mercoledì 10 febbraio 2016

Almudena Grandes, "Cuore di ghiaccio" - Intervista 2008

                                        Voci da mondi diversi. Penisola iberica
                                             la Storia nel romanzo     

                              INTERVISTA all'autrice di "Cuore di ghiaccio"


      Parla benissimo l’italiano, Almudena Grandes. Le chiediamo come mai e ci dice che il suo primo marito era italiano, lo ha imparato da lui e per lui. Abbiamo incontrato Almudena Grandes a Milano in occasione dell’uscita del suo grandioso romanzo “Cuore di ghiaccio”, il libro più maturo e complesso che abbia scritto. Ne abbiamo parlato con lei.

Una domanda che sarà articolata in due parti: che cosa le è costato questo libro? intendo dire- che cosa le è costato in termini di ricerca storica, di dialoghi con le persone, di approfondimenti di dati?
      In realtà non ho fatto soltanto una ricerca storica, il mio non è stato solo un processo di documentazione, ma un’immersione in un mondo non mio: per sette anni ho letto soltanto libri di storia di Spagna, ho visto solo film degli anni ‘30 e ‘40, ho letto libri di memorie, biografie, ho guardato centinaia di fotografie. Mi sono trasferita a vivere in un’epoca non mia: è stata quasi un’ossessione e non è ancora terminata.

Ha detto la parola ossessione: ecco, che cosa le è costato il libro in sofferenza intima? Perché mi pare un libro molto dolente e molto sofferto…
     Di tutti i libri che ho scritto questo è quello che mi ha colpito di più: non ho mai scritto un libro avvertendo il peso della responsabilità, come mi è successo per questo. Mi sentivo responsabile di quello che scrivevo, perché era un tema che non apparteneva solo a me ma a tante altre persone. Avevo la sensazione di custodire qualcosa più grande di me. Tutto questo ha reso più profondo e più esigente il mio sguardo verso il mio paese.


Pare una scelta ovvia, quella di raccontare la storia della guerra civile che ha diviso il paese in due attraverso la storia di due famiglie. Era inevitabile? sarebbe stato troppo impoverito lo sguardo sul passato, se ci fosse stata una sola famiglia al centro della vicenda?
     In un primo momento pensavo di raccontare una storia d’amore tra due persone del tutto normali, e poi mi sono allacciata alla storia politica. E allora la storia d’amore che sembra svolgersi accanto e simultaneamente alla storia politica, senza alcuna connessione con questa, si rivela poi invece come facente parte della storia politica del paese. E sì, il romanzo sarebbe stato impoverito se ci fosse stato solo un punto di vista. La storia è complicata e va raccontata da diversi possibili punti di vista: due famiglie offrivano uno sguardo più complesso e più fedele, quindi, ad una realtà complessa.

Le origini sociali delle due famiglie che lei ha scelto- intellettuale quella di Raquel, più modesta quella di don Julio- corrispondono, anche se in maniera molto generica, agli schieramenti delle due parti?
     No, perché la famiglia Fernández fa parte di una classe sociale legata alla nascita della Repubblica ma minoritaria: loro erano la borghesia progressista spagnola e invece i repubblicani erano per lo più della stessa classe sociale della madre di Julio, gente umile. Sì, c’era anche questa borghesia intellettuale e mi piaceva farla entrare nel romanzo, perché a volte si pensa che i sostenitori della repubblica fossero solo i poveracci e invece non era così. Era Julio che, per appartenenza famigliare, sarebbe dovuto entrare nelle fila della Repubblica: suo padre era un paesano, un agricoltore ignorante e però molto cattolico. Per questo appoggia il colpo di Stato, più per una questione religiosa che politica.

“Cuore di ghiaccio” non è solo un libro sul passato. Sarebbe impossibile perchè il passato genera sempre un presente. E tuttavia mi pare che il messaggio del romanzo, visto che non c'è modo per la famiglia dei Fernández di riappropriarsi di quello che è loro, sia che al massimo si possa solo ottenere un riconoscimento dell'ingiustizia, e non un risarcimento. La Germania ha cercato di risarcire le vittime del nazismo. Ha fatto qualcosa di simile la Spagna, verso le vittime del franchismo?

