sabato 8 ottobre 2016

Jenny Erpenbeck, “Di passaggio” ed.2011

                                                  Voci da mondi diversi. Area germanica
             il libro ritrovato

Jenny Erpenbeck, “Di passaggio”
Ed. Zandonai, trad. Ada Vigliani, pagg. 157, Euro 13,00

       Ogni lingua ha il suo fascino. “Heimsuchung” è il titolo originale del romanzo di Jenny Erpenbeck e capirete presto perché in italiano abbia dovuto essere reso altrimenti, con “Di passaggio”. Perché il tedesco  tagliente, duro come una frustata, che sentiamo nei film di guerra può essere anche straordinariamente e meravigliosamente complesso nella sua semplicità. Qui c’è una sola parola che, in quanto sostantivo, significa ‘afflizione’: le vicende che leggiamo nel libro sono tutte colme di questo sentimento, hanno tutte un risvolto doloroso- come la vita. Ma il verbo da cui heimsuchung deriva arricchisce il significato- vuol dire infiltrarsi, penetrare in una casa, causando danni, provocando dolore. Afflizione.
     Una casa è la protagonista del romanzo. Immobile a sorvegliare il lago con il pontile e il va e vieni di coloro che la abitano, o la occupano. Fa pensare alle case dei grandi romanzi inglesi, Howards End di Forster, la magione di “Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro. In quest’ultimo c’era un maggiordomo che invecchiava con la sua fedeltà alla casa, qui c’è un giardiniere- unico personaggio costante che appare nei capitoli di separazione tra quelli in cui appaiono gli altri diversi personaggi nell’arco degli anni. Quasi fosse lui stesso un prolungamento della casa. Oppure, quasi fosse l’anima viva della casa: là mattoni e pietre, qui la terra che brulica di vita rispondendo alle sue cure. E quando arrivano i soldati a cavallo dell’Armata Rossa facendo scempio del giardino, lui si preoccupa solo di quella rovina. D’altra parte è solo la natura che può rinascere ogni anno.

   La casa si trova nella Germania dell’Est, in una tenuta il cui primo proprietario aveva quattro figlie. La minore, erede della casa, si era suicidata nel lago. E’ questo il primo dramma all’ombra della casa che passerà di proprietario in proprietario, a volte legittimamente, a volte  tramite espropriazione. La famiglia di Hermine e Arthur, ad esempio, e dei loro figli Ludwig e Elisabeth. Sono ebrei, commercianti di tessuti. Indoviniamo la loro storia a poco a poco- e non tutta nello stesso capitolo. Perché, nel libro di Jenny Erpenbeck, i personaggi escono da un capitolo ed entrano in un altro in cui non sono più i protagonisti ma comparse che riempiono il quadro, colmando gli spazi vuoti. Noi sappiamo che fine abbiano fatto Hermine e Arthur quando compaiono i nipotini, figli di Ludwig che si è salvato perché è riuscito ad emigrare in Sud Africa. I bambini parlano inglese, a loro la casa non dice nulla, la bambina si chiama Elisabeth come la zia. Ed è forse Doris, la cuginetta, la bambina nascosta in un buio scomparto, ultima rimasta nel ghetto svuotato? E quanta tristezza proviamo, quando il nuovo proprietario, l’architetto di Berlino che era nella squadra di Albert Speer, il famoso architetto di Hitler, usa l’asciugamano trovato nella rimessa: c’è un leggero senso di ribrezzo al pensiero di chi lo ha toccato prima di lui? Anche l’architetto di Berlino, però, sarà espropriato quando commette un errore nel nuovo regime comunista: deve finire a tempo un edificio che gli hanno commissionato e acquista le viti (le viti!!!) a sue spese all’Ovest perché non se ne trovano nella splendida patria comunista.


    Che fine fa la casa? Fa la fine di tutto e di tutti. Sarà demolita. Cesserà di essere una casa piena di respiri e di ricordi per diventare le cifre dei metri cubi di macerie che dovranno essere rimosse (in quanti viaggi, allora, dell’autoarticolato?). Un libro bellissimo, capace di dire più di quanto non dica esplicitamente. Un’altra casa indimenticabile.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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