domenica 18 febbraio 2024

Federica Manzon, “Alma” ed. 2024

                                                                Casa Nostra. Qui Italia

            guerra dei Balcani


Federica Manzon, “Alma”

Ed. Feltrinelli, pagg. 272, Euro 18,00

 

      Trieste ha una scontrosa/ grazia. Se piace/ è come un ragazzaccio aspro e vorace/ con gli occhi azzurri…Sono le parole della poesia che Umberto Saba dedica alla sua città. E Trieste è la città- mai apertamente nominata- di Alma, la protagonista del bel romanzo di Federica Manzon. È la città di confine, la città ad Est quando, più tardi, Alma si recherà ad Ovest, la città ‘di qua’ contrapposta al ‘di là dove scompariva suo padre. Ogni tanto suo padre la portava ‘di là’, all’isola, luogo privilegiato dove il maresciallo con gli occhi di vipera consultava i suoi fedeli. ‘Di qua’ c’era ancora l’atmosfera dell’impero austroungarico, c’era la raffinata casa borghese dei nonni, c’era il nonno, così colto, che aveva sempre una spiegazione per tutto. Alma, sua madre e suo padre erano andati dalla casa dei nonni via per andare a stare sul Carso, in una abitazione dove sua madre era incapace di mantenere l’ordine, sempre occupata con il suo lavoro alla ‘casa dei matti’. Un giorno suo padre era tornato con un ragazzino, Vili, figlio di amici, degli intellettuali di Belgrado. Vili, magro, scuro di capelli e di occhi tanto quanto Alma era bionda e bianca e con gli occhi color acqua, sarebbe rimasto a vivere con loro.

Brioni

    Torna a Trieste, Alma che ormai ha superato la cinquantina, all’inizio del libro. Suo padre è morto ed è Vili, che non vede da anni, che deve consegnarle l’eredità. Tre giorni a Trieste, quelli prima di Pasqua. In tre giorni, in un tempo che fluttua tra vari strati di passato e il presente, c’è tutta la storia di Alma, di suo padre, di Vili, della guerra dei Balcani. 

Chi era, da dove veniva, che cosa faceva suo padre? La sua figura era ammantata di mistero. Era vero che era lui a scrivere i discorsi di Tito, quelli che poi venivano consegnati alla stampa?


Sua moglie non aveva occhi che per lui, di Alma non si curava. Lui si rivolgeva ad Alma chiamandola zlato (‘amore’ in sloveno), il nonno la chiamava invece schatzi (‘tesoro’ in tedesco)- Alma diventava grande tra questi due mondi opposti. E intanto cresceva, sconfinando in un amore giovanile, la sua amicizia con Vili. I ricordi sono precisi, sanno di estati e di tuffi in mare, dei ‘Topolini’ (i bagni sulla riviera barcolana), di azzurro e di sale, ma anche del roseto dell’ospedale psichiatrico, della fine di questa fanciullezza dorata. Quando era finita? Con la morte di Tito? I ricordi incalzano, si mescolano a quelli degli anni più recenti quando ormai Alma vive nella capitale e si sente, e la fanno sentire, ‘una straniera’. Alma ricorda quando suo padre era tornato, sconvolto, in fuga da Vucovar assediata. Non sarebbe più andato ‘di là’. Ci sarebbe andato Vili, Alma lo avrebbe seguito a Belgrado, avrebbe visto le fotografie che lui- fotografo di guerra- aveva nascosto, non avrebbe capito, lo avrebbe lasciato.

   Ritrovare Vili a Trieste, nella chiesa ortodossa di san Spiridione, è il finale perfetto per questo romanzo affascinante, ricco di suggestioni. Federica Manzon riesce a farci vivere l’atmosfera di una città dalla gloria antica- la definizione di ‘crocevia’ di culture è abusata, ma è la posizione geografica di Trieste, via di passaggio con affaccio sul mare, è la sua storia che ha le radici a Nord e ad Est più che in un Ovest che le è estraneo, sono i suoi scrittori e i suoi poeti (tanti, per una città che non è grande) che la definiscono, rendendola unica. Non si può parlare di Trieste senza parlare della ex Jugoslavia e della guerra dei Balcani e qui è anche, o forse soprattutto, l’originalità del libro- aver interiorizzato la guerra dei Balcani, non aver scritto di ‘fatti’, come se questo fosse un saggio o una cronaca, ma averla raccontata ‘vissuta’, fatta propria da Alma, con i suoi dubbi e le sue incomprensioni.

    Da leggere.



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