lunedì 5 gennaio 2015

Tash Aw, “La vera storia di Johnny Lim” ed. 2006

                                                            Voci da mondi diversi. Asia
                                                               il libro ritrovato



Tash Aw, “La vera storia di Johnny Lim”
Ed. Fazi, trad. Giuseppe Marano, pagg. 349, Euro 16,00

Chi è Johnny Lim? Un povero cinese immigrato in Malesia che ha fatto fortuna con mezzi dubbi, un comunista capace di fare proseliti, un informatore dei giapponesi, un marito inconsolabile per la morte della moglie o un uomo che si è sposato per opportunismo? Tre persone ricostruiscono l’identità di Johnny Lim: il figlio Jasper, la moglie Snow e l’amico inglese Peter. Ma il figlio non sa un segreto contenuto nel diario di sua madre e di cui solo Peter è al corrente: al lettore scoprirlo, alla fine.




INTERVISTA A TASH AW, autore de “La vera storia di Johnny Lim”


    Abbiamo imparato a diffidare, quando apprendiamo che ci accingiamo a leggere la “vera” storia di qualcuno. Il solo fatto che si specifichi che sia “vera” implica che ci sono anche storie false in circolazione, e quale garanzia abbiamo che quella che ci viene raccontata sia l’unica vera? Nel caso di Johnny Lim i narratori della vera storia sono tre e l’abilità dello scrittore malese Tash Aw sta nel riuscire quasi a convincerci, dopo ogni nuova versione delle vicende, che quella che abbiamo appena letto è la più credibile. Quasi, però. E proseguiamo nella lettura, coinvolti e affascinati dal personaggio di Johnny Lim, e alla fine restiamo ancora dubbiosi e con delle domande, come è giusto che sia quando la figura di un uomo è entrata nella leggenda.
     Perché certamente sono leggenda sia la nascita di Johnny Lim (persino la data è incerta) sia la sua morte, con la folla di persone che si presenta per rendergli l’ultimo omaggio e la scena grandiosa degli oggetti di carta raffiguranti i simboli del suo successo a cui viene dato fuoco. La prima voce che ascoltiamo è quella dell’unico figlio di Johnny Lim, Jasper, una voce che non riesce a celare la furia, il rancore, l’odio represso verso un padre a cui non ha mai sentito di assomigliare e che ha rifiutato quando è venuto a conoscenza del suo passato. Perché Johnny Lim ha calpestato cadaveri nella sua via verso il successo. La storia che Jasper ci racconta non è di prima mano, naturalmente, soprattutto la parte che riguarda il passato- il giovane Johnny che causa la morte dell’inglese che lo ha selvaggiamente maltrattato nelle miniere, Johnny che lavora nel negozio del mercante di stoffe e lo uccide, Johnny che organizza la lotta comunista contro i giapponesi ma che diventa poi un collaborazionista tradendo i suoi compagni, Johnny che sposa per interesse la bellissima Snow che muore dando alla luce Jasper. Johnny Lim con un volto impassibile che non lascia trasparire i sentimenti, non toccato dalla morte di nessuno, lui stesso portatore di morte. Quando siamo convinti che il fascino che Johnny esercita anche su di noi sia quello del male, iniziamo a leggere il diario di Snow- parte di quello che scrive si riferisce ad episodi della vita di Johnny che abbiamo già appreso da Jasper, ma visti in un’altra luce. Leggiamo quello che Johnny ha detto a lei della sua vita, o quello che lei stessa ha vissuto insieme a lui, il giovane timido e complessato che non osava corteggiarla, sopraffatto dall’educazione e dalla cultura della famiglia di Snow, acutamente conscio della sua rozzezza e delle sue manchevolezze.

    Ma il culmine del diario, e anche il nodo di svolta narrativo del libro che diventa un romanzo conradiano di avventura nei mari tropicali, è nelle pagine della strana luna di miele a cinque, su un’imbarcazione diretta alle isole delle Sette Fanciulle. E’ più quello che Snow non dice che quello che dice nelle pagine del diario, nel timore che qualcuno le legga: dice molto dell’avaria al motore, della bellezza del mare e poi della vegetazione nelle isole, della tempesta e del duplice salvataggio, suo e di Johnny, caduti in mare. Poco delle correnti fortissime di amore, di gelosia soffocata, di pulsioni sessuali, di frustrazione e di impotenza, tra quel mal combinato equipaggio formato da lei e il marito, dal giapponese che dice di essere un accademico ma è il capo della polizia segreta, e da due inglesi.
   E infine ascoltiamo la voce di Peter, l’amico di Johnny che arriva in sedia a rotelle al funerale e che era uno dei due inglesi sulla barca. E scopriamo che c’era ancora molto che non sapevamo di Johnny Lim. E di Snow. E’ a lui che dobbiamo credere?
   Stilos ha intervistato Tash Aw, nato a Taipei nel 1971 e residente a Londra da qualche anno, in occasione della presentazione del suo romanzo al British Council di Roma.

