venerdì 26 febbraio 2016

Francesca Melandri, “Eva dorme” ed. 2010

                                                                    Casa Nostra. Qui Italia

         la Storia nel romanzo
         il libro dimenticato


Francesca Melandri, “Eva dorme”
Ed. Mondadori, pagg. 347, Euro 9,35


      Lo dicono i versi di John Milton, all’inizio del libro: Eva dorme- Let Eve (for I have drenched her eyes)/ here sleep below,/ while thou to foresight wak’st- nel giardino dell’Eden mentre l’arcangelo Michele fa intravvedere il futuro ad Adamo. Eva- la vera Eva del romanzo di Francesca Melandri- dorme, nel prologo, quando il postino recapita a sua madre Gerda un pacchetto indirizzato a lei e Gerda lo rispedisce al mittente, cancellando con un tratto di penna un altro possibile futuro per sua figlia. Eva riceverà quel pacchetto destinato ai suoi sedici anni molto tempo dopo, quando la vita ha già fatto il suo corso ed Eva si è messa in viaggio per andare a porgere l’ultimo saluto all’uomo che sta morendo, che aveva amato sua madre, che era stato un padre per lei, Eva, la bimba che il suo vero padre non aveva voluto riconoscere quando era nata.

     I capitoli di “Eva dorme” hanno dei numeri per titolo. Non sono i numeri della sequenza narrativa, ma, per un filone, le date degli anni in cui si svolge la storia raccontata, e, per l’altro, il numero di chilometri che le ruote del treno macina, portando Eva da Brunico a Reggio Calabria, da un estremo all’altro dell’Italia. Dal 1919 alla fine degli anni ‘70, e 1397 chilometri per ricostruire gli avvenimenti e la storia di una famiglia, gli Huber. Dallo sconvolgimento dell’annessione all’Italia alla fine della prima guerra mondiale, con l’italianizzazione forzata, all’opzione, con l’avvento di Hitler, che obbligava- come dobbiamo chiamarli? gli altoatesini? i sudtirolesi?- a scegliere se essere rimpatriati in una patria che però era tale solo perché il luogo dove si parlava tedesco, oppure restare in quella che era di fatto la terra loro e dei loro antenati, sentendosi però prigionieri, sudditi, discriminati. Dai primi attentati terroristici- piloni fatti saltare, il monumento all’alpino imbrattato di vernice rossa, ripulito, distrutto, ricollocato (soltanto il busto della figura, quello che era rimasto intatto) sul posto- a quelli più pesanti, che avevano causato la perdita di vite umane: facevano pena i giovani carabinieri che arrivavano dal sud, che non capivano neppure il perché di tutto questo odio nei loro confronti. E’ questa incomprensione da parte di tutti gli italiani, quella che balza fuori dal romanzo di Francesca Melandri. E’ l’ignoranza diffusa di una situazione storica che ha arbitrato l’attribuzione di una terra e di una lingua.

Su questo sfondo, con i bellissimi paesaggi dell’Alto Adige (per noi italiani) o Sud Tirolo (per gli abitanti del luogo), personaggi veri e fittizi, lo stimatissimo Silvius Magnago che si batté per l’autonomia, che era in buoni rapporti con Aldo Moro, e la bellissima Gerda Huber, sorella di uno Schützen che si era fatto saltare in aria preparando un attentato, aiuto cuoca che era diventata prima cuoca del ristorante in cui era arrivata come Matratze, sguattera di infimo livello che poteva servire anche come materasso. Gerda no, però. Orgogliosa e altera, anche quando si era ritrovata incinta perché le ragazze giovani sono le stesse da sempre e credono nell’amore. Rifiutata dalla famiglia- non era il 1963 quando a Mina, ‘ragazza-madre’, non era più permesso cantare in televisione?-, Gerda cresce Eva da sola. La affida ad una famiglia generosa in montagna ed Eva diventa grande aspettando la corriera che le porta la mamma per due mesi all’anno, che le porta la felicità. Gerda trova l’amore in Vito, il carabiniere straordinario (bisogna dirlo) che arriva da Reggio Calabria e che vuole formare una famiglia con madre e figlia. La legge interna dell’Arma glielo impedisce: non sia mai detto che un carabiniere sposi qualcuno che offre un esempio scandaloso.


     C’è molto di più nella trama di questo libro che è, per molti versi, illuminante, che ci dice cose che avremmo dovuto sapere, che ci racconta la storia di una regione in cui ci siamo sentiti male accolti, quando ci andavamo per ammirarne le bellezze. E lo fa con una vicenda ricca di avvenimenti, di situazioni, di personaggi che, anche se non tutti ugualmente approfonditi, ci restano nel cuore.


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