domenica 14 febbraio 2021

Alberto Beonio- Brocchieri, "Marc de Fer" Intervista

                                                Casa Nostra. Qui Italia

   

   La lettura di “Marc de Fer” mi ha trasportato in un’epoca, il ‘600, di cui avevo vaghi ricordi degli anni di scuola come di un secolo di guerre senza fine e con alleanze complicate, in un paese, la Francia, in cui non ho viaggiato molto tranne che per motivi di studio. Avevo la curiosità, quindi, di saperne di più, di parlare con Alberto Beonio Brocchieri, autore di “Marc de Fer” e di due intriganti romanzi che avevo molto apprezzato, “Il mistero della donna scomparsa” e “I bugiardi di Dio”.

Dal suo esordio come romanziere con un libro ambientato in un prossimo futuro, “Il mistero della donna scomparsa”, ad un tuffo nel passato con questo romanzo storico ambientato nel ‘600 attraverso un thriller ‘filosofico’, “I bugiardi di Dio”. Ci parla del suo percorso letterario?

   


Non mi è facile rispondere. Ho scritto il primo romanzo, “Il mistero della donna scomparsa”, dopo un soggiorno a Roma- Roma mi aveva conquistato e mi sembrava lo scenario giusto per una storia. Nel 2004 avevo la chiara percezione che il problema dell’immigrazione sarebbe diventato di estrema gravità nel corso degli anni e avevo avuto questa idea, di Roma arroccata in una cittadella e intorno c’era il mondo che in qualche modo la circondava e la assaliva.

    Il secondo romanzo, “I bugiardi di Dio”, è stato un salto in una dimensione diversa. Il thriller è una scusa per parlare di un personaggio scomodo, spretato ma che non ha abbandonato la fede. La vicenda gialla illumina il personaggio che scrive un libro, “I bugiardi di Dio”, per dire che il rapporto con Dio è inconoscibile e soprattutto lo è attraverso le segreterie religiose di qualunque religione si tratti. Ed è un romanzo ambientato ai nostri giorni.


    Questo terzo romanzo nasce da una confluenza di diverse cose: la più antica è la mia passione per la scherma e la seconda matrice è l’ignoranza. Mi sono reso conto che, nelle mie conoscenze, il ‘600 era un’area scura. Ricordavo qualche nome, qualche personaggio, e allora mi sono messo a frugarci dentro come quando c’è qualcosa che veramente ti interessa. Ne è venuto fuori un quadro non da storico ma da amateur, per cui sentivo questo periodo in tutto il suo fascino. Infine mi piaceva l’idea di percorrere questo tempo con un personaggio diverso dai soliti, un personaggio che, nel corso della sua vita, trascorre vicende straordinarie, sia in senso personale sia in senso storico. Straordinarie perché ha veramente fortuna, gli capitano situazioni fortunate di cui coglie il lato utile. Mentre va avanti nella sua vicenda si accorge che questo procedere nel mondo è molto bello, ma alla fine presenta un conto da pagare. E allora bisogna fare una scelta, capire a che cosa si è disposti a rinunciare per tenere il potere. Mi interessava la vicenda umana vista nella chiave interpretativa della storia di potere. Il potere è un personaggio importante. Alla fine Marc prende una decisione saggia ma anche coraggiosa che rispecchia quello che lui è, tutto il suo personaggio.

Mi ha incuriosito la scelta sia del periodo storico- scelta che Lei ha già spiegato- sia quella dell’ambientazione in Francia. Perché il ‘600 in Francia?

Brive

   Ho scelto la Francia per una questione di banale gusto estetico. Mi è sempre piaciuto il Midi della Francia- la Guascogna, la Borgogna, la zona moschettiera. Sono luoghi bellissimi, sia per la presenza storica e per la dolcezza paesaggistica. Non è una bellezza gridata ma è di una dolcezza straordinaria. E la vecchia casa dei conti di Ferréol, che sono significativamente presenti in tutta la narrazione, è proprio lì, a Brive, sul corso della Dordogna.

E veniamo al protagonista di questo che, oltre ad essere un romanzo storico, è un romanzo di formazione. Veniamo al ‘cavaliere senza macchia e senza paura’: ci parli di Marc, di quello che voleva che Marc fosse e rappresentasse.

    Marc non è senza macchia e senza paura. Senza paura sì, è coraggioso. Senza macchia no: sa navigare tra se stesso e gli eventi in un equilibrio non facile. Marc ha coraggio e molto buon senso. Istintivamente sa usare l’uno o l’altro. Molto spesso è indirizzato dall’idea di fare carriera.

