Voci da mondi diversi. Corea
poesia
Yun Dong Ju, “Vento blu”Ed. Ensemble, trad. Eleonora Manzi, pagg. 252, Euro
Yun Dong Ju, l’autore della raccolta di
poesie “Vento blu”, era ‘il poeta’ del titolo del romanzo “La guardia, il poeta
e l’investigatore” dello scrittore coreano Jung-myung Lee. Un romanzo che ho
amato molto, un poeta che è stato per me una scoperta fulminante. In calce alla
mia recensione del libro avevo scritto della mia delusione nel non aver potuto
acquistare il volume con la traduzione inglese delle poesie di Yun Dong Ju- l’ultima
copia era scomparsa nell’attimo che avevo impiegato a decidermi. Ed ecco, a
quattro anni di distanza, la graditissima sorpresa di “Vento blu”, con la
traduzione in italiano di Eleonora Manzi. Finalmente.
Yun Dong Ju condivide la sorte dei poeti morti
giovani- muor giovane colui che al cielo
è caro- e, se fu una malattia a stroncarlo, come avvenne a Byron e a Keats,
di certo la malattia insorse come conseguenza della sua prigionia.
Nel 1943 Yun Dong Ju, che frequentava l’università in Giappone, fu arrestato per aver manifestato per l’indipendenza coreana (la Corea era stata annessa al Giappone nel 1910). Condannato a due anni di reclusione nel carcere di Fukuoka, morì il 6 febbraio 1945, a ventisette anni. Nel 1948 venne pubblicata postuma la sua raccolta di poesie, alcune delle quali erano citate nel romanzo di Jung-myung Lee, lasciando in me un’impressione indelebile.
C’è tutta la vita del poeta in queste
poesie scritte in un linguaggio semplice che fa balenare immagini di grande
bellezza la cui simbologia- quando c’è- è di facile comprensione. E ci sono
alcuni temi ricorrenti, primo fra tutti la frustrazione e il senso di
ingiustizia per la proibizione di usare la lingua nazionale. Quando, nel 1942,
è costretto a cambiare nome, Yun Don Ju scrive: Sopra questa collina dove così tante stelle si riflettono/ scrivo il
mio nome/ e lo ricopro di terra./
Si sente in colpa, il poeta, per non fare
abbastanza, per non riuscire ad aiutare i connazionali a liberarsi del giogo.
Vede se stesso in un pozzo e odia la sua immagine, odiandosi: Nel pozzo vedo la luna splendente, le nuvole
che si addensano, il cielo vasto che si dilata, il vento blu e l’autunno./ Vedo
anche un uomo./ Senza una ragione lo odio e mi allontano. È lo stesso volto
che vede nello specchio ‘sfigurato dal
disonore’.memoriale a Kyoto
Se si lascia prendere dal pessimismo che
gli fa dire, Allora anche io che cercavo
il nuovo giorno,/ al risveglio mi guardo intorno./ Non trovo il domani,/ ma
l’oggi., è però anche capace di riprendersi con lo spirito battagliero
della giovinezza, e dire: La mia strada è
sempre nuova,/ sia oggi, sia domani…e, in un’altra poesia, la notte è buia/ ma chiudete gli occhi e
andate avanti, versi che ci ricordano quelli di Robert Frost, Bello è il bosco, buio e profondo,/ ma io ho
promesse da non tradire, e miglia da fare prima di dormire.
La visione personale della vita riesce a diventare
universale nelle poesie di Yun Dong Ju e nei suoi versi riconosciamo echi della
poesia classica cinese, ma anche dei grandi poeti del mondo occidentale da lui
studiati all’università.
Di questo ragazzo poeta che ebbe una vita
così breve ci resta un insegnamento, delle parole che dobbiamo far diventare
nostre:
Spero
di guardare il cielo fino al giorno della mia morte
Senza provare la minima vergogna.
Alla vita di questo poeta, personaggio di culto in Corea, è ispirato il film "Dongju" del 2015
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