lunedì 6 gennaio 2020

Katharina Adler, “Ida” ed. 2019


                                   Voci da mondi diversi. Area germanica
      biografia romanzata

Katharina Adler, “Ida”
Ed. Sellerio, trad. Matteo Galli, pagg. 534, Euro 15,00

     È il 1941 quando Ida Adler, nata Ida Bauer, sbarca a New York. Ha 58 anni. Arriva da Vienna. Spera che ci sia il figlio Kurt ad attenderla. Resta delusa. Kurt ha mandato un amico ad accoglierla.
     Inizia da qui il romanzo-biografia di Ida scritto dalla nipote Katharina Adler. Se, invece che chiamarla Ida, la chiamassimo Dora, ci verrebbe subito in mente di chi si tratta. Dora, il soggetto del “Frammento di un analisi di un caso di isteria” scritto da Freud nel 1901, la ragazza che decise di iniziare il nuovo secolo con un atto di ribellione piantando in asso Freud, il medico psicanalista da cui suo padre aveva insistito perché lei andasse a farsi curare per malanni ricorrenti, come afonia e tosse nervosa.
    Con frequenti spostamenti temporali la nipote Katharina ricostruisce la vita di Ida e del fratello Otto a cui Ida era molto legata. Non poteva avere una buona opinione degli uomini, Ida, con un padre che aveva un’amante e con due episodi di molestie da parte del marito della donna che se la faceva con suo padre. Fu dapprima diffidente nei confronti di Ernst Adler, un musicista fallito che, dopo aver sposato Ida, dovette accettare un impiego nella industria tessile di suo padre. Ernst e Ida ebbero un figlio, Kurt, che diventò famoso come direttore della San Francisco Opera Company- aveva accettato un contratto in America giusto in tempo: qualche anno dopo Ida ebbe dei problemi a lasciare Vienna, ricercata dai nazisti perché il fratello Otto era il leader del partito socialdemocratico austriaco nonché teorico dell’austromarxismo. Paradossalmente fu proprio l’ex amante del padre a nasconderla per un certo periodo.

    Il personaggio femminile che esce fuori  dal libro di Katharina Adler è affascinante. In un’epoca in cui era difficile essere donne- e tanto più difficile perché serpeggiavano nuove idee e non era più così scontato che il ruolo della donna fosse di occupare un posto di secondo piano accanto all’uomo- Ida lottò per uscire dal bozzolo, per non essere solo la sorella di suo fratello o, tanto meno, la moglie di un uomo di cui si sentiva (almeno da un certo punto in poi) superiore. E, se per portare a casa i soldi che il marito era incapace di guadagnare, lei doveva gestire delle sale da gioco- be’, il bridge furoreggiava, lei poteva insegnare a chi non sapeva giocare, dove era il problema? Il momento peggiore fu l’umiliazione nel rendersi conto di essere stata circuita e ingannata da un bellimbusto che, con il pretesto del bridge, le aveva spillato dei soldi.

     La scrittrice è abile nell’inserire stralci del saggio di Freud su Dora (ed è un’altra Ida che traspare da quelle righe), nell’alternare i tempi, gli anni in America dal 1941 al 1945 (quando Ida morì) con quelli a Merano dove il padre era in cura per tubercolosi e Ida aveva subito le profferte amorose di un uomo che era sposato e molto più vecchio di lei, e poi con quelli di Vienna, prima la Vienna dei fasti asburgici e dopo la città in guerra (Otto ed Ernst furono arruolati) con gli ospedali pieni di feriti e mendicanti che frugavano nelle immondizie. E dopo ancora la Vienna con i cortei delle camicie brune e le bandiere con la croce uncinata. Incredibile quanti cambiamenti nell’arco di meno di mezzo secolo.
    Un libro interessante e appassionante.

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