Questo personaggio è venuto fuori perché mi interessava la figura di un uomo che parte da una condizione umile- appartiene ad una famiglia di contadini-, diventa per caso un oste aiutando suo padre nella locanda e poi soldato. E da lì incomincia il suo incontro con il potere, un potere grande che lo solleva in alto sulla scala sociale ed economica. Però questa scalata non è gratis. È per questo che mi piaceva creare questo personaggio, per cercare di indagare la dialettica tra individuo e potere.


 Tra i personaggi che affollano il libro, tutti descritti in maniera memorabile, ce ne sono due di cui vorrei sapere di più: il capitano de Ferréol, quasi un secondo padre per Marc, e il principe di Condé.

    Sono due figure diverse. Il Capitano de Ferréol è un personaggio molto segreto che si svela a poco a poco, una di quelle persone che sembrano fredde e distanti e poi si dimostrano in una dimensione di umanità profonda. Anche qui c’è la dialettica tra individuo e potere. È condizionato per tutta la vita dai pregiudizi della sua ascendenza di nobiltà. Se ne libererà anche grazie all’avvicinamento con Marc che gli fa scoprire il senso di una individualità piena e profonda.

  

Il principe di Condé

Condé è Condé, lo incontriamo dapprima giovane quando ruzzola giù da cavallo e poi lo affianchiamo durante la battaglia di Rocroi. Condé è l’impersonificazione del Potere, dei soldi e della casata, ma in accettabile dimensione umana. Non dimentica mai di essere un principe, d’altra parte essere un Condé significava essere uno degli uomini più in vista del paese. È un personaggio che mette sotto scacco la coscienza di Marc e gli impone una scelta difficile.

   Aggiungerei però un terzo personaggio importante: Dewick. Dewick è il ‘600, è l’uomo nuovo nel suo tempo. Non è simpatico e positivo, ma è un osservatore di quello che succede intorno a lui e nel pensiero di questo secolo. È uno scienziato del comportamento umano perché osserva, cataloga, capisce le persone intorno a lui e se ne serve.

Anche di due donne vorrei sapere di più. in un romanzo in cui la guerra è in primo piano, le donne sono marginali, però Magdalene è importante. Arianne è più sottotono, quasi in disparte. Sono due donne agli antitesi?

   Non del tutto. Lo sono per tipologia di vita e di persona. Hanno due elementi in comune: un’infanzia segnata da una tragedia e poi sono donne franche, oneste, che non si infingono, che non cercano di apparire diverse da quello che sono. Hanno fierezza della loro identità. Magdalene adombra anche la tragedia delle streghe: è un ambito in cui non ho voluto entrare, e però volevo che si avvertisse.

 I capitoli in cui Marc prende lezioni di spada da Monsieur Hermès sono scritti da qualcuno che non si è solo informato, ma che è un esperto: sbaglio?

lo scrittore in pedana con il nipote

    No, li ha scritti qualcuno che, tra quando era ragazzo e poi anziano, ha fatto vent’anni e più di pedana: per me quello per la scherma è stato amore vero, passione per l’incontro, lo scontro, il duello con un altro, con tutte le furbizie  e la preparazione. La scherma è uno sport bellissimo che mi ha accompagnato negli anni e che ho rivissuto in questo capitolo. Marc non fa sport, il non saper maneggiare la spada gli ha causato un problema serio e deve imparare.

Nelle scene dell’apprendistato con la spada appare un personaggio senza nome ma che noi riconosciamo benissimo: Cyrano de Bergérac. È una strizzata d’occhio ad un famoso personaggio veramente esistito e all’ancora più famoso dramma di Edmond Rostand?

    Ovviamente sì. È una strizzata d’occhio che non so se verrà riconosciuta. Ci ho giocato. Ho adorato Cyrano de Bergerac sia nella sua versione cartacea sia in quella cinematografica. Cyrano è proprio lui, in questa scena. E poi devo dire un’altra cosa: in una realtà dentro di me Cyrano è il padre del figlio della sorella di Marc. Potrebbe essere un altro romanzo…

Un’ultima domanda sulla guerra. Guerra vera, verissima, eppure, in un certo senso, anche metafora della condizione umana.

    Purtroppo sì. Ho lasciato trasparire l’amarezza di constatare che l’uomo è, per metà, ‘una schifezza’. In bocca a Gaston metto delle parole a questo proposito: la guerra è sacra ed è stata sacra perché in pace l’uomo si racconta favole su se stesso, ma in guerra cadono tutte le maschere. In guerra l’uomo diventa quello che è davvero, un’altra cosa. La realtà è che l’uomo gode nel far male ai suoi simili.

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Recensione e intervista saranno pubblicate su www.stradanove.it



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