Gli occidentali pensano alla Malesia e agli altri paesi orientali come ad una sorta di paradiso terrestre: perché ha lasciato la Malesia per l’Inghilterra?

   Proprio perché non è un paradiso e l’apparenza è molto lontana dalla realtà. Il paradiso è il clima, lo stile di vita, il paesaggio, ma in termini di cose importanti, come la libertà di parola, l’uguaglianza, l’accesso all’università, la giustizia- nessuna di queste cose è al livello a cui dovrebbe essere. Ecco perché vivere nel mondo occidentale è preferibile per me, per la mia attività di scrittore. E così, paradossalmente, vivo a Londra, una delle città in cui è più difficile vivere ma anche una delle città in cui ci si sente più liberi.

Ad uno scrittore giovane che ha appena pubblicato il suo primo romanzo, si è soliti chiedere se abbia sempre desiderato scrivere e quando ha iniziato.

    Ho sempre voluto scrivere, ho iniziato a scrivere storie quando ero bambino e ho imparato a tenere la penna in mano, anche se non ho mai creduto che sarei diventato uno scrittore, perché c’è differenza tra amare le parole e metterle insieme per costruire una storia. Avevo più o meno vent’anni quando ho deciso di iniziare a scrivere sul serio. Adesso ne ho 34 e solo negli ultimi tre anni ho acquistato abbastanza sicurezza di me da dire che sono uno scrittore.

C’è qualcuno dei personaggi o qualcuna delle storie raccontate nel romanzo che siano stati ispirati da persone o storie vere?

     Solo dei piccoli frammenti delle storie che racconto sono veri. Ad esempio il tradimento dei comunisti è basato su un vero tradimento famoso nella storia malese, avvenuto durante l’occupazione giapponese.
1942 Giapponesi in Malesia
Mi piace inventare- all’inizio del romanzo ci sono delle citazioni da un testo, Rural Villages of Lowland Malaya, e tutti hanno pensato che fosse un libro vero e invece l’ho inventato io. Anche le isole delle Sette Fanciulle sono una creazione della mia immaginazione.


Il successo del metodo che impiega nel suo libro, quello dei diversi narratori, è provato dal fatto che noi lettori crediamo sempre a chi sta parlando nella parte che stiamo leggendo. Dato che il punto di vista di Peter è messo per ultimo, dobbiamo pensare che sia la sua versione della storia quella vera? Ed è importante al proposito, il fatto che Peter sia inglese?

    No, non è detto che si debba credere all’ultima versione della storia. Anzi, Peter è il meno affidabile proprio perché è il più convincente. Forse perché racconta alla fine della sua vita, ha avuto più tempo per immergersi nella storia  e per convincersi che la sua visione degli avvenimenti sia quella vera. E’ impossibile che, dopo tanti anni, ricordi tutto e ricordi con esattezza. Ci sono stati dei critici che hanno osservato che Peter è affidabile perché è inglese. Io vorrei che il lettore capisse che ognuno racconta una parte della storia, che tutti hanno ragione ma ognuno capisce solo una parte di Johnny Lim. La mia intenzione era proprio di essere ambiguo perché la vita è ambigua. Per l’edizione americana del mio libro volevano che cambiassi la fine, ma naturalmente non l’ho fatto. Il romanzo è ambiguo perché il periodo storico di cui parlo è stato molto difficile per la Malesia, era difficile capire che cosa stesse succedendo. Se si scrive una fine ben chiara e definita, significa che si dà un giudizio sui personaggi e io volevo che i personaggi fossero ben equilibrati e potessero essere giudicati in maniera equa, senza pregiudizi o influenza alcuna.

Delle tre voci, quella di Jasper potrebbe essere la più simile alla sua, perché le altre due sono di una donna e di un inglese. Come è riuscito a farle risuonare così diverse l’una dall’altra?

    La difficoltà di cercare la voce giusta per ogni personaggio spiega perché ci abbia messo cinque anni a scrivere il romanzo. Ed è buffo, ma la parte di Jasper è stata la più difficile per me, proprio perché ho tante cose in comune con lui. Gli altri due personaggi sono così diversi che potevo usare la mia immaginazione e crearli interamente. Ma Jasper è più vicino a me e dovevo farlo diverso. Jasper era l’unico che non era vivo quando si svolsero gli eventi del romanzo e la sua voce doveva comunicare al lettore la tragedia di quello che è successo, e inoltre la sua stessa vita era stata influenzata in maniera determinante da quello di cui raccontava: per questo è stato difficile trovare il tono giusto.

Di Snow leggiamo il diario: le ha “fatto” scrivere il diario per incorrere in meno “errori” nel suo tono di voce?

