertiamo un disagio interiore: è l’unico colpevole il reo confesso? Sono tutti e tre colpevoli, anche se solo per emettere una sentenza? Non siamo forse anche noi, spettatori lontani, colpevoli? E’ la Storia ad essere colpevole? Ma che cosa è, chi fa la Storia?


   Dražen Erdemovic fu l’unico ad autodenunciarsi per la strage di Srebrenica, addebitandosi almeno settanta morti. Nel 1996 fu condannato a dieci anni di reclusione, ridotti poi a cinque. Un crimine è sempre un crimine, non ci sono attenuanti. Non ci sono? Lo scandaglio dell’anima di Dražen Erdemovic ci fa provare pena per lui, quanta ne proviamo per quegli uomini, giovani, vecchi, bambini, trasportati sui pullman nella fattoria isolata per essere uccisi. I primi gruppi bendati, gli altri a guardare la morte in faccia. Erdemovic a guardare loro, a non volerli vedere per non ricordarli negli incubi. Era un soldato per caso, Erdemovic che aveva rivestito tre divise, seguendo la storia della Jugoslavia. Si era arruolato per mantenere la moglie e la bambina, era assegnato al trasporto munizioni. Obiezione: non sapeva che cosa fosse una guerra? Che ti trovi a dover uccidere? Contro obiezione: non però ad uccidere civili, gente disarmata, bambini- per carità, come si fa ad accusare di terrorismo dei bambini? Erdemovic si era rifiutato di sparare. Allora era un traditore, si mettesse in fila con i musulmani. Erdemovic pensa alla moglie, alla figlia. Che cosa è meglio, che cosa è meno peggio? Un padre assassino o un padre morto e traditore? E’ il dilemma di tutti i conflitti, è la ‘banalità del male’. Anche un padre assassino muore lì, accanto alla montagna di cadaveri. Non si torna mai dalla guerra.

   Il casco blu Dirk, per tutti gli altri caschi blu che il 13 luglio 1995, fecero uscire 300 persone dal campo protetto in cui si erano rifugiati, volendo ignorare quello che aspettava i convogli della morte. Un’altra vittima anche Dirk, come lo sono sempre i singoli, colpevole al momento di non aver aggiunto uno, due nomi alla lista di coloro che speravano di andare incontro alla salvezza, colpevole di non aver saputo che cosa fare per impedire il massacro. I ricordi di Dirk e quelli di Dražen sono come un ‘prima’ e un ‘dopo’ di orrori. L’affollamento del campo, il puzzo, la disperazione, la donna che partorisce nella polvere, un’umanità umiliata. L’inganno di Dražen, soldato per sbaglio, è l’inganno di Dirk, sorvegliante impotente e senza ordini precisi.
    Ed è anche l’inganno di Romeo Gonzalez, l’ometto senza qualità che era perfino rimasto deluso che un incarico così prestigioso avesse a che fare con uno sconosciuto e non con uno dei mostri- Mladic, Karadžić, Milosevic. Perché, invece, sarebbe stato più facile giudicare proprio un Mladic, un Karadžić, un Milosevic, che non l’uomo qualunque che si era trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato e che si macerava nella colpa. Esiste la giustizia umana? E’ possibile ergersi a giudice delle azioni compiute dai nostri simili, quando saremmo potuti essere noi al loro posto?
    Il libro di Marco Magini, con il suo personaggio reale di un eroe tragico dei nostri tempi, è assolutamente da leggere. Se non altro per ricordare.


   



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