sabato 3 gennaio 2015

Leif GW Persson, “Uccidete il drago” ed. 2011

                                                          vento del Nord
                                                         cento sfumature di giallo
      il libro ritrovato


Leif GW Persson, “Uccidete il drago”
Ed. Marsilio, trad. Giorgio Puleo, pagg. 414, Euro 18,50
Titolo originale: Dem som dödar draken

    Bäckström era stato vittima di un complotto. Il suo ex capo, Lars Martin Johansson, un lappone di merda mangiatore di aringhe fermentate, invidioso, non riusciva a mandare giù i suoi successi in quella che era diventata una lotta sempre più dura alla criminalità. Così aveva intrecciato una fune di calunnie e l’aveva annodata al collo di Bäckström, dando personalmente un calcio alla sedia.


      Un commissario corrotto: Evert Bäckström, del corpo di polizia di Soccolma. Un uomo volgare, presuntuoso e arrogante: Evert Bäckström. Sessista e razzista: Bäckström. Una palla di lardo: Bäckström. Un alcolizzato (in cura disintossicante): Bäckström. L’aver creato un protagonista odioso e spregevole è la trovata geniale di Leif Persson, la maniera più singolare per differenziarsi dagli altri scrittori di gialli e noir e per rendere negativamente indimenticabile il suo personaggio.
“Uccidete il drago” è il secondo romanzo con il commissario Bäckström, dopo “Anatomia di un’indagine” in cui Persson stesso, che è stato consulente del Ministero di Giustizia e dei Servizi segreti svedesi ed è professore di criminologia alla Scuola nazionale di polizia di Stoccolma, indagava sul più famoso caso insoluto di omicidio in Svezia- quello del primo ministro Olof Palme.
Bäckström nella serie televisiva
     E’ maggio. Il sole incomincia a sorgere durante la notte. Il ragazzo che consegna i giornali trova un uomo morto nella sua abitazione. Ucciso con il coperchio di una pentola di ghisa e poi strangolato con la sua cravatta, per buona misura. Il classico ubriacone ucciso da un altro ubriacone- è così che Bäckström liquida il caso. Perché Karl Danielsson era già stato arrestato per ubriachezza molesta, era solo e in pensione, un emarginato. L’ultima sera della sua vita aveva avuto un compagno di bevute in casa- un ex poliziotto con un passato discusso. Ci sarà stata una lite da ubriachi e poi c’è scappato il morto. Ma è davvero un caso così facile? Salta fuori che Danielsson aveva un sacco di soldi in contanti nella cassetta di sicurezza di una banca. Teneva un’agenda in cui registrava dei versamenti- fatti a chi? Ci sono delle iniziali che parrebbero indicare tre nordafricani noti alla polizia. Poi scompare il ragazzo di colore che aveva trovato il cadavere…Le sorprese, i colpi di scena, i falsi indizi si succedono a ritmo veloce.

    Accanto a Bäckström ci sono altri poliziotti ad indagare, alcuni svedesi, alcuni di origine finlandese e altri che sono nati in Svezia da famiglie di immigrati- un quadro piuttosto variegato che offre l’occasione a Bäckström di dispiegare il ventaglio dei suoi pregiudizi con battute spesso molto pesanti. A parte il fatto che per lui tutti i suoi colleghi sono degli idioti, nessuno si salva dalle sue frecciate e dagli insulti (‘gallinella’, ‘lesbicaccia’, chi preferisce il vino ai superalcolici è di certo gay, per tacere le frasi colorite nei confronti dei finnici e dei ‘negri’)- mai pronunciati ad alta voce ma in una sorta di divertente monologo interiore, come un ‘di lato’ dei suggerimenti teatrali. Ma è l’uso che Persson fa dell’ironia a suggerire la chiave di lettura e a capovolgere le nostre impressioni. Ironia nel senso letterale che è dire il contrario di quello che si pensa, sfiorando il grottesco e facendoci sorridere con una certa qual amarezza. Osservare le persone e i loro comportamenti e descriverli con ironia, come fa Persson, è forse l’unica maniera per fronteggiare le bassezze umane, per non lasciarsi sopraffare dall’onda di negatività del male che potrebbe sommergerci. Ci piacerebbe pensare che è impossibile che esista nella realtà un poliziotto come Bäckström (le scene di Bäckström “pistolero” sono impagabili). Eppure, quando ne parlai con lo scrittore durante un’intervista, mi disse che sì, purtroppo aveva conosciuto poliziotti così e voleva sfatare il mito di una polizia sempre buona. Com’è che allora il finale del romanzo è così sorprendente, rialzando le quotazioni di questo protagonista? Non crederemo mai che il lupo si trasformi in agnello, ma forse, se questa è- come dice Persson nell’esergo- “una favola cattiva per bambini adulti”, deve lasciar adito ad uno spiraglio di speranza.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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