mercoledì 3 dicembre 2014

Henning Mankell, "Il cinese" ed.2007

                                                              vento del Nord
      cento sfumature di giallo
      il libro ritrovato


Henning Mankell, “Il cinese”
Ed. Marsilio, trad. Giorgio Puleo, pagg. 587, Euro 19,00

Titolo originale, Kinesen

  “Ti invidio” disse Staffan improvvisamente. “Tu eri un po’ cinese già da giovane. Io invece mi spaventavo facilmente e speravo in un cambiamento della società meno violento. Ma ho sognato anch’io di andare in Cina. A Beijing. A Pechino. Rispetto a quello che si vede dai miei treni per Alvesta e Nässjö, credo che il mondo sia diverso visto da lì.”


  Un villaggio ai margini di una foresta, in Svezia. Arriva un fotografo- gli hanno detto che potrebbe interessargli, visto che sta facendo un servizio sui paesini destinati a scomparire, abbandonati dai giovani, abitati solo da vecchi. C’è un silenzio totale. Ci sono diciannove cadaveri nel villaggio. Al fotografo basta vederne un paio per scappare: muore poco dopo d’infarto. Chi ha potuto compiere un simile massacro? Tutte le vittime sono state uccise con una violenza incredibile: l’assassino voleva che soffrissero, voleva che vedessero in faccia chi le stava uccidendo. Unica eccezione, un ragazzo- anche lui è stato ucciso, ma in modo meno cruento. Si trovava lì per caso, in visita a parenti. E, per quello che riguarda l’identità delle vittime, sono solo tre i cognomi delle persone morte: è evidente che erano tutti imparentati tra di loro, come avviene quasi sempre nelle piccole comunità. Quando Birgitta Roslin, giudice a Helsingborg, legge la notizia sui giornali, è colpita da un cognome: è lo stesso dei genitori adottivi di sua madre. E, per caso, trova un’altra notizia in Internet: una famiglia con quello stesso cognome è stata sterminata in Nevada. Le coincidenze non esistono…

     E’ questo l’avvio del nuovo romanzo di Henning Mankell, “Il cinese”, il primo attesissimo thriller dello scrittore svedese dopo la serie che aveva il commissario Wallander come protagonista. “Il miglior thriller di Mankell”, è la citazione in copertina dal quotidiano Svenska Dagbladet. Non so se “Il cinese” sia il miglior thriller di Mankell, perché ho troppo vivo il ricordo di altri suoi ottimi romanzi, dopo la lettura dei quali avrei potuto usare lo stesso superlativo per comunicare il mio entusiasmo. Certo è che anche questo Mankell non delude. Perché ha una trama grandiosa, di ampio respiro. E’ vero che Mankell ci ha viziato, abituandoci a vicende che si estendono lontano nello spazio e nel tempo, a storie in cui il Male acquista dimensioni gigantesche, ad azioni malvagie che sono come sassi scagliati in un lago, che creano onde che si allargano fino a toccare la sponda opposta. Tanto che poi troviamo ‘piccole’, limitate e provinciali le storie dei giallisti nostrani, o superficialmente cruente quelle elaborate dalla scuola americana. E tuttavia mi pare che “Il cinese” abbia veramente qualcosa in più, che il Mankell che avanza negli anni voglia fare qualcosa di diverso nel suo romanzo- tentare una vasta interpretazione sociale della Storia, porre dei quesiti sul futuro mettendo a confronto passato e presente, tirare fuori- infine- gli scheletri nascosti negli armadi di Stato dei paesi ricchi.
     Non sapevo nulla, ad esempio, (posso dire ‘non sapevamo nulla’?) delle migliaia di cinesi rapiti e portati a lavorare in America, nella titanica impresa di costruire la ferrovia da una costa all’altra- il viaggio per nave, identico a quello descritto da Kunta Kinde in “Radici”, il trattamento disumano, i rischi mortali, le malattie, la fame. Uno di questi cinesi- unico sopravvissuto di tre fratelli- lascerà un diario delle sue sofferenze; in un confronto incrociato con altre carte ingiallite trovate nella casa di uno dei vecchi ammazzati in Svezia e scritte da un antenato emigrato in America, scopriamo il perché di una vendetta portata a termine dopo 160 anni.
     Ma- come dice uno dei personaggi cinesi rivolgendosi al giudice Roslin, “la verità non è mai semplice. E’ uno dei difetti di voi occidentali. Credere che sia possibile appurare la verità in poco tempo. Ma la verità ha bisogno del suo tempo”. Per conoscere la verità seguiremo Birgitta Roslin a Pechino, i cinesi Hong Qui e Ya Ru in Africa, ancora Birgitta a Londra, in fuga. Nel frattempo Mankell (è proprio il caso di dire ‘il grande Mankell’) apre per noi uno squarcio su quel tempo ormai lontano in cui, in Svezia come in Italia, i giovani marciavano sventolando il Libretto Rosso (Birgitta era una di loro),
e poi- con i personaggi antitetici di Hong Qui e Ya Ru, l’una che crede ancora nel socialismo e l’altro che vola sull’onda del capitalismo senza scrupoli- ci riporta ad un presente difficile e confuso in una Cina che mira all’Africa, nascondendo il suo neocolonialismo dietro una pretesa di aiuti umanitari. Una Cina che è come una polveriera, perché il divario tra chi ha e chi non ha è enorme.
    Lo stile di Mankell è quello che conosciamo- anzi, migliorato con gli anni, come il buon vino. Frasi brevi che dicono tutto, che creano un’atmosfera. Così suggestiva, così coinvolgente, così minacciosamente carica di suspense, che mi è successo di camminare per strada (avevo appena terminato il libro e stavo pensando a come scriverne) e di incontrare un cinese: ho sobbalzato, ho pensato, ‘questo è Ya Ru, che ci fa qui?’.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it



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