domenica 21 settembre 2014

Roberto Costantini, "Tu sei il male" - Intervista 2011

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                                                               cento sfumature di giallo

                                 

INTERVISTA A ROBERTO COSTANTINI

     Non facciamo paragoni, per piacere. Non tiriamo fuori il nome di Stieg Larsson con cui Roberto Costantini non ha nulla in comune, salvo l’aver in mente di scrivere una trilogia di cui “Tu sei il male” è il primo libro. Ascoltiamo invece quello che lo scrittore ha da dirci sul suo romanzo: sono certa che chi non lo ha ancora letto sarà stimolato a leggerlo e chi, invece, lo ha già letto, avrà voglia di riaprirlo, per cercare pagine e frasi su cui ripensare. Come avviene sempre quando un libro è molto bello, molto ricco, molto profondo pur nell’apparente leggerezza.

Un esordiente non giovane, uno scrittore che ha fatto tutt’altro nella vita prima di scrivere: come è arrivato alla scrittura? Perché ha scelto il genere giallo-noir?
     La mia passione per i gialli è nata quando ero ragazzo- avevo sedici anni quando i miei genitori hanno iniziato a mandarmi in Inghilterra per le vacanze-studio e io ho letto, a poco a poco, tutti i libri di Agatha Christie in inglese. I gialli di Agatha Christie sono dei piccoli capolavori, per la loro architettura, per le piccole ambientazioni nella campagna inglese. Dopo la Christie ho scoperto Ellery Queen, Conan Doyle e altri. A questa passione si deve aggiungere un’altra cosa per spiegare come sia arrivato a questo romanzo: sono un ingegnere, avevo un lavoro come consulente che mi portava a viaggiare moltissimo, in pratica ero via tutta la settimana e passavo molte ore in volo. Non riesco a dormire in aereo e allora ho incominciato a buttare giù appunti di idee. Ho accumulato appunti per vent’anni. Quattro anni fa mi è capitato un lavoro complicato che mi ha fatto perdere il sonno: ho deciso di sfruttare quelle ore di veglia per mettere ordine in quegli appunti da cui è nato “Tu sei il male”. E’ una genesi banale, ma è andata così.

“Tu sei il male” è il primo libro di una trilogia, un libro corposo di quasi 700 pagine: come si affronta un simile impegno? Aveva uno schema, uno scheletro su cui ha costruito la vicenda?
     Come le ho detto, avevo vent’anni di appunti, delle bozze per una storia lunga che ho capito doveva essere divisa in tre parti. Sono un ingegnere, di conseguenza ho fatto dei diagrammi di flusso su fogli con cui ho tappezzato la casa, con tutti i punti di svolta della vicenda. Questo primo volume è una storia compiuta di per sé che però lascia in sospeso qualcosa. Se si deve tracciare un paragone, citerei il film “Il padrino”: è una storia che non poteva essere contenuta in un solo film. E’ una storia complessa e ampia, sull’origine del male che in genere nasce nell’adolescenza. E non intendevo dire tutto- come fa Kundera che scrive dei bellissimi gialli dell’anima in cui fa capire le cose senza dirle. Voglio lasciare spazio al lettore, che sia il lettore ad approfondire. Voglio lasciare il dubbio, porre la domanda: che cosa faresti tu al posto suo? “Tu sei il male” è un libro che lascia aperta la porta.

Balistreri nasce e cresce in Libia: perché gli ha voluto dare questi due elementi della sua biografia?
      Sono veramente le uniche due cose che ho in comune con Balistreri…L’origine del male nasce da giovani, da sensazioni di inadeguatezza. Perché stava in Libia Balistreri ha subito una serie di cose che lo rendono violento e irascibile. Non lo è geneticamente- suo fratello è diverso da lui-, ma per la storia della Libia tra il 1965-1970. L’ultima parte della trilogia si svolge in un’ipotetica battaglia per la liberazione di Tripoli- ipotetica perché è negli appunti scritti anni fa. Spero di poter scrivere questa parte a Tripoli quando scriverò il terzo volume. La storia di Michele Balistreri è quella di un ragazzo che non vede il futuro e risolve questa sua incertezza, questa sua inadeguatezza, con la violenza, come avviene agli adolescenti di oggi che sono turbati dai messaggi che gli manda il mondo- la mancanza di prospettive di lavoro, i modelli televisivi di successo…Dal loro senso di incapacità nasce la violenza: ci stiamo costruendo una generazione di potenziali serial killer.

