venerdì 24 gennaio 2020

Ismail Kadaré, “Aprile spezzato” ed. 2019


                                                  Voci da mondi diversi. Penisola balcanica


Ismail Kadaré, “Aprile spezzato”
Ed. La Nave di Teseo, trad. F. Celotto, pagg. 222, Euro 19,00

     È un romanzo breve, “Aprile spezzato” dello scrittore albanese Ismail Kadaré, poco più di 200 pagine. Eppure, se si avesse voglia di contare quante volte la parola ‘sangue’ appare su queste pagine, il numero sarebbe duplicato, forse anche triplicato. Perché è la legge del sangue che domina sull’Altopiano, una vasta area circondata dalle montagne, abitata da gente che è rimasta ancorata alla vecchia legge suprema del Kanun. E il corpo di norme del Kanun ruota intorno alla faida, in un susseguirsi senza fine di assassinii la cui origine e la cui motivazione si perdono nel tempo, sono state dimenticate, a volte hanno causato la fine di un’intera famiglia nella serie concatenata del io-uccido-te-uno-dei-tuoi-uccide-uno-dei-miei.
     È il 17 di marzo di un anno non precisato. Gjorg uccide l’uomo della famiglia dei Kryeqyqe che ha ucciso suo fratello. Se solo avesse potuto, Gjorg non lo avrebbe ucciso. Gli ripugnava essere uno strumento di morte. E poi, sapendo quale sarebbe stato il suo destino, non voleva morire. Intanto, sempre per adempiere alla legge, deve avviarsi verso la kulla d’Orosh, per consegnare al principe (che non è un vero principe, anche se tutti lo chiamano così) l’imposta del sangue. Strano viaggio, questo del giovane Gjorg, uno stravolgimento del solito viaggio di formazione, piuttosto un viaggio di preparazione alla morte.
E, durante il viaggio, fa un incontro che gli sarà fatale. Una coppia di sposi- lui uno scrittore, lei una donna molto bella- sono pure loro in viaggio, in una carrozza nera che, da un certo punto in poi, viene paragonata ad una bara (funesto presagio). Sono in luna di miele, anche se lei non era affatto convinta della scelta dell’Altopiano selvaggio come destinazione. Ed è sempre più perplessa, mentre procedono e il marito novello le spiega (in tono un po’ didattico, a dire il vero) le leggi ineludibili della gente del posto. Le sembrano incomprensibilmente assurde, di una crudeltà irragionevole. Non capisce come queste leggi possano regolamentare ogni aspetto della vita, come perfino i raccolti dipendano dalla legge del sangue: che senso ha coltivare i campi se la tua vita ha una scadenza prefissata?
      C’è però un altro risvolto della legge del sangue ed è la visita al castello del principe che lo rivela. I soldi. Quell’imposta del sangue richiesta per ogni morto ammazzato su cui si basa la ricchezza di Orosh, per cui è necessario che si continui a morire, perché la catena della legge del sangue non venga interrotta. E naturalmente viene malvisto chiunque ne scriva facendo risaltare la mercificazione della morte mentre, d’altra parte, chi- come lo scrittore in viaggio di nozze- parla soltanto dell’aspetto tragicamente romantico del kanun, viene accusato di cinismo.

     La tregua concessa a Gjorg è scaduta. È finita l’ultima sua licenza per vivere in questo mondo. Se riesce, può soltanto raggiungere una delle centosettantaquattro torri di rifugio sparse nell’Altopiano, cupe e ostili, con feritoie lunghe e strette. Sarà come essere murato vivo.
C’è però un desiderio di vita e di  amore, il ricordo della donna della carrozza che- lui non lo sa- non lo ha dimenticato. E il mese di aprile sarà per sempre spezzato.
     Vale la pena di conoscere meglio Ismail Kadaré, lo scrittore albanese a cui è stato conferito il Man Booker Prize 2005 per la sua opera. “Aprile spezzato” che leggo con grande ritardo (la prima edizione italiana è del 1993) è l’epopea tragica di un popolo arcaico, nonchè una riflessione sulla morte e sulla vita.

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