Voci da mondi diversi. Islanda
Arnaldur Indriđason, “I figli della polvere”
Ed. Guanda, trad. A. Storti, pagg.
336, Euro 18,00
In un ospedale psichiatrico, alla presenza del
fratello Pálmi che è andato a trovarlo, Daniel si suicida gettandosi dalla
finestra. Era ricoverato da anni.
Quando sappiamo che Daniel era stato un alunno
di Halldór, l’anziano insegnante, quando leggiamo che sulle pareti della stanza
in cui è morto Halldór erano incorniciate tutte le foto delle classi in cui
aveva insegnato e che in una di queste è ritratto Daniel con lo sguardo
adorante rivolto a lui, crediamo di aver già capito tutto, che non leggeremo
niente di nuovo tranne che la solita storia dell’insegnante pedofilo che
insidia i ragazzini suoi alunni.
E invece- come scopriranno Erlendur e Sigurdur Oli, incaricati delle indagini- c’entra anche, purtroppo, la pedofilia, ma in un contesto diverso e agghiacciante che ci rivelerà il significato del titolo “I figli della polvere”.
E’ molto difficile parlare dei questo nuovo romanzo dello scrittore islandese senza spoilerare e cercherò di dire senza dire. Tutto ha inizio molti anni prima, quando Daniel, ora di mezza età, frequentava la scuola. Sua madre non aveva mai capito come mai il figlio, un ragazzo del tutto normale, ad un certo punto avesse preso a bere, a drogarsi. Non riusciva a capacitarsi che fosse diventato schizofrenico e che avesse dovuto essere internato, dopo aver cercato di dare fuoco al fratello molto più giovane di lui. Qualche frase detta da Daniel a Pálmi, prima di quel volo dalla finestra, alludeva ad una cacciata dal paradiso, suggeriva di fare domande sugli altri. Gli altri, chi? I compagni di scuola? Che strano caso- erano tutti morti i suoi ex compagni di scuola, tranne uno che ancora andava a trovarlo. E in circostanze singolari- il primo ad andarsene aveva avuto un infarto. A tredici anni, un infarto? Un altro, più o meno una settimana dopo il primo, era rimasto schiacciato sotto il trattore che guidava. Nessuno di loro aveva avuto una vita normale, tutti dipendenti o da alcol o da droghe. E Halldór, che c’entrava Halldór in tutto questo?
Non andrò oltre perché la trama è ricca di
sorprese sbalorditive che potremmo definire fantascientifiche se non fosse che
sono perfettamente plausibili e di grande attualità. Il romanzo di Indriđason non
ha solo il pregio di un intreccio insolito, ma anche quello di aprire il
sipario su dei retroscena dell’isola che pensiamo incontaminata nella sua
cornice di ghiaccio. Proprio perché è ai confini del mondo, in una candida
solitudine, l’Islanda può essere l’ambientazione perfetta per traffici sporchi,
illegali e immorali. C’è poi- e di questo abbiamo già letto- un passato di
miseria e di degrado, con padri assenti o perché morti in mare o perché nei
fumi dell’alcol, un clima così inclemente, con mesi di gelo e di buio, da
spingere alla depressione.
E
i due investigatori, Erlendur e Sigurdur, uno non più giovane e con figli
problematici, l’altro non sposato, elegante, abbronzato e in forma splendente, uno che è stato un pessimo studente, l’altro
che ha seguito dei corsi negli Stati Uniti, finiscono per superare le loro
rivalità dopo aver guardato dentro l’abisso del Male.
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