venerdì 2 febbraio 2024

Emanuela Anechoum, “Tangerinn” ed. 2024

                                                                       Casa Nostra. Qui Italia


Emanuela Anechoum, “Tangerinn”

Ed. e/o, pagg. 272, Euro 18,00

    Tangerinn, il nome di un bar in un paese sul mare, sulla costa calabra. Un nome che invita chi non è italiano ad entrare, un nome che addolcisce la nostalgia per il luogo che si è lasciato, un nome che garantisce la comprensione immediata con chi lo gestisce e i suoi clienti. Chi lo gestisce è il padre della ragazza voce narrante del romanzo, arrivato dal Marocco quando era molto giovane. Si era fermato lì in Calabria, si era sposato, aveva avuto due figlie, Mina, la narratrice trentenne, e Aisha. Mina, carnagione scura, occhi e capelli neri, somigliante al padre, era ‘fuggita’, in cerca di se stessa, desiderosa di altri spazi, di un mondo più vasto. Aisha era rimasta, portava il velo senza sentirlo come un’imposizione, aiutava il padre nel bar che era diventato il centro di una piccola comunità di immigrati.

    Si svolge tra Londra, il paesino calabro e Casablanca, il bel romanzo di Emanuela Anachoum che ci tiene a precisare che questa non è la sua storia, che non è neppure la storia di suo padre, che è una bugia che potrebbe essere la verità.


Inizia a Londra, inquadrando la vita di Mina e le sue incertezze, i suoi sforzi per essere come le altre, come la ragazza sofisticata che le affitta una stanza nel suo appartamento, come le sue amiche. Eppure Mina è profondamente diversa, non riesce ad apprezzare il cibo salutista (è il ricordo di suo padre che le raccontava di aver sofferto la fame?), non è sicura di ammirare quei corpi quasi scheletrici accanto ai quali lei sembra enorme, è impreparata ad affrontare discorsi politici, si sente imbarazzata quando l’amica la esibisce quasi fosse un animale esotico. Ma è quello che voleva, no? Allontanarsi dal paese che le andava stretto, dalle chiacchiere delle donne che parlavano e sparlavano alle sue spalle.

    Poi era arrivata la telefonata della madre. Il padre era morto. E Mina abbandona tutto e ritorna. È un po’ come il ritorno del figliol prodigo a cui nulla viene rimproverato, a cui neppure si domanda perché non sia mai tornata prima, almeno per una breve visita. Temeva forse di restare intrappolata? Di venire presa dai sensi di colpa perché solo Aisha si era sobbarcata l’onere di aiutare il padre, di rimodernare il bar, di farne un centro accogliente di raccolta? Di essere sommersa dai ricordi?


   I ricordi la sommergono, non solo i suoi ma anche quelli della vita raccontata dal padre, degli anni dell’infanzia e della prima giovinezza passati in Marocco, del fratellino minore che lo adorava, di quello maggiore che era sposato e aiutava economicamente la famiglia, della sorella sposata con un uomo che la picchiava, della sua ambizione- era velocissimo nella corsa, aveva avuto la possibilità di andare in Germania e se l’era lasciata sfuggire- della rivoluzione in Marocco, di quello che lo aveva fatto decidere a lasciare tutto e andarsene.

    Due gioventù a confronto, della figlia e del padre. Due desideri di andarsene, ma per motivi diversi che fanno sì che sia diverso parlare di ‘espatriati’ e di ‘immigrati’, due disagi interiori che è perfin difficile paragonare. Tre mondi- Inghilterra, un’Italia marginale che si è trovata ad affrontare un’emergenza umanitaria e che è più vicina (non solo geograficamente) al Marocco che alla Gran Bretagna. Un personaggio maschile che è un grande assente sempre presente e che ha qualcosa di carismatico, che ci conquista con il suo coraggio, la sua generosità, il suo ardire, la sua umanità, il suo amore per la famiglia, lo sguardo che punta lontano. Una storia di una persona che può essere quella di tanti.


    Si può dire che uno stile è solare? Perché lo stile di Emanuela Anachoum è solare. C’è una leggerezza e una punta di allegria anche quando quello che racconta è pieno di ombre. Un libro con uno spicchio di realtà dell’epoca in cui viviamo, da leggere.

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Copy Dario Nicoletti


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