martedì 16 settembre 2014

Nicol Ljubić, “Mare calmo” ed. 2013

                                               Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
  guerra dei Balcani
  il libro ritrovato

Nicol Ljubić, “Mare calmo”
Ed. Keller, trad. Franco Filice, pagg. 188, Euro 14,50
Titolo originale: Meerestille

     Che sensazione deve essere quella di vedere lì, oltre il vetro,il proprio padre? Nella consapevolezza che tutti gli altri lo considerano un criminale e si chiedono come possa un uomo commettere ciò che lui ha commesso. Forse qualcuno si chiederà anche come si pone la famiglia di quell’uomo rispetto ai suoi reati. Li ha resi tutti vittime. E in realtà è proprio questo che ha cambiato profondamente la famiglia. vittima, perché costretta a vivere il resto dei suoi giorni all’ombra di un carnefice. Si possono perdonare cose così?

    
 “E’ una cosa tragica dal punto di vista storico”, dice un professore in “Mare calmo”, bellissimo romanzo di Nicol Ljubić. “E’ probabile che la Serbia sia l’unico Paese in Europa che non abbia vissuto una catarsi. Da quasi vent’anni vive isolata dal mondo, con il complesso della colpa.”
Il libro si apre con un prologo al tribunale dell’Aia dove sono in corso i processi per attestare le colpe dei criminali di guerra. L’avvocato che ha preso la parola traccia un brevissimo quadro della guerra che infuriò dal 1991 al 1995 nei paesi che fino alla morte di Tito avevano formato la Jugoslavia. L’attenzione, per i fatti imputati all’uomo che è in attesa di giudizio, si punta sulla cittadina bosniaca di Višegrad, famosa per il lungo ponte ad arcate di epoca ottomana che ha dato il titolo al romanzo di Ivo Andrić, premio Nobel del 1961. A Višegrad, nell’aprile del 1992, fu effettuata una delle pulizie etniche più cruente di tutta la guerra: la città doveva essere liberata dai musulmani (impossibile non pensare a come la storia si ripeta crudelmente, alle dichiarazioni di città Judenfrei durante la seconda guerra mondiale). Uomini, donne, vecchi e giovani, bambini e neonati- uccisi, gettati nella Drina, nelle acque del lago artificiale creato dalla diga di Bajna Basta (durante lavori di manutenzione nel 2010 vennero scoperti sui fondali 373 corpi e la stima è che ce ne fossero duemila), sepolti in fosse comuni (diciannove fosse comuni sono state trovate nel 2001), bruciati vivi dopo essere stati radunati e chiusi nelle case.


L’imputato si chiama Zlatko Šimić. E’ il padre di Ana, che Robert ha conosciuto a Berlino e di cui si è innamorato. Robert adesso è lì, nell’aula del tribunale. E’ venuto apposta per vederlo, per sentirlo, per cercare di capire la storia di quel paese che era pure di suo padre, prima che questi emigrasse in Germania dove Robert è nato. Robert non sa neppure parlare in croato, Ana gli ha detto che zlatko vuol dire ‘adorabile’ ma non gli ha detto che è il nome di suo padre. Ana tiene una fotografia del padre in stanza, ma non gli ha mai parlato di lui, non gli ha confidato che è in carcere a Scheveningen. Quando a Robert è capitato- perché  ne scrivevano i giornali- di parlare della guerra in Bosnia con lei, Ana si è inalberata. Nessuno può dire nulla, se non ha vissuto quella esperienza. Nessuno può giudicare. Ana elude le domande, ricorda le bombe che cadevano su Belgrado, ricorda quando suo padre ha fatto andare via da Višegrad lei e sua madre. L’ultima volta che Robert ha fatto qualche osservazione, lei si è chiusa nel silenzio. Non si sono più visti. Si può amare una ragazza serba, se sei bosniaco o croato? Si può amare una ragazza il cui padre si è spacciato per funzionario della Croce Rossa dirigendo gente in fuga dentro la casa a cui sarebbe stato appiccato il fuoco?

    I ricordi dei giorni d’amore di Robert e di Ana si mescolano alle udienze in tribunale. Parole dolci, l’incanto della scoperta l’uno dell’altra, si alternano alle voci dei testimoni sopravvissuti. Sentiamo Ana che racconta di come il padre le abbia fatto scoprire Shakespeare e il testimone che ha sentito Zlatko Šimić citare “Tito Andronico”. Zlatko Šimić che ha gli stessi occhi della ragazza che Robert ama. Montecchi e Capuleti. Ci si può amare al di fuori del contesto in cui si vive?
   Non si riesce ad interrompere la lettura di “Mare calmo” di Nicol Ljubić, coinvolge le nostre emozioni e i nostri pensieri con la forza di un grande romanzo. Restiamo turbati dalla Storia ancora poco conosciuta di fatti avvenuti vicino alle nostre frontiere (uno sguardo alle date dei ritrovamenti dei corpi delle vittime ne spiega in parte la ragione), ci interroghiamo senza fine sulla duplicità umana e sul fardello della colpa, accostiamo nel pensiero il personaggio di Ana, con il suo rifiuto della realtà, con quello di un’altra Ana, la figlia di Ratko Mladić che si tolse la vita quando venne a conoscere la seconda faccia del padre che adorava (ne abbiamo letto nello splendido romanzo di Clara Usón, “La figlia”). E forse non è un caso che Ljubić abbia scelto lo stesso nome per la sua protagonista, così come non è casuale che in “Mare calmo” Ana sia l’abbreviazione di Cordana- non fa pensare a Cordelia, figlia prediletta di Re Lear?

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it







Nessun commento:

Posta un commento