    No, il motivo per cui ho scelto di far parlare Snow attraverso le pagine del diario è diverso: in tutto il romanzo ho cercato di offrire al lettore qualcosa che non si aspetta, ho cercato di sfidare le sue aspettative. Volevo che il lettore sentisse di sapere che cosa avrebbe letto per poi presentargli qualcosa di diverso e inaspettato. Quando i lettori iniziano a leggere la parte di Snow, vedono che è un diario scritto da una donna cinese nel 1941 e si aspettano qualcosa di intimistico, di sentimentale. E invece io do loro qualcosa di molto mascolino, un thriller psicologico che è raccontato come una storia di avventure- in genere sono gli uomini che raccontano così. I lettori si aspettano qualcosa e hanno qualcosa di interamente differente. E’ una peculiarità di questo romanzo, quella di non dire. Per me il romanzo è costruito su silenzi: dove ci aspettiamo delle risposte troviamo dei silenzi. Il silenzio è più potente di una risposta diretta. Quando “percepiamo” qualcosa, la nostra percezione ha più forza di quello che sappiamo con certezza.

Nel romanzo ci viene spiegato perché molti, all’epoca, cambiassero il proprio nome con quello di attori: ad esempio, Johnny aveva preso il nome dell’attore che impersonava Tarzan. Perché Snow?

     Il nome di Snow fa pensare alla purezza, alla freddezza di carattere. Di fatto Snow è una donna appassionata e non così pura. Ancora una volta volevo disattendere le aspettative: l’immagine della donna asiatica è quella di una donna pura, virginale, distaccata e invece Snow è piena di desideri e di passioni. Mi piaceva questo contrasto.

Peter e Johnny sono due amici improbabili: che cosa vedono l’uno nell’altro?

    Ognuno dei due rappresenta per l’altro lo stereotipo di quello che ognuno cerca nell’altro: Johnny è lo stereotipo dell’esotismo dell’Est e Peter quello del gentiluomo inglese. Alla fine si scopre che uno non è tanto “selvaggio” e l’altro non è tanto gentiluomo. Volevo che ognuno fosse deluso dall’altro e volevo anche ingannare i lettori oltre agli stessi personaggi nella ricerca reciproca di conoscenza. Volevo esplorare come l’atteggiamento verso la razza e la discendenza influenzi il nostro approccio agli altri.

Da dove viene l’amore di Peter per i giardini?

   Penso che il giardinaggio sia qualcosa di istintivo e di profondo. I persiani pensavano che fosse il riflesso terrestre del paradiso. Peter ha avuto un’educazione cattolica e il giardino dell’Eden è essenziale nel Cristianesimo, il peccato originale ha luogo nel giardino dell’Eden e lo sforzo del cristiano è teso a ritornare nel giardino. Così Peter passa la vita progettando giardini per ritornare nel “suo” giardino dell’Eden. Vuole ricreare uno stato precedente al peccato originale, prima che la sua vita fosse corrotta, prima di diventare responsabile di molta distruzione: il giardino è per lui la possibilità di salvezza, di riscatto.


Gli altri personaggi inglesi nel romanzo sono odiosi: quali erano o quali sono i sentimenti dei malesi nei confronti dei loro colonizzatori?

    Non odiamo i britannici come gli indiani. Cerchiamo di dimenticare il passato e questo però è male perché quello che è stato è stato e noi dovremmo confrontare e accettare la nostra storia.

Ci si stupisce sempre un poco nel rendersi conto che l’inglese- la lingua degli invasori- sia diventata la lingua letteraria di tutti i paesi dell’ex Impero: è una cosa positiva o no?

    Ci sono due scuole di pensiero- per una di queste le colonie sono ancora tali e sono in posizione di inferiorità e noi non abbiamo la nostra voce individuale. Io preferisco la scuola che sostiene invece che c’è stata un’appropriazione della lingua dei vecchi padroni, che l’inglese non è una proprietà specifica di nessun paese. Il mio inglese non è quello degli inglesi, è un inglese modificato e la stessa cosa è vera anche per gli indiani che scrivono in inglese.

Questo suo primo romanzo è fermamente radicato in Malesia. Avverte come un problema per lei come scrittore il fatto di vivere così lontano dal suo paese e dalle sue radici?

     No, penso sia vero l’opposto. Vivere lontano dalla Malesia mi dà più obiettività, mi permette di vedere quello che c’è di buono e quello che c’è di cattivo in Malesia, come non potrei fare se vivessi là. Quando si vive in un luogo, ci sono tante cose che si danno per scontate: la politica è molto corrotta in Malesia, non c’è uguaglianza, c’è restrizione della libertà, ma chi ci vive non se ne rende conto. Chi ci vive si accontenta di non criticare il primo ministro, per esempio, altrimenti si finisce in prigione- quando sei lì, ti adatti per sopravvivere. Quando ti allontani, riesci a vedere tutto da una prospettiva migliore.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                                                   

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