domenica 14 dicembre 2014

Arnaldur Indriđason, "Un corpo nel lago" ed. 2009

                                                                  vento del Nord
     cento sfumature di giallo
    il libro ritrovato


Arnaldur Indriđason, “Un corpo nel lago”
Ed. Guanda, trad. Silvia Cosimini, pagg.318, Euro 16,50

    E’ impossibile confondere Arnaldur Indriđason, lo scrittore che vive in Islanda, l’isola “nel buco del culo del mondo” (sono parole sue, in bocca ad uno dei suoi personaggi), con qualunque altro autore nordico di thriller. Perché i suoi romanzi di indagine poliziesca sono veramente unici, come unico è il suo protagonista, il commissario Erlendur Sveinsson, attratto come da una calamita dai casi delle persone scomparse. “Sei sempre coinvolto nei casi di persone scomparse”- gli dice un collega. “Che interesse hai? Che cosa cerchi sempre?” “Non lo so”, risponde Erlendur. Ma non è vero. Erlendur sa benissimo che cosa lo attiri ad interessarsi di questi casi, e ce lo ha raccontato- suo malgrado, perché Erlendur è un solitario e un taciturno- in uno dei romanzi precedenti. Il suo fratellino è scomparso durante una tormenta; erano insieme, ad un certo punto le loro manine si erano staccate; neppure il corpo del bambino era mai stato ritrovato e tuttora, periodicamente, Erlendur ritorna su quel pianoro, esplora le montagne e i dirupi nelle vicinanze, sperando l’impossibile.
Il colpo di genio di Arnaldur Indriđason è stato di attribuire questa ossessione al suo personaggio e di creare poi delle storie diverse dalle altre a cui siamo abituati- senza scie di morti, senza serial killer, senza rincorse per impedire ulteriori delitti. Quello che doveva succedere è già accaduto, non c’è più sangue vicino ai cadaveri. Eppure Indriđason, riesce a tenere legata la nostra attenzione, costruendo vicende che affondano nel passato, dicendoci molto sulla gente e sulla cultura di un’isola che conta poco più di 300.000 abitanti e in cui la criminalità è pressoché nulla (lo scrittore stesso, durante un’intervista, giustificò in questa maniera la creazione del suo singolare personaggio).
    “Un corpo nel lago” incomincia con il ritrovamento di uno scheletro in un lago, incatenato ad una ricetrasmittente russa. La data sull’apparecchiatura, leggibile per quanto limata, è il 1961. Si riesce a circoscrivere il lasso di tempo in cui, presumibilmente, l’uomo è stato ucciso- massimo una decina d’anni, e da questo dato parte la ricerca delle persone scomparse prima del 1970. Serve a qualcosa o a qualcuno questa ricerca su cui Erlendur si intestardisce? A lui senz’altro, per dar pace alla sua ossessione; alla donna che, una sera di tanto tempo prima, ha aspettato invano un uomo che era sempre stato puntuale; a tutti quanti, perché viene fuori una realtà insospettata: per quanto incredibile, c’erano delle spie anche in Islanda, durante la Guerra Fredda, perché ci siamo dimenticati che l’isola era “la portaerei degli Stati Uniti”.

    La narrazione è duplice, e si passa dall’una all’altra senza mai un calo di interesse. Una riguarda le indagini (mentre al vecchio tormento di Erlendur si aggiunge quello nuovo della consapevolezza dei suoi errori come padre); l’altra segue i ricordi di un uomo in attesa della polizia: aveva creduto nell’ideale comunista, aveva studiato a Lipsia negli anni ‘50, laggiù si era innamorato e laggiù aveva anche aperto gli occhi- agli arresti, alle delazioni, al regime di sospetto e di paura, alla violenta repressione in Ungheria. Quando il suo tutore gli aveva detto, “La questione è molto semplice. O sei un comunista o non lo sei”, lui aveva ribattuto, “No. O sei un essere umano o non lo sei”. Il lettore scoprirà come tutto questo abbia a che fare con lo scheletro nel lago.
    Ma intanto è chiaro che il romanzo di Indriđason è molto di più che la storia di un uomo scomparso e riapparso dalle sabbie di un lago. E’ un romanzo sulla scomparsa, sulla perdita- del fratello ma anche della figlia di Erlendur, sulla cui disintossicazione lui non ha più molte speranze; di almeno tre uomini che un tempo si erano frequentati a Lipsia; della ragazza arrestata di cui non si era saputo più nulla, neppure quando era stato possibile consultare gli archivi della Stasi; degli ideali, infine, e questa è forse la perdita più triste: Avevamo degli ideali. Non so se la gente li ha ancora. I giovani, voglio dire. Ideali sinceri, di una società migliore e più giusta. Nessuno adesso ci pensa più, credo. Adesso si pensa solo a fare soldi, sempre più soldi. Allora nessuno pensava a fare soldi o ad avere il più possibile. Non c’era questo consumismo sfrenato. Nessuno aveva niente, se non splendidi ideali.

    Un thriller che è capace di far pensare a queste cose non è solo un libro da intrattenimento. E’ un libro da leggere per riflettere.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.it


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