mercoledì 27 agosto 2014

Miguel Sousa Tavares, "Equatore" ed. 2005

                                                  Voci da mondi diversi. Penisola iberica
il libro ritrovato


Miguel Sousa Tavares, “Equatore”
Ed. Cavallo di ferro, pagg. 492, Euro 18,50

E’ il 1905. Luis Bernardo Valença viene nominato dal Re di Portogallo governatore delle isole di S. Tomé e Principe. Il suo compito è convincere i proprietari delle piantagioni ad adottare un comportamento diverso nei confronti dei lavoratori di colore in modo da confutare l’accusa di schiavismo fatta al Portogallo dall’Inghilterra che minaccia di sospendere le importazioni di cacao. Luis Bernardo si troverà a combattere da solo in difesa del diritto fondamentale dell’uomo alla libertà. Un finale drammatico con il gesto grandioso di un uomo che non si piega al ricatto e non accetta compromessi.


INTERVISTA A MIGUEL SOUSA TAVARES, autore di “Equatore”

Il piacere della lettura che troviamo già nelle prime pagine di “Equatore” è quello proprio del romanzo, è il gusto di leggere una storia ben raccontata, i cui ingredienti sono avventura, amore, amicizia e morte, con un personaggio che viene posto davanti a delle scelte, che si troverà in situazioni estreme che richiedono decisioni da cui dipende la vita sua e di altri, in un ambiente estraneo e diverso in cui si corre il rischio di perdere la propria integrità insieme a se stessi. C’è solo una breve introduzione iniziale al protagonista Luis Bernardo, una sorta di premessa che giustifica il compito che gli viene assegnato e che cambierà il tranquillo corso della sua vita. Perché un conto è sostenere per iscritto, in articoli e saggi, una politica coloniale illuminata e moderna, e un conto è dover attuare di persona questi principi nella consapevolezza che le conseguenze del nostro operato avranno ripercussioni sull’economia di un intero paese.
Quando il Re del Portogallo nomina Luis Bernardo governatore di S. Tomé e Principe, non gli affida una missione, ma lo invita a “servire” il suo paese. E, se “servire” il proprio paese significa agire nell’interesse di questo e del suo popolo,  qual è la scelta eticamente giusta quando questo interesse è in conflitto con l’idea personale di giustizia e di diritto? La propria integrità vale di più del benessere di una nazione intera? Perché di questo si tratta: la ricchezza del Portogallo viene dalle colonie e si basa sul lavoro degli schiavi. Si può camuffare la verità, si possono mostrare contratti di lavoro, fingere che i negri imbarcati dall’Angola abbiano “scelto” di lavorare nelle isole, ma non si può nascondere che i negri non sono in grado di leggere e tanto meno di firmare quei contratti, che 3000 negri lasciano l’Angola ogni anno e nessuno vi fa mai ritorno. E’ la prova che l’Inghilterra impugna per minacciare il boicottamento delle importazioni di cacao dalle colonie portoghesi. Luis Bernardo, l’uomo qualunque, il donnaiolo che si dà arie da intellettuale, si trova calato in una realtà sconvolgente- come se, oltrepassando la linea dell’Equatore, fosse sprofondato negli abissi di tenebra dove il colore della pelle determina il valore della vita di un uomo. La sua diventa una lotta donchisciottesca contro le forze del male, in una solitudine dolorosa che sembra venire alleviata quando arriva sull’isola il console inglese che dovrebbe essere il suo avversario politico e diventa invece suo amico. Complicando la vita di Luis Bernardo, perché quando questi si innamora della moglie del console, è nel suo carattere porsi il problema della lealtà- ancora una volta si tratta di decidere se l’amore e il soddisfacimento personale valgano il tradimento dell’amicizia. Per trovarsi di fronte ad un tradimento più grande. Ha viaggiato lontano Luis Bernardo nei due anni in cui si è allontanato dal Portogallo e la sua figura raggiunge la dimensione dell’eroe tragicamente puro nella decisione finale. Prima della partenza gli era stato chiesto, “che cosa  potrà mai avere dalla vita di più grandioso?”. La risposta adesso è, “ho lasciato qui la mia vita; che cosa avrei potuto dare al mio Re di più grande?”. Stilos ha intervistato lo scrittore portoghese Miguel Sousa Tavares.


  Com’è nato questo romanzo? In appendice c’è il ringraziamento per l’amico che le ha fatto conoscere le isole e che le ha regalato un libro: è stato un suo soggiorno nelle isole che ha destato il suo interesse per l’operato del Portogallo a S. Tomé e Principe?

