giovedì 22 febbraio 2024

Joseph O’Connor, “La casa di mio padre” ed. 2024

                           Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

   seconda guerra mondiale

Joseph O’Connor, “La casa di mio padre”

Ed. Guanda, trad. Elisa Banfi,  pagg, 352, Euro 20,90

 

     Una prima pagina che riassume la situazione.

Settembre 1943. Le forze tedesche occupano Roma. Paul Hauptmann (in realtà Herbert Kappler), il comandante della Gestapo, impiega l’arma del terrore per tenere in pugno la città.

 Lo stato indipendente del Vaticano è l’unica possibilità di salvezza, offrendo asilo a profughi e soldati alleati evasi dai campi di prigionia. Un piccolo gruppo di persone, guidato da un sacerdote irlandese, mette a rischio la propria vita per aiutarli a fuggire.

    Hugh O’Flaherty, “la primula rossa del Vaticano”-


è questo eroe misconosciuto, protagonista del romanzo di Joseph O’Connor costruito magistralmente come romanzo storico e thriller nello stesso tempo, una storia di ‘caccia al topo’ per le vie di Roma in cui il cacciatore è l’Obersturmbannführer Hauptmann e il topo è Monsignor O’Flaherty, il primo su una Mercedes nera, il secondo su una motocicletta, con Hauptmann che sente sul collo il fiato di Himmler, furibondo per il numero di prigionieri evasi dai campi, e O’Flaherty che tesse minuziosamente le trame delle fughe sotto la copertura di un coro che prepara uno spettacolo per la notte di Natale.

   Il tempo della narrazione è a scalare, ad iniziare dal 19 dicembre, 119 ore e 11 minuti prima dello ‘spettacolo’, e, alternati ai capitoli di azione, pieni di suspense e colpi di scena, ci sono quelli in cui sentiamo la voce degli altri, del gruppo del coro di Monsignor O’Flaherty. Sono per lo più trascrizioni di interviste della BBC fatte molto più tardi, vent’anni dopo quegli avvenimenti. Ascoltiamo gli amici di O’Flaherty, quelli che hanno a messo a rischio la loro vita per aiutarlo- la moglie di un diplomatico irlandese che era stata una famosa cantante, un edicolante, una giovane contessa vedova, l’ambasciatore britannico, un inglese che aveva lavorato nei locali notturni di Soho, una giornalista nederlandese, un gruppo di amici molto improbabili accomunati dall’odio per i nazisti, dal coraggio, dalla volontà di fare quanto era loro possibile per aiutare i perseguitati del Reich.


   Il doppio filone segue ritmi diversi, ci offre la possibilità di seguire, in tutti i dettagli, da una parte la preparazione dello ‘spettacolo’- gli antefatti, l’esperienza di O’Flaherty come delegato del Vaticano nei campi, la sua sfida aperta al comandante per le condizioni disumane in cui vivevano i prigionieri, il suo incontro/scontro con Papa Pio XII che lo accusa urlando di mettere in pericolo la Città del Vaticano, la ricerca di ogni possibile alloggio (nei campanili, nelle fogne, nei sottotetti e nei sottoscale) dove nascondere i fuggitivi, la sfida aperta, infine con Hauptmann- e dall’altra parte il racconto di quei giorni filtrato dalla memoria ad anni di distanza. Questo secondo filone ci fa riprendere fiato, riusciamo anche a sorridere di certe situazioni, adesso che ne sappiamo la conclusione, ci offre un punto di vista esterno a più voci. Sono tutte unanimi nel descrivere Hugh O’Flaherty come un uomo eccezionale, prima ancora di essere un sacerdote eccezionale, vero interprete del messaggio di Cristo. Coraggioso e pieno di risorse, gioviale e profondamente umano, era l’uomo a cui si poteva confessare qualunque cosa con la certezza di essere capiti e mai giudicati. Conosceva Roma meglio di un tassista, amava Roma (ricordava l’incanto del suo arrivo nella città eterna) come o più di un romano, era capace di bluffare con l’aplomb di un inglese (anche se da vero irlandese non amava affatto gli inglesi), non si lasciava fermare da niente e da nessuno.


   Il finale è il ‘dopo’, a guerra finita. Sappiamo che Monsignor O’Flaherty mise in salvo 6500 persone tra civili, militari ed ebrei, che tornò in Irlanda dove ebbe un ictus, che morì nel 1963, che un boschetto di abeti fu piantato in sua memoria nel Parco di Killarney.

  Un film del 1983, “Scarlatto e Nero”, con Gregory Peck nel ruolo di O’Flaherty, ha portato la sua vicenda sugli schermi televisivi.

  “La casa di mio padre” è un superbo thriller letterario di cui consiglio la lettura.




 

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