domenica 7 febbraio 2016

Joseph Roth, “La marcia di Radetzky” 1932

                                     Voci da mondi diversi. Area germanica


          la Storia nel romanzo
          riletture

Joseph Roth, “La marcia di Radetzky”
Ed. Giunti, pagg. 480, Euro 6,59, ebook Euro 1,49



        “I Trotta erano un recente lignaggio”. Inizia così “La Marcia di Radetzky” di Joseph Roth, uno di quei capolavori che non conoscono il passare del tempo, anzi, che sembrano più belli quando noi, che invece sperimentiamo lo scorrere del tempo, li rileggiamo a distanza di anni. Forse proprio perché siamo cambiati, e marciamo nella direzione in cui va la storia dei Trotta, non più al ritmo baldanzoso della marcia di Radetzky, la musica che echeggia trionfante in tutta la prima parte del libro, ma tendendo l’orecchio al rintocco lugubre delle campane che suonano per la morte dell’Imperatore Francesco Giuseppe, per quella del sottoprefetto Francesco von Trotta, per l’erede Francesco Ferdinando assassinato a Sarajevo, per i giovani che stanno morendo in guerra (è il 1916), per tutti noi se pensiamo ai versi di John Donne, non chiederti per chi suona la campana, per un mondo che sta scomparendo dietro la cortina di pioggia che pare cadere implacabile e monotona, da un certo punto della narrazione in poi.
    I Trotta erano, in origine, una famiglia di contadini di Sepolje, in Slovenia. Poi, durante la battaglia di Solferino, nel 1859, il luogotenente di fanteria Trotta aveva salvato il giovane imperatore, gettandosi su di lui e restando ferito al suo posto. Era stato premiato con il titolo nobiliare e l’occhio benevolo di Francesco Giuseppe non avrebbe mai perso di vista la famiglia von Trotta, anche quando l’ormai anziano imperatore non riusciva più a ricordare perché mai i von Trotta avessero l’impudenza di insistere per essere ricevuti da lui, perché sembravano avere il diritto di aspettarsi qualcosa da lui. Aveva incominciato il capostipite, l’eroe di Solferino, a chiedere un’udienza per lamentarsi di come i testi scolastici di storia avessero travisato e distorto il suo famoso atto di coraggio. Dopo di lui- che scompare presto dalla scena del romanzo- sarà per il nipote di questi, Carlo Giuseppe, che l’imperatore dovrà intervenire, coprendone i debiti perché non venga intaccato l’onore dei von Trotta, che è poi una sorta di lascito dello stesso imperatore.
Hofburg, Vienna

    La saga dei von Trotta, attraverso tre generazioni che coprono l’arco di vita di Francesco Giuseppe, è l’epopea dell’Austria Felix, l’accompagna dal suo trionfo al suo declino, la rispecchia nei suoi protagonisti. Si sottolinea spesso la somiglianza del sottoprefetto Francesco con l’imperatore, somiglianza non solo  fisica ma anche nel suo essere tutto d’un pezzo, nel nascondere i sentimenti sotto l’aria burbera e lo sguardo senza ombre (sappiamo quanti drammi privati dovette affrontare anche l’apparentemente impassibile Francesco Giuseppe). Se Francesco von Trotta è quasi un doppio dell’imperatore e rappresenta il fulgore dell’impero, Carlo Giuseppe è lo scivolare nell’obsoleto, i suoi vizi- resta invischiato in questioni di donne, cede al bere, e poi al gioco-, il distacco dalla realtà nell’autoesilio ai confini, le dimissioni dall’esercito, sono segnali di cedimento. Aumentano le indicazioni di grossi rivolgimenti nella società (le prime proteste ‘dal basso’), prosegue il decadimento morale di Carlo Giuseppe che culmina con l’ingente debito da pagare. Sono i due grandi vecchi a salvarlo: la scena del sottoprefetto che rispolvera il frac nero dalle sfumature verdastre per l’usura per andare a Schönbrunn a chiedere aiuto all’imperatore per suo figlio è tragica e grandiosa. L’integrità dell’uno di fronte alla magnanimità dell’altro, il vecchio mondo dignitoso che si affaccia sulle rovine.
Schönbrunn
    E poi la fine, le morti che si susseguono, una dopo l’altra ad anticipare la fine dell’Impero e il sorgere dei nazionalismi. Ed è straziante sentire il sottoprefetto Francesco comunicare la morte del figlio a tutti quelli che incontra- “Mio figlio è morto!”, per ben sei volte nella stessa pagina- perché è contro natura che un figlio muoia prima del padre, qualunque fosse la sua vita e il suo comportamento. Il romanzo che era iniziato con una vita salvata termina nel lutto e nel cordoglio.
    Chi lo ha letto molti anni fa (come me), lo rilegga. Chi non lo conosce ancora, deve assolutamente leggerlo. La mia copia è una vecchia edizione con traduzione di R. Poggioli del 1953. Mi è stato detto che la nuova traduzione dell’edizione Adelphi è molto bella (se riuscite a trovarla). L’edizione che ho indicato io è di puro riferimento.



    

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