       Il romanzo è nato da un viaggio fatto come giornalista nelle isole di S. Tomé e Príncipe. Poi il mio amico mi diede un libro che era un resoconto scritto nel 1905 dal Re del Portogallo sulle condizioni di lavoro in quelle isole. Avevo così l’inquadratura storica e geografica della mia storia, mi mancava solo l’intreccio romanzesco, il tempo disponibile per scrivere e la risposta alla domanda: sarò capace di scrivere un romanzo, e di questa portata? Ho passato circa dieci anni a meditare sul tema, e pian piano l’intreccio mi è nato in testa, fino ad arrivare al giorno- 1 gennaio 2001- in cui ho deciso di iniziare l’anno nuovo cercando di scrivere “Equatore”. Dopo un anno e mezzo il libro era pronto.

Lei è un giornalista e scrittore di reportage di viaggio: che cosa ha fatto scattare in lei il desiderio di scrivere qualcosa di più e di diverso da un semplice libro di viaggio nelle isole?
       Avevo già pubblicato una storia per bambini, un libro di cronache e uno di racconti, dove, in scala minore, avevo sperimentato la narrativa. Avevo sempre la tentazione di fare il salto da una scrittura di tipo giornalistico a quella di tipo narrativo. Soprattutto mi piace definirmi come un narratore di storie vere e di storie inventate. Scrivere dei reportage continua a piacermi e ho appena terminato un libro per bambini, una storia che avviene nello spazio nell’anno 3000.

I due personaggi principali del romanzo, Luis Bernardo e l’inglese David Jameson, sono entrambi degli eroi con una mancanza, un difetto fatale: è la passione per le donne per Luis Bernardo e quella per il gioco per David Jameson. Eppure ammiriamo di più Luis Bernardo: è perché troviamo più nobile perdersi per amore che per soldi?
      Senza dubbio è più nobile rovinarsi per amore che per gioco. Ma il preferire il personaggio di Luis Bernardo è dovuto al fatto che egli è meno perfetto dell’inglese, in un certo modo è un anti-eroe, pieno di dubbi, di difetti e di debolezze, di egoismi e di desiderio di comodità che cerca di superare quando si vede investito di una missione che non aveva cercato, ma che lo obbliga ad alzare la testa per un sentimento di onore e di dovere. Personalmente ho orrore della perfezione, delle persone perfette e di chi crede in un mondo perfetto.

La storia di Luis Bernardo è quella di un uomo che si trova di fronte a un dilemma etico, se la propria integrità valga di più dell’interesse del proprio paese: la scelta del Re è stata strumentale? Cioè, è caduta su di lui con la consapevolezza che sarebbe stata la sua rovina ma che avrebbe dato credibilità al Portogallo?
        Non so e non voglio risponderle. Ci sono certe cose nel libro che ho deciso di lasciare nel dubbio, ho voluto lasciare libertà di scelta e di interpretazione al lettore. Non voglio essere io a tirare le conclusioni e la morale della storia. Ricordo che da ragazzo era questo che non mi piaceva in Dostoevskij; il mio scrittore preferito era Čechov, che lasciava molta libertà creativa ai lettori. Un giorno ero sulla spiaggia e di fronte a me c’era una coppia che non si era accorta di me, i due stavano discutendo sul finale di “Equatore”. Mi è sembrato affascinante vedere che l’uomo aveva una interpretazione sulla conclusione della storia e la donna un’altra. Era esattamente ciò che io avevo desiderato: lasciare il libro “aperto”, non dare tutte le risposte o la mia risposta personale. Del resto, pensandoci bene, fino a che punto una storia che ci seduce appartiene solo a chi l’ha scritta?

 Luis Bernardo e David Jameson rappresentano anche i due diversi stili di colonialismo dei loro due paesi: pur con i suoi aspetti negativi, l’Inghilterra ha lasciato dietro di sé qualcosa di positivo nelle colonie; che cosa ha “costruito” il Portogallo nelle colonie?
       Tanto per cominciare il Brasile. L’unico caso, in tutta la storia coloniale in cui il Re, la corte e l’élite del paese si sono trasferiti nella colonia, facendone la sede dell’impero. E poi abbiamo lasciato Goa, in India, il meglio dell’India ancora oggi, e inoltre abbiamo lasciato ciò che né l’Inghilterra, né la Francia hanno mai lasciato, tanto in Africa che in Brasile, e cioè quello che Senghor chiamò “l’irresistibile tendenza per il meticciato dei portoghesi”. Ci siamo mescolati ai popoli conquistati, lì ci siamo sposati e abbiamo fatto dei figli, alcuni sono rimasti per generazioni e generazioni. Alcuni portoghesi sono partiti per sempre, cambiando vita e continente. Hanno esercitato senz’altro anche molta brutalità e molte ingiustizie, ma non sono mai stati dei predatori di passaggio che si sono limitati a saccheggiare per poi tornarsene a casa loro.

