martedì 21 settembre 2021

Hiroko Oyamada, “La fabbrica” ed. 2021

                                              Voci da mondi diversi. Giappone

          distopia

Hiroko Oyamada, “La fabbrica”

Ed. Neri Pozza, trad. Gianluca Coci, pagg. 198, Euro 18,00

 

   La fabbrica. E’ la fabbrica il colossale vero protagonista del romanzo della giovane scrittrice giapponese Hiroko Oyamada che ha vinto il premio Shincho for New Writers. Se la fabbrica fosse solamente un grosso edificio industriale, sarebbe facile. Ma la fabbrica è tutto un mondo a sé, circondato dal nulla. Perfino il ponte lunghissimo che una protagonista percorre in un tentativo di esplorazione pare non arrivare da nessuna parte- è così lungo che non se ne vede la fine. La fabbrica è così smisurata che contiene tutto, uffici, ristoranti, negozi, bar, capannoni di produzione, scuole, linee di autobus. C’è anche una fauna strana e inquietante nella fabbrica- grossi uccelli neri simili a cormorani sempre fermi alla foce del fiume, nutrie dalle dimensioni enormi, lucertole delle lavatrici che si nutrono di rimasugli di vestiti e di polvere dei detersivi.

   Qualunque sia il mondo esterno a quello della fabbrica, sembra che ogni famiglia abbia qualcuno che lavora lì dentro: è considerato un onore lavorare in fabbrica. Ecco perché i tre protagonisti del romanzo in definitiva accettano volentieri il lavoro che gli viene offerto.


   Yoshiko aveva già cambiato cinque lavori. Quando le viene offerto un contratto a termine nella sezione ‘Servizi di Stampa’ alla Fabbrica, lei accetta anche se non è quello per cui aveva fatto domanda. Il suo lavoro sarà inserire documenti da distruggere nelle macchine trita-documenti per sette ore e mezzo ogni giorno dal lunedì al venerdì. Un’occupazione squallida, ripetitiva, in mezzo al rumore e alla polvere della carta. Che cosa sono poi quei documenti per cui si è impegnata alla massima segretezza? Non lo sa nessuno. Ma si può rifiutare un posto alla fabbrica?

   È lo stesso motivo per cui anche suo fratello, appena licenziato, ha accettato un lavoro a termine in fabbrica. Ha competenze informatiche ma si trova a fare il correttore di bozze. Potrebbe essere un’occupazione con una sua dignità, ma così com’è è assurdo. Nessuno guarda quelle bozze corrette, a volte passano da un altro correttore e poi ritornano indietro uguali a prima. Ushiyama si addormenta sempre più spesso durante le ore al lavoro.

   Il briologo Yoshio era ricercatore all’università, è stato il suo professore a segnalarlo alla fabbrica come esperto di muschi. Si trova a dirigere l’ufficio ‘sviluppo tetti verdi’. Lui non sa nulla di tetti verdi e non capisce perché non si siano rivolti alle ditte specializzate nel settore.


     Giorno dopo giorno, anno dopo anno, i tre personaggi ripetono gli stessi gesti, fanno sempre le stesse cose. Si può calcolare un tempo non scandito dalla diversità? Quando Yoshiko incontra Yoshio, verso la fine, devono essere passati quindici anni da quando sono arrivati e l’aspetto fisico di Yoshio è quello di un uomo di mezza età. I personaggi sono obbligati a guardarsi indietro e a chiedersi che cosa abbiano concluso nella loro vita. Niente.

     È un libro inquietante con un che di kafkiano, grigio come la fabbrica che regola i giorni dei tre personaggi, sottilmente misterioso con l’insinuazione di lavori senza una finalità e senza fine, con l’alienazione dei personaggi che non hanno una vita propria al di fuori della fabbrica, con la totale assenza di notizie che filtrano dall’esterno rinchiudendo i protagonisti nel perimetro della fabbrica, con quegli animali che paiono mutanti e minacciosi. E’ forse una metafora per la perdita della dimensione umana del nostro mondo? per il lavoro ossessivo fine a se stesso?

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