mercoledì 6 agosto 2014

Håkan Nesser, “L’uomo con due vite” ed. 2010

                                                           cento sfumature di giallo
   vento del Nord
   il libro ritrovato


Un’ inchiesta del commissario Barbarotti

Håkan Nesser, “L’uomo con due vite”
Ed. Guanda, trad. Carmen Giorgetti Cima


    L’uomo che avrebbe voluto nascere gatto. Sì, ‘un bel gattone acciambellato al sole sul pendio dietro una stalla.’ L’uomo che la moglie paragona ad un mobile, un divano magari. Perché è insignificante, lo si dà per scontato. L’uomo che si chiama Ante Valdemar Roos, sessant’anni, vedovo, con un figlio che non vede da dieci anni, una seconda moglie e due figliastre. L’uomo che ha un ricordo netto del padre morto suicida. Di una passeggiata nella foresta e di una frase che esprimeva la bellezza di quel momento: “mai meglio di così”, aveva detto suo padre.
Ecco, alla sua età, Ante Valdemar Roos vuole provare ancora quella sensazione, di vivere al meglio, e non condurre una vita grigia tra casa e lavoro. Ha un colpo di fortuna. Una vincita al totocalcio, con una schedina che è rimasta la stessa per più di cinquant’anni, la stessa che giocava suo padre. Si compra una casa in un luogo sperduto, si licenzia, ogni giorno finge di andare a lavorare e invece passa le ore in quella solitudine che gli fa pensare ‘mai meglio di così’.    

     Il nuovo romanzo dello scrittore svedese Håkan Nesser, “L’uomo con due vite”, terzo della serie con Gunnar Barbarotti, l’ispettore che patteggia con Dio, segue la stessa tendenza dei due libri precedenti: è un’indagine poliziesca perché c’è un morto, c’è la ricerca di una persona scomparsa, ma in realtà è un’indagine su tutt’altro. Sul senso della vita e su come sia possibile cambiarne la rotta, sulla solitudine paradossale di chi è circondato da persone, sulla comprensione fulminante che il tempo che avanza da vivere è poco e non si può sprecare passandolo con chi non ci interessa. Valdemar Roos si trova in questa situazione e fa quello che ha fatto il fu Mattia Pascal. Prima si isola a poco a poco, poi scompare. Anche perché la sua solitudine si incontra con quella di Anna, in fuga da un centro di cura per tossicodipendenti e da un uomo violento- l’aspirante gatto, il divano, entra in sintonia con la ragazza sensibile che suona la chitarra e compone canzoni. Per la prima volta nella sua vita sente di poter dare qualcosa  a qualcuno e di essere capito. Per Valdemar Nabokov è uno sciatore famoso, quando dovrebbe inserire ‘Lolita’ in un cruciverba lui mette un’altra parola: non c’è mai il minimo cenno che l’attrazione di Valdemar per Anna sia di natura sessuale, piuttosto l’interesse di un padre per la figlia. Generoso eppure anche leggermente morboso e possessivo, questo sì, e lo lasciamo scoprire al lettore.   

    La prima metà del libro è interamente occupata dalla storia di Valdemar e di Anna e il nostro Gunnar Barbarotti entra in scena solo nella seconda metà- ormai sposato con Marianne e con una vita famigliare ‘ricca’ di cinque figli, tra i suoi e quelli della moglie. Ha una gamba ingessata per una caduta, dialoga meno con Dio, è meno spiritoso del solito, è affiancato da Eva Backman, l’ispettrice che, in tono sommesso, pare ripetere il tema della solitudine in famiglia provato da Valdemar. Lei è giovane, ha quattro figli, ma finirà per chiedere la separazione: meglio ora che non accorgersi tardi di aver buttato via la propria esistenza.
    Per chi non ama la violenza, per chi non si aspetta un thriller da brividi, per chi ama un passo più lento di lettura, un bel romanzo.


la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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