Voci da mondi diversi. Israele
Omer Meir Wellber, “Storia vera e non vera di Chaim Birkner”
Ed.
Sellerio, trad. Margherita Carbonaro, pagg. 238, Euro 14,00
“Storia vera e non vera di Chaim Birkner”-
non è il titolo originale, ma iniziamo da questo. La storia che leggeremo è sul
filo di verità e menzogne, con un protagonista che compie 108 anni (è il 2038)
ed è il più vecchio abitante di Israele. E prende la decisione di tornare, dopo
novantaquattro anni, a Budapest in quella che fu casa sua e dei suoi genitori.
Il nome Chaim vuol dire ‘vita’ e, per uno che arriva a questa veneranda età, dice già tutto. La radice del cognome, Birke, significa ‘betulla’ in tedesco- come questo albero così flessibile, Chaim Birkner resiste ai colpi della vita, si piega ma non si spezza. Ed è inevitabile anche pensare al campo di sterminio di Birkenau, dove furono uccise 1.100.000 persone, per lo più ebrei. Chaim era sfuggito a questo destino, suo padre era riuscito a farlo emigrare in Israele quando era poco più che un bambino, promettendogli che lo avrebbero raggiunto presto. Invece non lo avevano mai fatto e molto più tardi, quando il padre era stato chiamato a testimoniare contro un nazista, Chaim aveva capito durante il processo come suo padre avesse comprato la sua fuga, così come aveva capito, ricordando in un flash una scena in casa sua, che il padre aveva mentito.
L’ultracentenario Chaim ricorda la sua
vita- la signora cieca che gli era stata affidata dal figlio al momento
dell’imbarco a Trieste, il kibbutz, il matrimonio, la nascita della figlia e la
morte della moglie, la sua seconda fuga, questa volta dal kibbutz, e tutto
quello che era successo dopo, quello che aveva scoperto, perfino che sua madre
aveva abbandonato il marito rabbino per seguire il suo grande amore, il padre
di Chaim.
Sono memorie frammentate che si alternano a quelle di un tempo ancora più lontano, quando Chaim viveva ancora a Budapest ed era innamorato di una bambina di nome Lea, che lui chiamava Leon. Dapprincipio la lettura non è facile, subito si resta sconcertati perché è come se la mente dell’anziano fosse un calderone in cui i vari stadi del passato si mescolano, la sequenza è ininterrotta e gli anelli della catena dei ricordi sono agganciati per mezzo di parole. Quando Chaim esce da un negozio con suo padre e gli chiede, “Dove stiamo andando?”, la risposta non è quella che potremmo aspettarci, almeno non subito. “All’albero” rispose Leon con voce un po’ roca. “Qui si può sparire”. A questo punto il padre riprende la parola, “è sempre meglio sparire in due”.
Verità e menzogne fanno parte della vita di
tutti. E nessuno ha il diritto di giudicare. “Ci sono decisioni nella vita di
una persona che è meglio tenere per sé”,
dice il padre di Chaim dopo il processo. Parole che hanno il significato di
quelle della sopravvissuta che aveva fatto la kapò in un campo, “A volte
bisognava prendere decisioni difficili”, “Ognuno deve decidere, e io ho scelto
la vita. La mia vita! È un male? Vergognatevi”. E non si può che tacere.
La decisione di tornare a Budapest e sottrarsi ai festeggiamenti per il suo compleanno è dovuta anche all’insoddisfazione che Chaim prova per la direzione politica e religiosa che Israele sta prendendo- il marito ultraortodosso della figlia ne è un esempio- e, dopo tanto passato, questo è un tuffo coraggioso nelle problematiche del presente.
La spiegazione del titolo originale del
libro, “I quattro svenimenti di Chaim Birkner”, è nelle ultime pagine del
libro. Quattro sono i momenti salienti della vita di Chaim in cui perde i
sensi- l’ultimo è quando deve entrare nella sua casa di Budapest. Si chiude
così il cerchio, si finisce dove si era iniziato, la piccola morte di uno
svenimento cancella il passato, verità e bugie.
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