lunedì 20 gennaio 2020

Erika Fatland, “La frontiera” ed. 2019


                                                     vento del Nord
                   reportage


Erika Fatland, “La frontiera”
Ed. Marsilio, trad. Culeddu, Putignano e Scali, pagg. 660, Euro 21,00

       Siete pronti a ripartire? Vi siete ripresi dal viaggio nei cinque ‘stan’ in cui ci aveva accompagnato la scrittrice e antropologa norvegese Erika Fatland? Sarà sempre lei, Erika, la nostra guida lungo i 60.932 km. del confine russo, nei quattordici paesi accomunati dall’avere lo stesso ingombrante e a volte problematico vicino e, se è pur vero che la Russia ha inciso pesantemente nella Storia e nell’identità dei popoli confinanti, è valida anche la domanda nell’altra direzione, come si chiede Erika: quanto e in quale maniera i paesi confinanti hanno creato e plasmato la Russia di ieri e di oggi?
    Il viaggio si annuncia affascinante. Lo sarà. Perché la parola confine, “granitsa” in russo, significa ‘margine netto’, e quando si attraversa un confine, si esce da una realtà per entrare in un’altra. Ci vuole elasticità mentale e disponibilità ad assorbire idee e realtà sempre diverse.
     Il viaggio si annuncia lungo. Lo sarà: Erika Fatland ha impiegato nove mesi per seguire la rotta del passaggio a Nord-est, lungo quei due terzi del confine russo che corrono lungo la costa, da Vladivostok a est fino a Murmansk a ovest, e poi dalla Corea del Nord in Mongolia, attraverso il Mar Caspio e poi il Mar Nero e il Caucaso, su, ancora più su, attraverso l’Ucraina, la Polonia, i paesi Baltici, la Finlandia (‘Tornare a Helsinki per me era davvero come tornare a casa’), fino agli ultimi 196 km. del confine tra Norvegia e Russia.
      Il viaggio si annuncia non facile e non agevole. Lo sarà. Ci sarà il treno moderno e veloce della Cina, ma ci saranno soprattutto treni lenti attraverso paesaggi bellissimi ma anche monotoni, minibus scassati, di quelli che ti lasciano la schiena a pezzi, taxi che chissà se ci portano a giusta destinazione, traghetti che, sì, dovrebbero partire, ma non si sa quando, e faremo anche l’esperienza del kayak in Norvegia.
grattacielo Ryugyong a Pyongyang
      Il viaggio si annuncia ricco di informazioni, di storie e di immagini. Lo sarà. “La frontiera” di Erika Fatland è, sulla carta, come il grand tour che segnava il completamento della formazione per i giovani dell’800, una straordinaria esperienza. Di più ancora. Nonostante il titolo, “La frontiera”, nonostante l’itinerario che costeggia questa frontiera, nonostante il sentimento di tristezza che dovremmo provare perché, citando Kapušinski, “Infiniti sono i cimiteri per tutte le vittime che hanno difeso un confine”, noi avvertiamo invece una sorta di esaltazione, l’impressione di un abbattimento delle frontiere, di un’estensione della conoscenza, di un orizzonte che si sposta di continuo davanti al nostro sguardo. Ci pare di essere come uno degli uomini in volo nei dipinti di Chagall (il viaggio di Erika tocca anche Vicebsk, patria del pittore- “dà le vertigini pensare a tutto quello che è scomparso, un intero popolo, una intera cultura, cancellati dalla mappa”) e guardare dall’alto i 330 metri del più alto albergo non utilizzato del mondo in quello stato di proibizioni e di controllo totale che è la Corea del Nord, le distese mongole un tempo percorse dalle armate di Gengis Khan,
tendendo l’orecchio al canto di gola che è una modalità espressiva prettamente mongola, e poi sorvolare Astana, la nuova capitale del Kazakistan con le geniali costruzioni di Norman Foster, arrivare alla segretissima (in epoca sovietica) base spaziale Bajkonur da cui partirono i vari Sputnik e dopo raggiungere le bellissime Odessa e Leopoli. E andare oltre ancora. E ascoltare. Ascoltare di storie lontane e vicine con cui Erika Fatland ci strega. Vicende belliche e aneddoti, storie terribili di deportazioni di massa, di carestia e di fame, di condizioni di vita tuttora primitive, di paura e anche di sogni.
Astana

       “La frontiera” è un libro più ambizioso di “Sovietistan” e deve essere stato più difficile scriverlo, proprio per la vastità del territorio percorso durante il viaggio. C’era talmente tanto da dire che a tratti avvertiamo il peso di tutte le note storiche che riguardano quei quattordici paesi di frontiera e ci sembra che le informazioni (assolutamente necessarie) prendano il sopravvento sugli scambi di chiacchiere che nascono dagli incontri casuali e che tanto rivelano sulle consuetudini e gli stili di vita.
    Erika Fatland dice di ritrovarsi ad avere, alla fine del viaggio, più domande che risposte. Noi lettori, alla fine del libro, ci ritroviamo più curiosi di sapere di più, di una curiosità che non sapevamo di avere.

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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it


    

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