martedì 26 agosto 2014

Zhang Jie, "Anni di buio" ed. 2010

                                                        Voci da mondi diversi. Cina
il libro ritrovato

Zhang Jie, “Anni di buio”
Ed. Salani, trad. Maria Gottardo e Monica Morzenti, pagg. 366, Euro 18,00

 Titolo originale: Without Words


   Per quanto Wu Wei abbia cercato in tutti i modi di non diventare una schiava, la sua spina dorsale era già stata piegata a due anni, per non raddrizzarsi mai più. Da allora, chiunque poteva diventare suo padrone. Non solo era figlia di una schiava, ma lo era lei stessa. Per tutta la vita avrebbe considerato ogni briciolo d’amore o di affetto, anche se involontario, o falso, come un dono immeritato che gli altri le elargivano e per il quale doveva mostrare immediata gratitudine, trasformandosi in cane fedele o bestia da soma al servizio del benefattore del momento, al quale si donava con tutta se stessa.

    Splendido. “Anni di buio”, secondo romanzo di una trilogia della scrittrice cinese Zhang Jie, è splendido come solo possono esserlo i libri dall’ampio respiro, quelli che riescono a tessere la trama della grande Storia insieme alle piccole storie degli uomini e delle donne che sembrano agitarsi senza senso e senza scopo e invece concorrono a foggiare il destino di un paese e, con quello, pure la sorte del mondo.
   Chi ha già letto il precedente “Senza parole” ricorda alcuni dei personaggi che riappaiono- soprattutto la scrittrice Wu Wei, che abbiamo visto sprofondare nella follia nel primo libro della serie. Soprattutto, chi ha già letto “Senza parole” conosce già lo stile di Zhang Jie e non deve affrontare di nuovo lo sconcerto e il lieve disorientamento davanti alla flessibilità temporale della narrazione. Nei romanzi di Zhang Jie il tempo non è un fluire continuo nella stessa direzione- dal passato, o dal presente, verso il futuro-, ma procede a balzi, si ferma, indugia, retrocede, anticipa quello che verrà. Come se fosse un racconto orale che si permette divagazioni, o fa una pausa perché c’è un dettaglio o un frammento di storia da inserire in quel momento. Tocca al lettore mettere in ordine i fatti, compito stimolante che tiene desta l’attenzione. E così la Storia e le storie palpitano di vita, come se tutto fosse accaduto ieri e non quasi un secolo fa.
   C’è una spaccatura tra una prima e una seconda parte in “Anni di buio”: il tempo è lo stesso, i protagonisti pure, ma nella prima parte c’è la storia degli uomini, che sono quelli che fanno le guerre, e nella seconda si muovono in primo piano le donne, le stesse che prima avevamo visto attraverso la lente maschile, che venivano prese e abbandonate dagli uomini per seguire un signore della guerra. Le vicende della Cina del secolo scorso sono complesse- una terra frazionata, spaccata poi in due dall’occupazione giapponese, attraversata dai movimenti della resistenza, divisa dalla guerra civile. Con una popolazione in costante aumento, senza le prospettive di una ricchezza industriale, il riso come alimento base, e spesso l’unico ad essere fortunati.
Se i vari Hu Bingchen, Hu Binghuan, Hu Bing’an, Bao Tianjian (non scoraggiatevi, c’è un utilissimo elenco dei personaggi all’inizio del libro) abbandonano le loro case, si schierano dall’una o dall’altra parte, agiscono, insomma, le donne che restano a combattere la loro battaglia per sopravvivere e dare da mangiare ai figli sono quelle che ammiriamo di più per il loro coraggio indomito, che restano nei nostri cuori anche se a volte fatichiamo a comprenderle nell’ottica moderna.
O forse neppure questo è vero: Ye Lianzi, fedele al marito di cui non sa nulla per anni, disposta a lasciarsi umiliare accettando di vivere con lui e la sua amante, quando lo ritrova a Hong Kong, è una delle tante vittime femminili che permettono l’esistenza dei carnefici. Bellissimo personaggio, Ye Lianzi, così fragile fisicamente e così forte quando si tratta di lottare per la figlia Wu Wei, il suo bene più prezioso. Perché Ye Lianzi non vuole che sua figlia abbia un’infanzia come la sua, rimasta orfana presto, tollerata dalla matrigna, andata in sposa perché non c’era altra via di uscita. E tuttavia, anche se non c’è una matrigna a marchiare i primi anni di Wu Wei, le basi per la sua pazzia degli anni a venire vengono poste dal padre violento, insieme ad un’esperienza di servitù, al terrore indimenticabile di essere inghiottita dall’acqua che saliva, quando il fiume Hai ruppe gli argini nel 1939, o di morire sotto il crollo di una casa durante il bombardamento di Hong Kong nel 1941.

      Un’immagine ci resta impressa, tra le tante di queste pagine, quella della Grande Muraglia di cui giunge in vista Gu Qiushui (marito di Ye Lianzi e padre di Wu Wei), durante la spedizione per recuperare le armi per la lotta contro il Giappone. Il meravigliato stupore di Gu Qiushui ci ricorda quello di Carlino che scopre il mare ne “Le confessioni di un italiano”: non le onde del mare ma quelle della sabbia del deserto si distendono davanti a Gu, e tra di esse affiorano le rovine della Muraglia, come una gigantesca spina dorsale. Una grandiosa opera eretta da mani sconosciute, rimasta lì in silenzio, “senza un lamento, sempre in assetto di combattimento a guardia di un confine remoto, sempre in attesa di un ordine che non sarebbe mai arrivato”. E ci pare che questa muraglia muta, di fronte ad un ‘deserto dei tartari’, rappresenti il popolo cinese stesso attraverso tutte le peripezie della Storia.

   Non possiamo che attendere con ansia il terzo volume della scrittrice cinese candidata da anni al Premio Nobel per la Letteratura.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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