Visto che parliamo di Libia: che cosa ha significato per Lei leggere della guerra, della fine di Gheddafi?

     Come ho detto, ho già scritto per intero la trama della trilogia e, nel terzo libro, la conclusione in cui tutti i delitti trovano il colpevole avviene con la liberazione di Tripoli, che io naturalmente avevo ipotizzato. Sono stato quindi sorpreso da questa strana coincidenza di eventi. Da una parte ho sempre pensato che la Libia avesse il diritto di riprendersi le sue proprietà e dall’altra già molti anni fa pensavo- e l’ho scritto in un articolo- che con Gheddafi sarebbe finita a cannonate. Per motivi di affari, che sono quelli che prevalgono sempre, l’Italia ha chiuso ben più che un solo occhio, umiliandosi oltre ogni dire. E’ stato questo comportamento che ci ha costretto, per decenza, a non intervenire in prima linea, come avremmo dovuto fare. Se da un lato sono contento dell’evoluzione in questo senso, dall’altro mi dispiace, invece, per la mediocrità dell’Italia in questo frangente.

La religione, gli uomini della Chiesa, il Vaticano, occupano un ruolo importante nel romanzo. Si potrebbe pensare che si sottintenda una forte critica di quella che spesso appare come una religione di facciata; eppure no, ci sono anche personaggi che credono veramente, che mettono in atto le parole di Cristo nella loro generosità verso il prossimo. C’è il bene e il male ovunque?
      Ha colto nel segno: non c’è una posizione pro o contro, la religione non è garanzia né di bontà né dell’opposto. L’essere buoni cattolici non vuole dire essere buoni o essere cattivi. Il punto di vista di Michele Balistreri è quello di Nietzsche: la religione è un freno, è un modo di non vivere, bisogna risolvere le cose in questo mondo. E si scontra con il punto di vista del cardinale: quando la Chiesa ritiene che una cosa sia giusta, tende a dire che è giusta per forza. Questo è lo scontro tra Balistreri e la religione.

Nel libro c’è un’importante trama gialla con un serial killer, ma al centro c’è anche il problema irrisolto dell’immigrazione e del razzismo. Che prospettive pensa ci siano per un futuro di integrazione, considerando anche la necessità della forza lavoro straniera?
     Ho cercato di portare attenzione al fatto che la paura genera il razzismo. La paura che l’altro occupi i tuoi spazi, ti rubi il lavoro, violenti le tue donne, genera intolleranza. Noi non riusciamo a trovare la via per essere consapevoli che la presenza di questi immigrati è utile e necessaria all’Italia e dobbiamo aiutarli ad integrarsi. Con la paura tutto diventa ‘tu sei il male’. La mia intenzione era di scrivere un thriller mettendoci dentro altri argomenti su cui riflettere.

Parliamo del suo tormentato protagonista. Perché gli ha dato un doppio che si chiama Angelo e sembra essere il suo angelo custode?
       Perché la storia del Bene e del Male è una storia di specchi: non esistono personaggi come Michele, come Angelo, come il fratello di Michele- sono tutti parti della stessa persona. Michele è una parte che ciascuno di noi ha dentro se stesso. Ognuno sa che, se si comportasse così, sarebbe fuori del contesto sociale di oggi. Accanto a Michele ci sono personaggi opposti perché sono specchi della stessa persona: a tratti, secondo la fase della vita, prevale l’uno sull’altro. Ci può essere il male anche dentro persone irreprensibili. Non si può attribuire l’accusa ‘tu sei il male’ a nessuno, il male è diffuso nella normalità, può venire fuori in qualunque momento.

Può farci qualche anticipazione sui prossimi due volumi?

     Dirò solo due cose in breve: il personaggio della giornalista Linda Nardi, già importante in questo romanzo, acquisterà un ruolo di primo piano in un’inchiesta per scoprire il cuore violento dell’Italia che mescola sesso e politica- sarà sempre un giallo con un serial killer. E poi, come nel modello de “Il padrino”, vedremo Michele Balistreri da giovane, dove nasce la sua violenza.

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it
                                                                 

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