sabato 11 giugno 2016

Jürgen Schreiber, “La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl” ed. 2011

                                                  Voci da mondi diversi. Area germanica
                    biografia
                    il libro ritrovato


Jürgen Schreiber, “La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl”
Ed. Nutrimenti, trad. Vincenzo Gallico e Fabio Lucaferri, pagg. 392, Euro 19,50
Titolo originale: Sie starb wie Che Guevara. Die Geschichte der Monika Ertl.


    Il 9 ottobre 1967, quasi un anno dopo aver portato la guerriglia in Bolivia, Che Guevara veniva barbaramente ucciso a La Higuera.
    Il 9 settembre 1969, in seguito ad una delazione che rivelava il suo nascondiglio in una casa di La Paz, Inti Peredo, uno dei cinque uomini del Che scampati all’attacco del ’67, fu torturato e ammazzato.
    Il primo aprile 1971 una giovane bavarese, Monika Ertl, entrò nella sede del consolato boliviano di Amburgo con il pretesto di chiedere informazioni sulla modalità di rilascio del visto turistico per la Bolivia e sparò al console Roberto “Toto” Quintanilla, l’ex colonnello dei servizi segreti boliviani responsabile della morte del Che e di Peredo (oltre a quella di altri, nonché di crudeli sevizie e torture), l’uomo che aveva avuto la spudoratezza di farsi fotografare accanto alla bara di Inti Peredo, con la cenere della sigaretta che sta per cadere- ultimo sfregio- sulla testa del cadavere. Era stato anche un ardire stupido, mettersi in mostra in quella maniera, firmando la morte del guerrillero e la propria da lì a due anni.
Quintanilla
     Il libro “La ragazza che vendicò Che Guevara” del giornalista investigativo tedesco Jürgen Schreiber, corredato di foto su cui i nostri occhi ritornano spesso, cerca di ricostruire la storia di Monika Ertl per capire come sia arrivata a intraprendere la strada della lotta armata, come abbia deciso di assumere il ruolo di angelo vendicatore. Che Monika avesse un viso d’angelo non significa nulla- e la cronaca nera dei nostri giorni ce lo insegna. E tuttavia, più leggiamo di lei, della sua famiglia, del suo vissuto, più ci riesce difficile sottrarci al sentimento di simpatia che proviamo nei suoi confronti. Come avviene allo stesso Jürgen Schreiber, che non ha problemi a confessarlo. Perché Monika Ertl è un’assassina che uccide un assassino. Non ci si deve fare giustizia da sé, ma ci sono attenuanti? Monika, nata a Monaco di Baviera nel 1937, era cresciuta accanto a persone che non solo non scontavano le loro colpe, ma neppure si riconoscevano colpevoli in grado maggiore o minore. Suo padre Hans era stato un famoso scalatore e, dopo, era diventato il ‘fotografo’ di Hitler, senza mai prendere una posizione davanti alle atrocità che fissava sulla pellicola.
In Bolivia, dove aveva trascinato la famiglia in seguito all’offesa di non aver ricevuto un premio che agognava, Hans Ertl aveva aiutato Klaus Barbie, l’ex capo della Gestapo noto come “il macellaio di Lione”, e ne era diventato amico. Quanto aveva influito, sulle scelte di Monika, il passato nazista del padre?
     Non è un romanzo, ma si legge come un romanzo, il libro di Jürgen Schreiber. Perché, bene o male, Monika Ertl è un’eroina idealista e sognatrice, e Schreiber alterna abilmente fatti e indagine psicologica, la vita di Monika e i grandi eventi che hanno visto protagonista l’America Latina, sostituendo Monika al centro della scena con Che Guevara o Inti Peredo, per capire il fascino che esercitarono su di lei, e poi, ancora, ricostruendo minuziosamente i fatti di quel primo aprile 1971.
Una donna aveva telefonato al consolato cinque giorni giorno prima. Una donna si era presentata quel giorno, scarpe con il tacco, borsetta blu di facile apertura per estrarre la pistola, occhiali dalla montatura a farfalla, capelli corti. Dopo aver sparato- tre colpi- a Quintanilla ed essersi trovata davanti la moglie di questi, era fuggita lasciando però sul posto occhiali (non le servivano), parrucca, borsetta e pistola. Possibile un tale errore? Perché la pistola era stata acquistata da Giangiacomo Feltrinelli.
Ed ecco che appare un altro personaggio sulla scena, a rendere la vicenda ancora più intrigante, come fosse un thriller o un noir.


     Il corpo di Monika non fu mai restituito alla famiglia, non fu mai sepolto sotto la pietra tombale che suo padre portò giù dal monte Chacaltaya (più di 5000 metri d’altezza) e su cui fece incidere il suo nome. Quello vero e non il nome di battaglia: Imilla, ragazza india. Per prendere l’identità degli oppressi e non degli oppressori.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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