sabato 13 settembre 2014

Michelle de Kretser, "Il caso Hamilton" ed. 2006

                                                       Voci da mondi diversi. Asia
 il libro ritrovato

Michelle De Kretser, “Il caso Hamilton”
Ed. Neri Pozza, pagg. 348, Euro 17,00

    “Ceylon. Ceilao, sillabe che ripeto in segreto, desiderando di trovarmi là, dove il mondo finisce in un azzurro profondo e nel colpo di coda di un mostro marino. Da ragazzo ne adoravo il guizzo: un’isoletta che cavalca un oceano e niente a frenarne la caduta.” E’ ambientato a Ceylon, l’odierno Sri Lanka, il romanzo “Il caso Hamilton” di Michelle De Kretser, nata a Colombo ed emigrata a quattordici anni con la famiglia in Australia. E, per definirlo, vengono in mente gli aggettivi “lussureggiante”, “ricco”, “intrigante”. Lussureggiante come la natura dell’isola che Michelle De Kretser descrive con l’intensità appassionata di chi ha un legame stretto con un luogo. Il linguaggio della De Kretser ha la capacità pittorica di rappresentare le sfumature di colore delle ombre della giungla, delle pannocchie scarlatte della poinciana e il rosa delle amarillidi, il verde smeraldo dell’ala di un pappagallo e l’azzurro del pavone, e quella auditiva di risvegliare il rumore delle cateratte del monsone e dei canti degli uccelli o del frusciare delle foglie o del respiro lieve dei fantasmi.  



    Sono parecchi i fantasmi che si aggirano a Lokugama, la residenza di campagna della famiglia Obeysekere che è al centro del romanzo- “chi sono i fantasmi se non cose che non sopportiamo di ricordare?”. C’è quello del piccolo Leo, morto in culla a sei mesi, e poi quello di Claudia, la sorella di Sam Obeysekere, che si è uccisa dopo aver ucciso il figlio neonato, e quello di Taylor che si è impiccato in cella. “Il caso Hamilton”, quello che dà il titolo al libro, è la vicenda di un piantatore inglese, Hamilton, trovato morto su un sentiero nella giungla. Erano stati accusati dei braccianti, poi Sam Obeysekere, avvocato che aspirava alla carica di giudice, aveva spostato i sospetti su Taylor, l’amico di Hamilton, e, durante il processo, la moglie di Taylor aveva accelerato la sentenza, offrendo il motivo della gelosia per l’assassinio. Ma ‘il caso Hamilton’ è soltanto una delle trame di questo “ricco” romanzo diviso in quattro capitoli, il primo e l’ultimo con due narratori diversi e i due centrali raccontati in terza persona.
     “La vita è sopportabile solo se può essere considerata una serie di strategie narrative”, ed è con una serie di strategie narrative che esplorano la connessione tra causa ed effetto che veniamo a conoscenza della storia di Sam Obeysekere, nato all’inizio del secolo da una famiglia di mudaliyar, soldati e diplomatici che si misero al servizio dell’Impero. Nella prima parte del romanzo ascoltiamo la voce di Sam, pomposa e leggermente retorica, che inizia spiegando il suo nome di cui Sam è un acronimo- Stanley Alban Marriott Obeysekere- dicendo “la prima storia che si associa a una vita è un nome”. Sono tutti inglesi i primi tre nomi e Sam sarà asservito agli inglesi per tutta la vita, con l’ansia di uguagliarli senza mai poter essere uguale a loro. Tanto che, a scuola, il suo cognome verrà usato con disprezzo, impiegandone la parte che significa ‘obbedire’ in inglese: “Obey di nome, Obey di fatto”. E prosegue raccontando del nonno (morto con un colpo di pagaia sulla testa mentre cercava di salvare una ragazza inglese. Come si permetteva un indigeno di toccare un’inglese?), del padre generoso al punto da sperperare il patrimonio, della madre Maud “fracassatrice” di cristalli negli accessi d’ira, della sorella andata sposa a Jayasingha, compagno di scuola e rivale di Sam, leader del partito nazionalista. E naturalmente racconta del suo ruolo nel caso Hamilton.

    Ancora il caso Hamilton in una versione obiettiva in terza persona nella seconda parte, mentre nella terza ritorniamo a leggere di Sam, del suo matrimonio senza amore, del figlio Harry che finirà per dirgli, “ti ho sempre odiato”, e soprattutto della straordinaria ed eccentrica Maud, reclusa dal figlio a Lokugama, che sprofonda in una colorita e innocua follia, scrivendo lettere in cui “trasforma l’insopportabile nel pittoresco”, inseguendo visioni e ascoltando bisbigli di fantasmi che parlano di vecchie colpe.
     Se la vita è come un romanzo e se il romanzo giallo ci insegna che niente è come sembra e nessuno è credibile, qual è la verità sul caso Hamilton? E che cosa dicono le ombre dei fantasmi che Sam non vuole ascoltare? L’ultimo tassello- “la storia non è una questione di fatti, ma di punti di vista”- è dato dalla lettera che costituisce la quarta parte del libro, scritta da Shivanathan, l’avvocato diventato giudice al posto di Sam e autore del libro che Sam stava leggendo quando è morto. Che conteneva peraltro una versione romanzata del caso Hamilton. E ancora un’altra versione del caso Hamilton si legge nella lettera di Shiva, per bocca di Jayasingha. A quale dobbiamo credere?
    Il libro di Shiva si intitolava “Serendipità”: se serendipità è il processo di scoperta casuale di cose sorprendenti e interessanti, questo è quello che sperimentiamo leggendo il libro della De Kretser.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos




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