Tuttavia sembra che David Jameson abbia un atteggiamento meno critico nei confronti del colonialismo inglese: è un esempio dell’ipocrisia con cui si giustificano gli oppositori di Luis Bernardo, che sostengono di non fare niente di molto diverso dagli altri, usando la mano d’opera di colore?
       David Jameson era il tipico funzionario dell’Indian Civil Service, una scuola di élite creata per governare l’India: un compito che, come diceva Kipling, “Dio aveva messo nelle mani dell’Inghilterra”. Io sono un grande ammiratore di questa epoca vittoriana, soprattutto di ciò che riuscì a fare di grandioso nell’immenso impero inglese. Oggigiorno è politicamente scorretto dire che certi imperi avessero anche delle virtù e non solo difetti, e che all’epoca rappresentavano in molti casi un progresso per i popoli che li integravano. Senza l’eredità inglese sono certo che l’India oggi non sarebbe una democrazia- come non lo è nessun paese che sia stato sottomesso all’impero cinese, mongolo o arabo. Gli imperi ci sono sempre stati, solo che alcuni hanno lasciato un’impronta di progresso, e altri no.

Si fa spesso riferimento ad un ultimatum del 1890: di che cosa si tratta?
      È stato un ultimatum fatto dall’Inghilterra al Portogallo, quando il Portogallo pensò all’idea di quella che venne chiamata “la Mappa Rosa”, che consisteva nel legare le colonie portoghesi dell’Angola e del Mozambico, attraverso la colonia inglese dello Zambia. Ovviamente all’Inghilterra l’idea non è piaciuta e ci ha minacciati di guerra. I portoghesi hanno dovuto rinunciare al progetto, e da quel momento è diventato di moda dire male dell’Inghilterra.

Un titolo che segna una posizione geografica, “Equatore”, ma anche un titolo simbolico: è una “linea d’ombra”?
        È una linea di frontiera, una striscia di sabbia. Rappresenta il confine dove tutto è possibile, le buone e le cattive scelte: si può scegliere il coraggio o la viltà, l’amore o l’accomodamento, la verità o la sottigliezza. Luis Bernardo ha incontrato il suo equatore lungo il suo cammino e ha dovuto scegliere tra le opportunità. Secondo me la vita è fatta di molte possibilità, da scegliere quasi quotidianamente. Poveretti quelli che non devono mai farlo! Rischiano di passare una vita intera senza averla vissuta realmente.

“Equatore” è un romanzo sul potere esercitato dall’uomo sull’uomo, un romanzo sull’amore e anche sul tradimento: ha un significato il fatto che la fedeltà sia rappresentata da due persone di colore, i servitori Sebastiao e Doroteia?
       Non ci ho mai pensato, ma credo che il vero significato non risieda nel fatto che sono negri, bensì domestici di Luis Bernardo. Il che forse significa che a volte è più facile incontrare la fedeltà tra le persone semplici, che conducono una vita povera, che hanno ambizioni limitate e che non sono ancora corrotti dalle cose del mondo. Ma questa è semplicemente un’interpretazione alla quale penso ora sollecitato dalla sua domanda.

Leggiamo dello schiavismo e ci scandalizziamo. Possiamo interpretare i ragionamenti degli “africanisti”, che sostengono le motivazioni economiche del lavoro degli schiavi, come un’allusione alle stesse motivazioni che nascondono oggigiorno un altro tipo di schiavismo che tutti fingono di ignorare?

      Lo schiavismo, quello tradizionale come quello moderno, non ha mai giustificazioni, ma trova sempre chi vorrebbe spiegarlo. Io credo sia un errore tentare di giudicare la storia e i comportamenti del passato alla luce dei codici etici contemporanei. Anche la Chiesa ebbe l’Inquisizione e difese la pena di morte, i conquistatori saccheggiavano le città conquistate, le donne non hanno votato nella maggior parte dei paesi fino alla metà del XX secolo, i professori picchiavano regolarmente i bambini… Ma per fortuna c’è sempre stato chi lottava contro la morale stabilita; è per questo che oggi, in termini umani, siamo arrivati fin qui. Possiamo anche non rispettarli, come a Guantanamo, ma sappiamo qual è il bene e qual è il male. Non possiamo più invocare l’ignoranza né le abitudini costituite.

 La recensione e l'intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
                                                                               








2 commenti:

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  2. Grazie della recensione. Sto iniziando a leggerlo adesso, in lingua portoghese

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