venerdì 12 settembre 2014

Jean.Marie Blas de Roblès, "Alcântara” ed. 2010

                                                       Voci di mondi diversi
                                                        il libro ritrovato


 Jean-Marie Blas de Roblès, “Alcântara”
Ed. Frassinelli, trad. Marcella Maffi, pagg. 718, Euro 22,00

Titolo originale, Là où les tigres sont chez eux

   “I suoi genitori stanno divorziando. Anzi, può darsi che ormai l’abbiano già fatto. Da quello che ho capito, hanno dei problemi con la ragazza. La madre è brasiliana, una professoressa di Brasili che si sta facendo un nome come paleontologa. Sempre in giro per monti e per valli…E’ stata lei ad andarsene. In quanto al padre, a me piace, ma è piuttosto insopportabile. Il genere d’uomo concentrato sul mondo e su se stesso, uno che non ci capisce molto di psicologia. Però è un tipo brillante. Non ho mai capito perché si rovinasse la vita con tanta ostinazione. E, stando a quello che dici tu, anche la figlia è messa male…”

   Athanasius Kircher, un geniale gesuita del secolo XVII. Eléazard von Wogau, giornalista francese che vive ad Alcântara, nel nord-est del Brasile. Elaine, moglie in attesa di divorzio da Eléazard, paleontologa dell’università di Brasilia. Moéma, la loro figlia diciottenne, studentessa che fa tutt’altro che studiare etnologia. Nelson l’aleijadinho, l’handicappato senza gambe che vive nella favela di Pirambù. Il colonnello José Moreira che trama lucrosi investimenti in connivenza con americani e giapponesi, approfittando della semi-incoscienza della moglie quasi sempre ubriaca. L’italiana Loredana, che passa da Alcântara come una meteora. Sono queste le tracce che si dipanano in “Alcântara”, dello scrittore Jean-Marie Blas de Roblès, nato in Algeria nel 1954. Un romanzo straordinario per ricchezza, erudizione, potenza narrativa: non riusciamo ad immaginare altra maniera per scrivere del Brasile (uno stato con una superficie solo di poco inferiore a quella di tutta l’Europa, Russia inclusa) che non quella impiegata da Blas de Roblès, con una miriade di personaggi- e non abbiate timore, non c’è nessun rischio di confonderli o di faticare a ricordarli- che ci mostrano facce diverse del Brasile,
trasportandoci dentro le misere favelas, sulle spiagge dove i pescatori sono sfruttati e fanno la fame mentre giovani viziati ballano, si ubriacano, sniffano, si fanno delle canne, si accoppiano, e poi nel profondo del Mato Grosso, ad accompagnare la spedizione avventurosa di Elaine e un gruppo di colleghi alla ricerca di fossili, e nella fazenda dove l’odioso governatore Moreira colleziona auto d’epoca, senza sospettare che l’aleijadinho aspetta l’occasione di vendicare il padre, morto in uno degli altiforni di Moreira dove nessuna norma di sicurezza viene rispettata. Suo padre era caduto in una vasca di metallo fuso. Di lui era rimasta una sbarra del peso di 65 chili, tanto quanto pesava lui stesso.
     Ogni capitolo di “Alcântara” è diviso in sezioni che seguono i diversi filoni che, naturalmente, finiscono per intrecciarsi in una maniera arcana. E ogni capitolo inizia con la biografia di Athanasius Kircher filtrata attraverso due autori: un manoscritto ritrovato nella Biblioteca di Palermo, con la vita del gesuita Kircher scritta da un altro gesuita, viene inviato a Eléazard perché ne curi una stesura e un commento. Al di là di essere un espediente narrativo, in una maniera intrigante e sorprendente, la vita avventurosa del geniale Kircher (veramente esistito) pare quasi mostrare che non c’è mai niente di nuovo sotto il sole e si instaura un parallelismo singolare tra quello che avviene a Kircher e quanto succede ai personaggi del romanzo.

Così l’interesse linguistico di Kircher (noto egittologo e sinologo) trova rispondenza con l’enigmatico e grottesco scambio di parole tra gli studiosi che si sono addentrati nel Mato Grosso e i selvaggi indigeni che incontrano, il Kircher che finisce oppiomane per calmare i dolori si avvicina alla giovane Moéma che è certa di potersi liberare della dipendenza dalla cocaina, le descrizioni libertine contenute nella biografia sono echeggiate dagli incontri di sesso senza inibizioni di Moéma e dei suoi amici, e così via. Intanto si srotolano le altre storie, inframmezzate da bevute di cachaça e di caipirinha.
Mentre il pappagallo Heidegger ripete la sua frase preferita e storpiata, ‘Porcamente abita l’uomo’, Eléazard si accanisce sul testo kircheriano, rimpiange la moglie, è preoccupato per la figlia, attratto da Loredana e si lascia coinvolgere, infine, in un giornalismo di denuncia; Elaine parte per la spedizione che terminerà in una tragedia; il colonnello Moreira, sorpreso da un’alzata di capo della moglie, gioca sempre più sporco; Nelson porta a termine un attentato, senza sapere che i suoi risparmi per la sognata sedia a rotelle sono serviti per la polvere bianca che uccide la sua ‘principessa’. Perché questo è un romanzo dal finale drammatico, e poi non rimase nessuno…
Jean-Marie Blas de Roblés è un grande affabulatore che padroneggia perfettamente il racconto, mescolando verità e finzione, suspense e colore, in un mirabolante equilibrio di storie. Un bellissimo romanzo che ha vinto il premio Médicis nel 2008.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it






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