lunedì 4 agosto 2014

Håkan Nesser, intervista durante il Festival della Letteratura di Mantova nel 2008

                                                   cento sfumature di giallo                                    
                                                    vento del Nord



INTERVISTA A Håkan Nesser, autore de “L’uomo senza un cane”


Era intitolata “Gli assassinii del grande Nord” la serie di eventi del Festival della Letteratura di Mantova con la presenza di quelli che- parafrasando il titolo- potremmo chiamare “i grandi scrittori di romanzi polizieschi del Nord”: Håkan Nesser, Anne Holt, Leif Persson, Maj Sjöwall. Ne mancavano alcuni, ma è già stato di grande interesse poter incontrare questi. Di Håkan Nesser avevamo già letto e recensito “L’uomo senza un cane”- ne abbiamo parlato con lui.


In questo suo nuovo libro c’è un nuovo ispettore, Gunnar Barbarotti. Era stanco di Van Veeteren? Aveva paura che i lettori si fossero stancati di lui? E aveva bisogno di attribuire un padre italiano a Barbarotti per accentuare il cambiamento?
    A dire il vero, era lui che si era stancato di me…No, il fatto è che avevo deciso che avrei scritto dieci libri con Van Veeteren e quindi sapevo di essere arrivato all’ultimo. E poi volevo che fossero dieci bei romanzi. Penso che sia bene sapere quando ci si deve fermare. Ma no, non mi sono stancato di lui, in un certo senso ne sento la mancanza, però lui è sempre lì, che lavora nel campo dell’antiquariato, mi telefona ogni mese e mi dice, “Basta libri con me”. Non penso che i lettori ne abbiano avuto abbastanza di lui, i lettori svedesi sapevano che ci sarebbero stati dieci romanzi con lui. Quanto a Barbarotti, mi piaceva il nome, ma non avevo intenzione di scrivere una nuova serie, e infatti Barbarotti appare tardi nel romanzo. Doveva essere soltanto un libro di un dramma famigliare visto da angoli diversi. Ma a pagina 250 avevo bisogno di un ispettore. Non volevo scrivere un romanzo di indagine poliziesca, poi mi è apparso Barbarotti- come se si fosse presentato sulla porta, era simpatico. Mi ha detto, “guarda, vengo nel romanzo, ma ci starò solo per quattro o cinque libri”. Non so proprio perché sia per metà italiano…non ne sono certo, ma forse il padre apparirà nell’ultimo libro.

 C’è un altro tratto caratteristico in Barbarotti: lo fa parlare con Dio. Non è mai del tutto chiaro se creda veramente in Dio, ma, ad ogni modo, è qualcosa che lo rende diverso, un bisogno di spiritualità. Pensa che la società moderna abbia bisogno di maggiore spiritualità, di pensare di più a Dio?
    Sì, abbiamo bisogno di questa dimensione e abbiamo bisogno di spiegazioni. C’è una ricerca esistenziale che si pone delle domande del tipo, da dove veniamo?, e come si fa ad essere delle brave persone?, o, perché sono qui? Nel primo libro i colloqui di Barbarotti con Dio sono una specie di scherzo, più in là la sua ricerca di Dio diventa più seria e più reale. Se c’è un Dio penso che sia un gentiluomo.

Oppure una gentildonna, no? se pensiamo a un Dio della pace, forse sarebbe meglio pensare ad una gentildonna…
     Certo, ha ragione, una gentildonna, perché no?

In un certo senso “L’uomo senza un cane” è una saga famigliare; è un romanzo su di una famiglia e sui crimini in famiglia, anche quelli silenziosi: è questo il nocciolo del romanzo? Le ferite che si possono infliggere a chi ci è più vicino?
    Forse sì, è il nocciolo del romanzo. In un romanzo con crimine puoi avere un centro fluttuante, di modo che non si possa dire ‘questo’ è il centro. “L’uomo senza un cane” è un dramma silenzioso della famiglia. Le famiglie sono tutte più o meno disfunzionali e, quando accade qualcosa, la situazione peggiora.   

  
Nel romanzo c’è un altro dettaglio che lo allaccia alla società contemporanea: uno dei personaggi appare in un reality show e si comporta in maniera che lo ricopre di vergogna e, nello stesso tempo, rivela la sua solitudine. Al di là del desiderio di soldi, che cosa c’è dietro i reality show?
     La ricerca della fama senza aver fatto niente. Diventare famosi solo per essere là. E’ tutto così superficiale, vuoi essere là e poi che fai? Sorridi, ti togli i vestiti…Negli anni ‘60 si pensava alla solidarietà, ora è tutto individualistico. Il risultato è la solitudine, che è una malattia.

Un altro filone interessante nel romanzo: l’omosessualità. Pensavamo che l’omosessualità fosse comunemente accettata nella Svezia liberale; il romanzo però mostra che non è così: ci sono due Spezie con diversi atteggiamenti morali?
Sì, ho vissuto a New York, dove una persona su due è gay e non c’è nessun problema, nessuno stress, eppure la situazione non è la stessa negli stati centrali dell’America.. In Svezia gli omosessuali in genere sono accettati- il problema nel libro è che il ragazzo è omosessuale ed è lui stesso che non vuole accettarlo, perciò per lui è uno shock quando incontra l’altro ragazzo.

Volevo domandarle se avremo altri romanzi con Van Veeteren, ma mi ha già detto prima di no; avremo allora altri romanzi con Gunnar Barbarotti?

    Ci saranno cinque storie diverse con Gunnar Barbarotti, e saranno diverse anche per forma e struttura. Il terzo della serie, poi, è ancora più diverso, perché è più romanzo che romanzo di indagine poliziesca.  

                                                                                                         
 

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