sabato 10 febbraio 2024

Mirinae Lee, “Le otto vite di una centenaria senza nome” ed. 2024

                                                            Voci da mondi diversi. Corea

    la Storia nel romanzo

Mirinae Lee, “Le otto vite di una centenaria senza nome”

Ed. Nord, trad. Elisa Banfi, pagg. 290, Euro 19,00

 

 In verità ce l’ha, un nome, la protagonista del romanzo. Dice di chiamarsi Miran Mook. Lei stessa, alla fine, dice che questo non è il suo vero nome, d’altra parte quanti ne ha cambiato nella sua vita? Anzi, nelle sue vite. Nelle sue otto vite, per la precisione- esordisce dicendo che è nata in Giappone (quando la Corea era occupata dai giapponesi), di aver vissuto nella Corea del Nord e di morire ora nella Corea del Sud, aggiungendo poi che è stata, in tempi diversi, un’assassina, un’artista della fuga, una schiava, una spia, una terrorista, una madre, un’amante. Dobbiamo credere a Mrs. Mook? L’arte di raccontare storie ha un suo ruolo nel romanzo e la linea di confine tra la verità e una sua alterazione è molto sottile. Dopotutto il titolo originale del libro è “The eight lives of a century-old trickster”, di un’imbrogliona: sta imbrogliando anche chi la sta ascoltando adesso?


     Miran Mook compirà a giorni 100 anni e racconta le sue vite ad un’impiegata della casa di riposo in cui è ricoverata. L’intenzione dell’impiegata era di chiedere un necrologio ai ricoverati, perché aveva letto che un impegno del genere poteva facilitare il loro addio alla vita, suggerendo di focalizzarsi su tre parole. Miran Mook, una vecchietta di cui mai si sarebbe indovinata l’età (ma era proprio la sua età?) aveva risposto che a lei sarebbero servite otto parole (a proposito, l’ottava vita è la meno esplicita, più difficile da cucire alle altre). Otto vite, quindi. Otto storie. Otto romanzi in questo romanzo opera prima di Mirinae Lee, nata a Seoul e residente ora a Hong-Kong, che si è ispirata in parte alla vita di una prozia fuggita dalla Corea del Nord.


     La signora Mook era ancora una bambina quando aveva ucciso suo padre con il veleno (avrebbe usato ancora il veleno per uccidere, ma, in tutti i casi, anche nell’assassinio di un padre violento, non esultiamo tutti per la sua audacia?), era giovanissima quando era stata presa prigioniera dai giapponesi e portata in Indonesia per diventare una ‘comfort woman’, aveva assistito alla morte di una cara amica a cui assomigliava come una goccia d’acqua, le aveva preso le scarpe e anche il nome per poi ricomparire a fianco del marito di cui l’amica le aveva tanto parlato, aveva adottato una bambina (la Mihee che avrebbe appreso tanto da lei, che arriverà in visita troppo tardi alla casa di riposo), durante la guerra di Corea aveva lavorato come interprete per l’esercito americano e poi come spia, quando viveva a Pyongyang.


    Ci vogliono otto vite per raccontare la Storia della Corea nell’arco di un secolo, flagellata dalla Guerra del Pacifico, prima, dalla Guerra di Corea dopo, divisa artificialmente in due dal 38° parallelo. E il potere affabulatorio di Miran Mook è straordinario, è stato un suo strumento di vita, uno degli insegnamenti che ha dato alla figlia- come inventare, come deviare l’attenzione di chi ascolta, come dire senza dire, il che è essenziale sotto il regime di Kim Il-sung.


Tutti gli otto ‘romanzi’, tutte le otto vite di Miran Mook sono straordinariamente coinvolgenti, anche quando soffriamo quello che sta soffrendo lei. Dalle descrizioni delle giornate infernali come donne di piacere alle esercitazioni come spia a Pyongyang (delle città sotterranee della capitale della Corea del Nord, identiche a quelle in cui le spie sarebbero state infiltrate, avevamo già letto ne “L’impero delle luci” di Kim Young-Ha, bellissimo romanzo ricordato anche da Mirinae Lee nella postfazione), dalla tranquilla vita coniugale (se il marito sospetta, non dice mai nulla, a volte ingannare è anche essere ingannato) alla passione di Miran Mook per mangiare la terra (geofagia- e lei, Miran Mook, fa distinzioni sul gusto della terra), alla conclusione, infine, che ci lascia con delle domande come è giusto che sia un racconto fatto da una donna che non può rivelare il suo vero nome- ammiriamo tutto in questo debutto che ha qualcosa di malinconico e qualcosa di grandioso nell’inventiva, nell’avvicendarsi delle storie che non si susseguono in ordine cronologico ma che, magicamente, riprendono sempre il filo di una narrazione precedente.

     Non perdetelo. Da leggere.




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