Casa Nostra. Qui Italia
romanzo autobiografico
Laura Forti, “Forse mio padre”
Ed. Giuntina, pagg. 158, Euro 15,00
L’io narrante di questo romanzo- la scrittrice
stessa- ha saputo tardi da sua madre che il padre biologico non era l’uomo che
l’aveva cresciuta, il padre delle sue sorelle e del fratello. Non ne era
rimasta sconvolta- aveva sempre avvertito una certa qual lontananza da Mauro, il
marito violento di sua madre.
Quanti ‘forse’ in questo libro. Forse è suo
padre l’uomo con la macchia sul viso la cui fotografia Laura vede sulla tomba
al cimitero. Forse Mauro sapeva. Forse sapeva o sospettava anche la nonna
Gilda, che invitava a casa sua solo sua sorella e mai lei. Forse l’uomo che
ogni tanto telefonava era suo padre. Era forse lui l’uomo che una volta aveva
visto in casa? Era forse da lui che la mamma andava quella volta che…? Forse…
Se la memoria si può ricostruire, se la mente può costruire un personaggio come si farebbe con le tessere di un puzzle, fabbricando ad hoc i tasselli mancanti, questo è quello che Laura cerca di fare. Perché ne ha bisogno. Sa che ‘forse suo padre’ era stato l’amore della prima giovinezza di sua madre, quando durante la guerra era sfollata in un paesino in Toscana. Sa che, in un periodo di crisi, sua madre era andata ad Assisi dove si era fermata un mese e dopo nove mesi era nata lei. Da subito il suo rapporto con la madre era stato strettissimo- era forse un indizio anche questo, che la madre tenesse così legata a sé la ‘figlia dell’amore’? Forse perché la considerava solo come figlia ‘sua’, l’aveva fatta crescere nell’ebraismo, unica dei suoi figli?
E poi, forse, questo non è soltanto un
libro sulla ricerca del padre mancante- e, a pensarci bene, erano non uno ma
due i padri mancanti nella vita di Laura-, ma un libro sulla complessità del
rapporto tra madre e figlia, un libro
sulla madre, personaggio affascinante e ingombrante da cui, forse, l’io
narrante riuscirà a staccarsi dopo averla trasformata in un personaggio sulla
carta.
Sua madre aveva quindici anni quando
faceva la staffetta per i partigiani in Toscana, con quello sprezzo del
pericolo, quella spavalderia che solo i giovani possono avere. Ed era bella,
con un’aria fiera. Più tardi aveva piantato gli studi per andare in un kibbutz
in Israele. Dopo, però, era tornata e aveva sposato quel Mauro che avrebbe
segnato un cambiamento radicale nella sua vita. Aveva abbandonato sogni e
ideali, incattivendosi.
In
questo romanzo così sofferto, che assume la forma di una lunga lettera o di un
monologo rivolto ad un ‘tu’ che è il ‘forse’ suo padre, “è lei la vera protagonista
del racconto. È lei a portare il ricordo, l’attenzione dove vuole. Continuo a
combattere con mia madre, un corpo a corpo di parole. Scrivo contro di lei, per
lei”.
Il pensiero torna però sempre a lui, alla domanda senza risposta- sarebbe stata forse diversa lei, la scrittrice, se il suo vero padre si fosse fatto conoscere?
Ancora
un ‘forse’ che termina il libro, che spiega i tre tondi in copertina- una
bambina, un uomo dall’aria discreta, un cane: era forse lui l’uomo con il cane
che aveva incontrato nel parco con la nonna, che le aveva regalato il cane che
lei desiderava?
“Mi hai insegnato che si può amare
discretamente qualcuno e uscire di scena in punta di piedi”. Non c’è alcun
rancore per un padre che ha un posto nel suo cuore pur avendo scelto, e forse
per il bene di tutti, di non rivelarsi, di amare da lontano.
Un romanzo coraggioso per una ricerca
coraggiosa.
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