sabato 20 febbraio 2021

Elizabeth Wetmore, “La notte di san Valentino” Ed. 2021

                                               Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America


Elizabeth Wetmore, “La notte di san Valentino”

Ed. Ponte alle Grazie, trad. Tiziana Lo Porto, pagg.290, Euro 18,00

   Texas 1976, la zona petrolifera nelle vicinanze di Odessa, una terra di polvere e miasmi che tolgono il respiro.

  Notte di san Valentino.  Dovrebbe essere la festa degli innamorati. Soltanto in una coppia anziana, che non è neppure più una coppia perché il marito è morto, troviamo dei ‘valentini’- si amavano veramente, Corrine e Potter. Quanto alle altre coppie…E chissà se la ragazzina a cui succede qualcosa di tremendo riuscirà ancora a pensare ad un ‘valentino’, come sarebbe suo diritto fare.

  Gloria Ramírez, quattordici anni. Dopo, non vorrà più essere chiamata con quel nome. Risponderà solo se la chiamano Glory. Aveva perso molto di più che la vocale di un nome quella notte di san Valentino. Era stata sciocca e irresponsabile a salire sul furgone di Dale Strickland.

      Mary Rose. Abita in un ranch, con il marito e la figlia di nove anni. E’ incinta. Resta impietrita, quando apre la porta e vede quella bambina che barcolla ‘come uno scheletro ubriaco’, gli occhi gonfi e pesti, ferite sulle gambe e sui piedi. La ragazzina che sembra una bambina vuole un bicchier d’acqua. E la sua mamma.

Quando Mary Rose vede un furgone che avanza da lontano, ordina alle due bambine di chiudersi in casa e chiamare lo sceriffo e un’ambulanza. Lei si piazza sul portico con un fucile in mano. E, nonostante le minacce, rifiuterà di consegnare Gloria a quel giovane arrogante che blatera di un litigio tra fidanzati.

    Corrine. Faceva l’insegnante, da anni è in pensione. Non è molto che suo marito è morto e lei non è capace di andare avanti da sola, non gli perdona di averla lasciata così. Beve. È sempre ubriaca.

    Debra, dieci anni. Anche al suo nome manca una vocale, era stato l’impiegato dell’anagrafe a sbagliare e a non scrivere la o. Passa le giornate da sola, giocando con amici immaginari, imprigionando rospi, chiedendo al suo indovino di carta se la mamma tornerà. Perché la mamma se ne è andata (è colpa sua, di Debra?).

    

Queste sono solo quattro delle voci narrative di questo romanzo che cattura il lettore fin dalla prima pagina con una vicenda sempre attuale, in ogni tempo e in ogni luogo, e con un corollario di micro storie che ci parlano di ragazze, di donne, di problemi che le donne vengono lasciate sole ad affrontare, di solitudine, di amicizia, di solidarietà. Di coraggio, che non è solo quello di Mary Rose che imbraccia il fucile senza sapere se sia carico. È il coraggio che ci vuole a Mary Rose e a Corrine (ma è Mary Rose quella che rischia di più) per sfidare in tribunale un intero paese di bianchi, per testimoniare contro Dale Strickland che è figlio di un pastore anglicano, che nessuno vuole vedere rovinato da una ragazzetta che se l’è andata a cercare e che poi è messicana e si sa che i messicani sono diversi. Frasi pretestuose che abbiamo sentito anche noi, al di là dell’oceano e che condurranno ad un finale scontato.

     È anche il coraggio della piccola Debra che trova un amico vero e non inventato nel veterano mingherlino che dorme in un tubo- questa è una piccola storia parallela di disagio e disadattamento del ragazzo tornato dal Vietnam che non trova lavoro e che viene ‘bullizzato’ (lui che faceva il topo dei tunnel in Vietnam e che non riesce a dimenticare i due bambini che ha ucciso).

   È il coraggio della ragazza che fa la cameriera al bar lasciando la bambina di quattro mesi affidata alla madre- come lei, anche Mary Rose e pure la madre di Debra hanno dovuto affrontare una gravidanza quando erano giovanissime, perché non erano riuscite ad andare nella clinica degli aborti.

     Nessun Valentino per tutti questi personaggi femminili (ho già detto che l’unico Valentino è morto, e anche quello è un altro breve romanzo dentro il romanzo) che si muovono in un paesaggio che sembra rispecchiare il loro vuoto e la loro mancanza di prospettive, nell’arida terra su cui svettano trivelle invece di cattedrali, dove gli incidenti sul lavoro sono dati per scontati, dove la polvere ti entra in bocca e negli occhi e i cactus sono le uniche piante che sopravvivono.

     Bellissimo. Da questo libro verrà tratta una serie televisiva.

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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it



 

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