mercoledì 3 febbraio 2021

Yun Dong Ju, “Vento blu” ed. 2020

                                                           Voci da mondi diversi. Corea

               poesia

Yun Dong Ju, “Vento blu”

Ed. Ensemble, trad. Eleonora Manzi, pagg. 252, Euro

    Yun Dong Ju, l’autore della raccolta di poesie “Vento blu”, era ‘il poeta’ del titolo del romanzo “La guardia, il poeta e l’investigatore” dello scrittore coreano Jung-myung Lee. Un romanzo che ho amato molto, un poeta che è stato per me una scoperta fulminante. In calce alla mia recensione del libro avevo scritto della mia delusione nel non aver potuto acquistare il volume con la traduzione inglese delle poesie di Yun Dong Ju- l’ultima copia era scomparsa nell’attimo che avevo impiegato a decidermi. Ed ecco, a quattro anni di distanza, la graditissima sorpresa di “Vento blu”, con la traduzione in italiano di Eleonora Manzi. Finalmente.

    Yun Dong Ju condivide la sorte dei poeti morti giovani- muor giovane colui che al cielo è caro- e, se fu una malattia a stroncarlo, come avvenne a Byron e a Keats, di certo la malattia insorse come conseguenza della sua prigionia.

    Nel 1943 Yun Dong Ju, che frequentava l’università in Giappone, fu arrestato per aver manifestato per l’indipendenza coreana (la Corea era stata annessa al Giappone nel 1910). Condannato a due anni di reclusione nel carcere di Fukuoka, morì il 6 febbraio 1945, a ventisette anni. Nel 1948 venne pubblicata postuma la sua raccolta di poesie, alcune delle quali erano citate nel romanzo di Jung-myung Lee, lasciando in me un’impressione indelebile.


    C’è tutta la vita del poeta in queste poesie scritte in un linguaggio semplice che fa balenare immagini di grande bellezza la cui simbologia- quando c’è- è di facile comprensione. E ci sono alcuni temi ricorrenti, primo fra tutti la frustrazione e il senso di ingiustizia per la proibizione di usare la lingua nazionale. Quando, nel 1942, è costretto a cambiare nome, Yun Don Ju scrive: Sopra questa collina dove così tante stelle si riflettono/ scrivo il mio nome/ e lo ricopro di terra./

    Si sente in colpa, il poeta, per non fare abbastanza, per non riuscire ad aiutare i connazionali a liberarsi del giogo. Vede se stesso in un pozzo e odia la sua immagine, odiandosi: Nel pozzo vedo la luna splendente, le nuvole che si addensano, il cielo vasto che si dilata, il vento blu e l’autunno./ Vedo anche un uomo./ Senza una ragione lo odio e mi allontano. È lo stesso volto che vede nello specchio ‘sfigurato dal disonore’.

memoriale a Kyoto

    Se si lascia prendere dal pessimismo che gli fa dire, Allora anche io che cercavo il nuovo giorno,/ al risveglio mi guardo intorno./ Non trovo il domani,/ ma l’oggi., è però anche capace di riprendersi con lo spirito battagliero della giovinezza, e dire: La mia strada è sempre nuova,/ sia oggi, sia domani…e, in un’altra poesia, la notte è buia/ ma chiudete gli occhi e andate avanti, versi che ci ricordano quelli di Robert Frost, Bello è il bosco, buio e profondo,/ ma io ho promesse da non tradire, e miglia da fare prima di dormire.

   La visione personale della vita riesce a diventare universale nelle poesie di Yun Dong Ju e nei suoi versi riconosciamo echi della poesia classica cinese, ma anche dei grandi poeti del mondo occidentale da lui studiati all’università.

    Di questo ragazzo poeta che ebbe una vita così breve ci resta un insegnamento, delle parole che dobbiamo far diventare nostre:

    Spero di guardare il cielo fino al giorno della mia morte

    Senza provare la minima vergogna.



Alla vita di questo poeta, personaggio di culto in Corea, è ispirato il film "Dongju" del 2015


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