mercoledì 1 settembre 2021

Arnaldur Indriđason, “I figli della polvere” ed. 2021

                                                        Voci da mondi diversi. Islanda

                                            cento sfumature di giallo


Arnaldur Indriđason, “I figli della polvere”

Ed. Guanda, trad. A. Storti, pagg. 336, Euro 18,00

 

     Due tragedie, all’inizio. Due morti, più o meno alla stessa ora.

   In un ospedale psichiatrico, alla presenza del fratello Pálmi che è andato a trovarlo, Daniel si suicida gettandosi dalla finestra. Era ricoverato da anni.    

  Legato su una sedia, un insegnante in pensione muore nell’incendio della sua casa. Fuori, in giardino, una tanica di benzina vuota.

  Quando sappiamo che Daniel era stato un alunno di Halldór, l’anziano insegnante, quando leggiamo che sulle pareti della stanza in cui è morto Halldór erano incorniciate tutte le foto delle classi in cui aveva insegnato e che in una di queste è ritratto Daniel con lo sguardo adorante rivolto a lui, crediamo di aver già capito tutto, che non leggeremo niente di nuovo tranne che la solita storia dell’insegnante pedofilo che insidia i ragazzini suoi alunni.

    E invece- come scopriranno Erlendur e Sigurdur Oli, incaricati delle indagini- c’entra anche, purtroppo, la pedofilia, ma in un contesto diverso e agghiacciante che ci rivelerà il significato del titolo “I figli della polvere”.


    E’ molto difficile parlare dei questo nuovo romanzo dello scrittore islandese senza spoilerare e cercherò di dire senza dire. Tutto ha inizio molti anni prima, quando Daniel, ora di mezza età, frequentava la scuola. Sua madre non aveva mai capito come mai il figlio, un ragazzo del tutto normale, ad un certo punto avesse preso a bere, a drogarsi. Non riusciva a capacitarsi che fosse diventato schizofrenico e che avesse dovuto essere internato, dopo aver cercato di dare fuoco al fratello molto più giovane di lui. Qualche frase detta da Daniel a Pálmi, prima di quel volo dalla finestra, alludeva ad una cacciata dal paradiso, suggeriva di fare domande sugli altri. Gli altri, chi? I compagni di scuola? Che strano caso- erano tutti morti i suoi ex compagni di scuola, tranne uno che ancora andava a trovarlo. E in circostanze singolari- il primo ad andarsene aveva avuto un infarto. A tredici anni, un infarto? Un altro, più o meno una settimana dopo il primo, era rimasto schiacciato sotto il trattore che guidava. Nessuno di loro aveva avuto una vita normale, tutti dipendenti o da alcol o da droghe. E Halldór, che c’entrava Halldór in tutto questo?


     Non andrò oltre perché la trama è ricca di sorprese sbalorditive che potremmo definire fantascientifiche se non fosse che sono perfettamente plausibili e di grande attualità. Il romanzo di Indriđason non ha solo il pregio di un intreccio insolito, ma anche quello di aprire il sipario su dei retroscena dell’isola che pensiamo incontaminata nella sua cornice di ghiaccio. Proprio perché è ai confini del mondo, in una candida solitudine, l’Islanda può essere l’ambientazione perfetta per traffici sporchi, illegali e immorali. C’è poi- e di questo abbiamo già letto- un passato di miseria e di degrado, con padri assenti o perché morti in mare o perché nei fumi dell’alcol, un clima così inclemente, con mesi di gelo e di buio, da spingere alla depressione.

E i due investigatori, Erlendur e Sigurdur, uno non più giovane e con figli problematici, l’altro non sposato, elegante, abbronzato e in forma splendente,  uno che è stato un pessimo studente, l’altro che ha seguito dei corsi negli Stati Uniti, finiscono per superare le loro rivalità dopo aver guardato dentro l’abisso del Male.

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