domenica 31 agosto 2014

Duong Thu Huong, "Dalla terra di nessuno" ed. 2007

                                                       Voci da mondi diversi. Asia
 il libro ritrovato


Duong Thu Huong, “Dalla terra di nessuno”
Ed. Garzanti, trad. Serena Lauzi, pagg. 455, Euro 19,00



   Se avevamo dei dubbi sul fatto che certi temi siano universali, che ci siano degli archetipi ricorrenti in tutte le culture, che i sentimenti che gli uomini provano siano gli stessi sulla faccia della terra, senza distinzione di colore della pelle, di lingua o di paese di appartenenza, il romanzo della scrittrice vietnamita Duong Thu Huong li dissolve tutti. Perché al centro della vicenda di “Dalla terra di nessuno” è ancora ‘la nostalgia del ritorno’ di cui parlava il tedesco Bernhard Schlink nel suo recente romanzo, anche se vista da un’altra prospettiva, con personaggi diversi e una storia differente. Ma è pur sempre il ritorno di Ulisse dalla guerra ed è passato tanto tempo e la Penelope di Duong Thu Huong non poteva aspettare per sempre, si è risposata e ha un figlio.
    La prima cosa che ammiriamo nel romanzo della scrittrice vietnamita è l’equilibrio con cui è costruito: una prima parte in cui veniamo introdotti ai tre personaggi principali, una parte centrale in cui seguiamo il dramma di ognuno di loro e li conosciamo più in profondità attraverso la storia del loro passato, e infine la conclusione dove si riuniscono tutte le fila. E ci domandiamo se abbiamo letto una storia d’amore o una storia di guerra e di quello che fa la guerra agli uomini, e riflettiamo che è proprio vero, che nessuno torna mai da una guerra.


Il veterano Bon è tornato, dopo quattordici anni- si era perso nella giungla, come e perché e che cosa gli sia accaduto lo apprendiamo in seguito. E’ un rottame di uomo, inabile al lavoro, con una sola idea in mente, quella che lo ha sostenuto in vita: riprendersi Mien, la moglie che ha dovuto lasciare quasi subito dopo averla sposata, l’amore della sua giovinezza, la donna più bella del Villaggio della Montagna. Mien potrebbe rifiutarsi di seguirlo: Bon è stato dichiarato morto, adesso lei è la moglie del ricco proprietario terriero Hoan, hanno un bambino. E invece si veste di nero e lo segue nella catapecchia che condividono con la sorella di lui e i suoi sporchi marmocchi, perché - come riflette Hoan alla fine- “anche se si distruggessero tutti i tribunali del mondo, rimarrebbe pur sempre il giudizio di quello che ci siamo costruiti nel cuore.” Mien segue la sua coscienza, obbedisce ad un codice d’onore non scritto- se Bon è diventato una larva, è stato per servire il suo paese, si è sacrificato per tutti loro, anche per lei. Che poi la coscienza non sia il cuore e che il cuore si rifiuti di provare alcunché per quello che era stato il suo primo amore, questo è il dramma che Mien si porta dentro, moglie silenziosa che si lava dopo ogni sterile amplesso che la disgusta.

    Abbiamo parlato dell’equilibrio del romanzo e in questa parola possiamo includere pure la magistrale trattazione dei personaggi, come la scrittrice riesca a trasformare lentamente la figura di Bon, il “cattivo” che rovina la felicità di una coppia, in un personaggio drammatico: i capitoli della guerra in Vietnam, di cui abbiamo letto per lo più da parte americana, sono un inferno di follia, indimenticabili le pagine di Bon che si addentra nella giungla con l’unica compagnia del cadavere del sergente e degli avvoltoi. Neppure Bon dimenticherà mai, il mondo sarà per sempre per lui una terra di nessuno.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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