mercoledì 28 gennaio 2015

Israel J. Singer, “A oriente del giardino dell’Eden” ed. 2015

                                                                  Diaspora ebraica
                                                                  FRESCO DI LETTURA


Israel J. Singer, “A oriente del giardino dell’Eden”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. Marina Morpurgo, pagg. 473, Euro 18,50
Titolo originale: East of Eden

Non stava più nella pelle all’idea di incontrare i primi soldati sovietici. Poi arrivò in vista del corpo di guardia, una capannuccia sulla quale sventolava la bandiera rossa con la falce e il martello incrociati. Nachman avrebbe avuto una gran voglia di gettarsi a terra e di baciare il suolo di quel paese: il suo paese, il paese dei lavoratori trionfanti. Invece cominciò a correre. Un soldato con un soprabito che gli arrivava ai tacchi, e con un berretto dell’Armata Rossa ornato da una stella, uscì dalla capanna, puntò il fucile contro Nachman e gli andò incontro di corsa.
   “Alt!” urlò. “Fermati, bastardo, o ti sparo!”
   
     Quando si legge un romanzo di Israel Singer, o di un qualche altro grande narratore di fine ‘800 e inizi ‘900, si è presi dal rimpianto. Non dal rimpianto di un’epoca colma di miserie che non possiamo romanticizzare, ma da quello per una dimensione temporale che è scomparsa, inghiottita dal ritmo veloce dei nostri anni. Il tempo lento che c’è dietro ai grandi romanzi di Singer è quello che gli permette di dipanare le sue storie dal grande afflato, di dipingere i vasti arazzi di vicende familiari de “I fratelli Ashkenazi”, de “La famiglia Karnowski”, di “A oriente del giardino dell’Eden” appena pubblicato. Chi scrive più romanzi così? Pochi, pochissimi- e sono romanzi preziosi.
    Ancora una famiglia ebreo-polacca al centro di “A oriente del giardino dell’Eden” e, restando nel tema della scomparsa, è proprio un mondo scomparso, quello di cui ci narra Israel Singer in yiddish, una lingua scomparsa (non è un caso che la sua autobiografia, uscita postuma nel 1946, si intitoli “Da un mondo che non c’è più”). Mattes fa il venditore ambulante. Parte ogni settimana dal villaggio di Pyask per ritornare al venerdì, in tempo per accendere le candele dello Shabbath. E’ ricco di figlie, Mattes, e poverissimo di denaro. Quando finalmente nasce un maschietto, Nachman, esultano tutti, le sorelle per prime. Nachman sarà un privilegiato. Studierà il Talmud, non farà certo l’ambulante come suo padre. Seguiremo le vicende di Nachman, di due sue sorelle, Sheindel e Reisele, e di Mattes, del povero Mattes che, rimasto vedovo, dopo aver contratto un infelice secondo matrimonio con un’arpia, parte per la guerra cucendo dentro la giacca le istruzioni affinché il suo corpo venga sepolto in un cimitero ebraico- sarà gettato in una fossa comune, a casa lo attenderanno invano.

Sheindel, l’assennata figlia maggiore, va a servizio a Varsavia: la sua è la storia di un’ascesa e di una caduta. Guadagna bene, è intelligente, ritorna in visita a Pyask carica di regali per tutti. Poi Sheindel si innamora di un soldato russo e si ritrova con un bambino che ha i capelli rossi come il padre- chi ci crede, che sia vedova? Al seguito di Sheindel tutta la famiglia si trasferisce a Varsavia- nessuno li conosce lì, ma le condizioni di vita di tutti loro saranno ancora peggiori che a Pyask. E c’è modo di deviare dalla retta via, di lasciarsi tentare: Reisele, superficiale e ingenua, finisce sulla strada. Sheindel, sperando di aiutare la famiglia, sposa un uomo più vecchio che si rivelerà un ubriacone.
     La vicenda di Nachman è quella che riflette gli eventi politici del tempo. Nachman ha abbandonato la religione dei padri per un’altra religione, il comunismo. Si lascia abbagliare dal compagno Daniel, un parolaio bravissimo a gettare fumo negli occhi e a scaricare su di lui la responsabilità di firmare volantini, sarà rinchiuso in prigione, resterà integro fino in fondo, incapace di sottoscrivere colpe che non ha commesso. Nachman guarda verso Oriente, verso il modello dell’Unione Sovietica che gli pare luminoso. E’ là che vuole andare. E ci riesce, nonostante mille difficoltà. A Mosca! A Mosca! Nachman non vuole essere deluso. Le pagine di Singer sono grandiose nel descrivere l’epopea di quest’uomo semplice come lo era suo padre, che giustifica tutto perché crede, gli pare strana la discrepanza tra le cifre dei successi del Piano Quinquennale e la realtà di miseria che vede intorno a sé, eppure pensa di essere lui a non capire. La caduta di Nachman è ancora più dolorosa di quella delle sue sorelle nel loro mondo femminile perché rispecchia- in anticipo sui tempi- la fine di un’utopia.

    Israel Singer è straordinario nel dipingere le figure che brulicano in questo mondo, non solo quelle principali ma anche quelle di corollario, così come nel descrivere gli interni delle case, le strade, perfino la neve e il vento gelido che impediscono l’avanzare di Mattes nel suo quotidiano errare. Ci sembra di essere lì, ci pare di conoscere tutti, di tornare indietro di cento anni.


la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it



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