    No, la situazione è diversa in Spagna. Durante la transizione alla democrazia non c’è stata nessuna analisi, nessun esame di coscienza. Meglio non domandarsi nulla. La storia della riparazione della memoria è una storia lunga; da una decina di anni si è incominciato a riparare, a restituire economicamente ai partiti politici e ai sindacati, ma non ai singoli: sarà difficile che venga fatto. Ma nessuno chiede questo. Il movimento di recupero della memoria chiede la restituzione simbolica dell’onore e non dei soldi. Eppure è vero che la situazione è analoga a quella della Germania del nazismo.

Non è insolito che una scrittrice scelga un protagonista maschile come voce narrante. Come ha scelto di fare di Álvaro il protagonista del presente? perché Álvaro e non Raquel come voce narrante?
     E’ molto facile: perché non sarebbe stato verosimile raccontare la storia invertendo le parti. Il triangolo iniziale, Raquel che è l’amante del padre di  Álvaro, che è la molla che fa scattare il romanzo, ha determinato la scelta della voce maschile narrante.

I capitoli della storia d'amore sembrano quasi un respiro di leggerezza, dopo quelli più aspri della guerra. Ho osservato anche un cambiamento di registro, quasi la scelta di un linguaggio diverso. Sono questo, i capitoli dell'amore tra Álvaro e Raquel? una pausa nel racconto di guerra?
    Credo di sì, e la scelta del linguaggio diverso è anche dovuta al fatto che la voce narrante è quella di un uomo dei nostri giorni. Eppure, per me, i capitoli più duri non sono quelli della guerra, ma quelli finali, quando lui si trova solo davanti al mondo, Raquel fugge e lui si sente perso. L’amore ha una funzione salvifica. Ci sono un uomo e una donna che non meritano quello che stanno vivendo, che pagano per colpe che non gli appartengono. L’amore li salva: quando Álvaro è del tutto solo alla fine, è l’amore per Raquel che li salva, per non diventare qualcuno di cui si vergognerebbero.

“Cuore di ghiaccio” è anche un libro sul dolore dell’esilio, sulla nostalgia dell’esule, sull’identità divisa dei figli degli esuli. Possiamo paragonare questo esilio ad una sorta di diaspora?

     In un certo senso sì, perché tutti gli esuli si assomigliano. Ma gli esiliati spagnoli si sono mantenuti fedeli al loro paese e in questo sono simili agli ebrei della diaspora. Sebbene nel 1965 la Francia avesse offerto loro la cittadinanza, loro non l’hanno voluta e poi sono ritornati- sono tantissimi gli anziani che sono ritornati, proprio quelli che si sarebbe detto avrebbero avuto difficoltà a troncare la nuova vita che si erano creata. Fedeltà, sicurezza di essere spagnoli: in questi valori c’è la connessione con gli ebrei della diaspora.

Ed è anche un libro sul tradimento: il tradimento a livello personale, di don Julio, è metafora per il tradimento più grande, dell'America, dell'Inghilterra, alla fine della seconda guerra mondiale?
     Proprio così: è un romanzo sul tradimento. Quando ho iniziato a leggere sulla guerra, ho scoperto che tanti repubblicani, anche non rivoluzionari, cioè borghesi, erano d’accordo nel dire che l’atteggiamento delle potenze democratiche fu peggio per la Repubblica che non l’aiuto dato dalla Germania e dall’Italia al franchismo. Senza la politica del Non Intervento di Londra la Repubblica avrebbe vinto in sei mesi. Eppure non si è parlato molto di queste storie di grandi tradimenti collettivi e individuali.

Mentre leggevo il romanzo, riflettevo che “Cuore di ghiaccio” non avrebbe potuto essere scritto al tempo in cui Lei ha scritto “Le età di Lulù”. Ma neppure avrebbe potuto essere scritto al posto di qualunque altro suo romanzo precedente. Mi pare che ogni suo libro precedente l'abbia portata a questo. Questo era, dal punto di vista personale  e storico, il momento giusto per scriverlo?

      Credo anche io che sia così. Ci sono dei libri che si scrivono quando uno vuole e dei libri che si scrivono quando uno può. Dovevo sentirmi sicura della mia potenza narrativa per scrivere un libro come questo. E’ stato il più difficile che abbia scritto. Anche negli altri romanzi ho parlato della guerra civile, mi sono avvicinata al tema della guerra, ma non ne ho mai parlato in maniera, per così dire, frontale. Ora mi sentivo capace di farlo.

l'intervista è stata pubblicata, insieme alla recensione, su www.wuz.it


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