Voci da mondi diversi. Area germanica
Bernhard Schlink, “I colori dell’addio”
Ed.
Neri Pozza, trad. Susanne Kolbe, pagg. 240, Euro
“Stanno morendo tutti.” “Stanno morendo
quelli della mia generazione”.
Forse
non è un inizio allegro per un libro, ma la morte è una realtà che tutti dobbiamo
accettare, che riguarda tutti, prima da lontano, poi da vicino, sempre più da
vicino. È inutile distogliere lo sguardo.
Incomincia con una riflessione che prende
la forma di una domanda, il libro di Bernhard Schlink. Che cosa ci aiuta a
prendere congedo dai nostri morti? Non è la cerimonia del funerale con cui si
rende omaggio al defunto. Che cosa fa sì che a volte non fatichiamo ad
accettare che non vedremo più una persona e a volte, invece, abbiamo la
sensazione che sia ancora viva, forse un po’ più lontana, e ci capita di
continuare a parlare con lei, come fosse presente? Il congedo si protrae,
forse, tanto più a lungo quanto meno spesso abbiamo frequentato quella persona
negli anni che precedono la morte?
“I colori dell’addio” è una raccolta di racconti che esplorano le diverse sfumature di un commiato per sempre. Ma sono storie colme di vita, tanto più ricche di vita perché hanno raggiunto la loro pienezza. E non c’è alcuna tristezza in questo. La tristezza è nel rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e non è stato, nel rimorso per gli errori fatti e per il male che si è arrecato. Oppure è una tristezza velata di nostalgia per un tempo passato, per qualcosa che si è vissuto senza capirlo appieno.
Un matematico che ha vissuto nella DDR cerca di impedire che la figlia dell’amico, matematico pure lui e ora morto, consulti il dossier della Stasi riguardante il padre. Aveva sempre detto a se stesso che lo aveva denunciato per il suo bene, perché l’amico non sarebbe mai stato felice all’Ovest dove progettava di fuggire. La realtà era che lo aveva venduto per ottenere il posto di direttore in vece sua. Un uomo si prepara a vendicare la morte di una ragazza figlia di immigrati che lui aveva aiutato a studiare. Anche la vicenda raccontata dal musicologo che ha vissuto negli Stati Uniti e che è tornato in Germania è un lungo flashback sul passato, sul suo amore non corrisposto per la compagna di scuola con il fratello disabile (il finale è sorprendente).
Prima di morire un uomo chiede di incontrare la moglie da cui ha divorziato e le regala il medaglione che era stato di sua madre. L’aveva tradita, lei aveva sofferto. Eppure non c’è richiesta di perdono o pentimento da parte dell’uomo, non sempre quello che si è fatto è una colpa. I due racconti seguenti mettono ancora in fuga qualunque senso di colpa, c’è un’accettazione e un’esaltazione della vita nella domanda finale di uno, “Perché allo stesso modo una cosa sbagliata non può diventare giusta?”, ribadita in altra forma nell’altro racconto, del ragazzino che, in una calda estate su un’isola, fa una doppia scoperta del sesso- vede la madre con un uomo che non è suo padre e ‘gioca’ con due bambine-, “la madre aveva ragione: le cose belle non potevano essere sbagliate”.
Per finire, sulle note della canzone di Elton John, Daniel, my brother, un racconto sul dolore speciale per la morte di un fratello e un altro racconto con una coppia in cui l’uomo ha molti anni più della sua compagna- lui non è ammalato, non si parla di morte e tuttavia si impone il pensiero che “non poteva darle niente, poteva solo toglierle qualcosa”. Sarebbe stato capace di dileguarsi?
Una fine dolce amara in un libro
che segna la pienezza narrativa dello scrittore e che, come tutti gli altri
suoi libri che abbiano letto, ci offre una miriade di spunti di riflessione.
Lo scrittore sarà presente al Festival della Letteratura di Mantova
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