martedì 9 dicembre 2014

Arnaldur Indriðason, “Le notti di Reykjavík” ed. 2014

                                                             vento del Nord
                                                             cento sfumature di giallo
                                                             FRESCO DI LETTURA

Arnaldur Indriðason, “Le notti di Reykjavík”
Ed. Guanda, trad. Alessandro Storti, pagg. 299, Euro 18,00
Titolo originale: Reykjavíkurnætur

    
     Era il senso di colpa che lo spingeva a scoprire il più possibile su di lui? avrebbe potuto fare qualcosa di più per quell’uomo, anche se Hannibal non desiderava né aiuto né compassione? La gente se ne fregava, quando un emarginato con un piede nella fossa tirava le cuoia. Una preoccupazione in meno. Nessun altro si prendeva la briga di fare domande su un poveraccio annegato come un cane randagio.

   Il popolo della notte è fatto da gente disperata. Ammalata di solitudine, prima di tutto, e poi di alcolismo, dipendenza dalla droga o dal sesso. Gente che ricorre a qualunque cosa per dimenticare la realtà, per fronteggiare i propri fallimenti o le proprie inadeguatezze. Se poi il clima è quello del Nord estremo, di Reykjavík in Islanda, ad esempio, l’alcol aiuta a sentire meno freddo, anche se intontisce e diventa un pericolo mortale- se si scivola nel sonno, si muore assiderati.
   Erlendur Sveinsson, il protagonista dei romanzi seriali di Arnaldur Indriðason, ha solo 28 anni nel libro appena pubblicato, “Le notti di Reykjavík”. Conosciamo già l’Erlendur del futuro, quello della squadra omicidi, l’uomo solo con due figli problematici che ha un motivo per appassionarsi ai casi di scomparsa: durante un’improvvisa tempesta di neve il suo fratellino aveva lasciato la presa della sua mano, si era perso, neppure il suo corpo era mai stato ritrovato. E’ sempre molto piacevole recuperare il passato di un personaggio che amiamo. Ci interessa sapere altro su di lui, riempire gli spazi vuoti della sua vita. Al ventottenne Erlendur è stato assegnato il turno di notte. Con altri due poliziotti pattuglia le strade, accorre dove la polizia è stata chiamata. Un uomo ha chiesto il loro intervento perché ha sentito urlare nella casa vicino- un marito picchia regolarmente la moglie. Un’altra telefonata lamenta il chiasso di un gruppo di giovani tossicodipendenti. Un’auto ha invaso l’altra carreggiata investendo la macchina che sopraggiungeva- una ragazza è morta. Mentre Erlendur si reca nei luoghi delle chiamate, il suo pensiero corre dietro a due casi irrisolti e archiviati perché, in una strana maniera, dai vari incontri notturni spuntano dei lievi indizi, dei riferimenti che ad essi si allacciano e che non possono essere casuali. Un anno prima un senzatetto era stato trovato annegato nella torbiera alla periferia di Reykjavík. Che altro ci si poteva aspettare da un ubriacone? Forse si era suicidato, o forse era semplicemente caduto senza riuscire più a rialzarsi. In quello stesso fine settimana una donna si era incontrata in un locale con delle amiche e, dopo, non era mai arrivata a casa.

    I due veri protagonisti del romanzo sono Hannibal, il barbone che aveva detto che vivere o morire erano la stessa cosa per lui, e Oddný, la donna che avrebbe tanto desiderato avere dei figli ed era scomparsa. E Arnaldur Indriðason costruisce questi due personaggi principali pezzo per pezzo, aggiungendo una tessera dopo l’altra al mosaico, inserendo uno sfondo che li fa risaltare ripetendo il loro modello in versioni alternative, esplorando così i motivi che portano una persona a bere smodatamente, ad accontentarsi di alcol denaturato per dimenticare, oppure spingono una donna ad allontanarsi dal marito. Hannibal si considerava responsabile della morte della moglie, ne aveva parlato solo ad una donna che gli era amica e che aveva cercato di uscire dalla dipendenza dell’alcol. Era stata questa donna a trovare un orecchino nel condotto del teleriscaldamento che era servito da alloggio a Hannibal: l’orecchino di Oddný- il marito lo aveva riconosciuto quando Erlendur glielo aveva mostrato. Ecco il legame tra i due casi su cui Erlendur dovrà lavorare ancora molto, con la sua lenta pazienza e ostinazione, prima di risolverli, parlando con altri barboni alcolizzati che avevano conosciuto Hannibal. E, come per il tema dei senzatetto, anche per quello femminile, rappresentato da Oddný, le chiamate notturne di soccorso offrono la possibilità allo scrittore di girarci intorno, sottolineandolo: la situazione delle donne percosse dai mariti è piuttosto comune, così come è comune il loro silenzio sulle cause di tumefazioni e lividi. Se il caso di Oddný è un mistero, non lo è quello della donna nella cui casa la polizia si era recata due volte. La seconda volta avevano trovato il marito morto e la moglie piena di lividi e con la faccia gonfia- continuava a dire che forse non doveva pulire il coltello usato per uccidere il marito.
     Sono infine entrambi drammi della solitudine, quelli di Hannibal e Oddný. Dell’uomo rimasto solo e della donna che è sola in una coppia senza amore. Ed Erlendur, che non si mostra particolarmente amoroso nei confronti della ragazza che gli dice di aspettare un figlio da lui, è infinitamente empatico verso Hannibal e la donna che non ha mai conosciuto.
     Qualche lettore può trovare lento il passo dei romanzi dello scrittore islandese. Invece la sua pacatezza, la mancanza di concitazione nel suo stile narrativo, è rassicurante, mette nello stato d’animo ideale per godersi la lettura, per assaporarla senza fretta, ammirandone le sfumature.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it





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