domenica 19 febbraio 2017

Jadwiga Maurer, “Controfigure” ed. 2012

                                   Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
          Shoah
          il libro ritrovato

Jadwiga Maurer, “Controfigure”
Ed. Giuntina, trad. Laura Quercioli Mincer, pagg. 211, Euro 14,00

Titolo originale: Sobowtóry Opowiadania zebrane

Al di sopra dei frammenti di discorso si sentiva lo sventagliare della camicia azzurra di Władek. Lo guardavo e sentivo chiaramente che stavamo scivolando insieme sul fondo del tempo. Così tante cose ci univano, noi che vivevamo ancora ma in realtà non c’eravamo più. Nessuno dei vivi ci conosceva più, nessuno si ricordava più di noi. Ma troverete informazioni che ci riguardano nelle pagine dei saggi di storia polacca.

    Tra i tanti libri che escono puntuali, ogni anno a gennaio, per il Giorno della Memoria (ricorrenza istituita nel 2000 per ricordare le vittime del nazionalsocialismo e del fascismo), “Controfigure” di Edwiga Maurer occupa un posto particolare. Nel racconto intitolato “Enclavi”, che fa parte della raccolta, la scrittrice, parlando di sé e di quelli della sua generazione che erano bambini durante la guerra, dice: “Ora, nel cinquantesimo anniversario dell’insurrezione del ghetto di Varsavia, mi accorsi che non erano scherzi. Ci trovavamo sulla linea del fronte.” Quello che Edwiga Maurer vuol dire è che sono morti, o sono prossimi a morire perché molto anziani, tutti coloro che hanno vissuto l’esperienza atroce dei campi di sterminio nazista, quelli che potevano dire ‘io c’ero’ mettendo a zittire chi era riuscito, in qualche maniera, ad evitare il peggio. Come Edwiga Maurer stessa, nata nel 1932, che era stata nascosta in un convento di suore dove aveva imparato il catechismo insieme alle bambine cattoliche. Ecco, ora che le generazione più vecchie sono scomparse, la linea del fronte si è fatta più vicina; la guerra, che era loro proprietà esclusiva, adesso è dei più giovani, la testimonianza tocca a loro, è loro responsabilità.
ghetto di Varsavia
Ma questo fa sì che i racconti di Edwiga Maurer siano diversi dalla narrativa della memoria. Perché non si parla mai direttamente della Shoah e dei campi di concentramento, anche se mai ci viene permesso di dimenticarcene- sono nello sfondo, nello sferragliare dei treni che passano e di cui si dice, ‘portano via gli ebrei’, così come si potrebbe dire che trasportano cassette di arance, sono nei braccialetti che le donne mettono al polso per nascondere il tatuaggio del numero, nei morti suicidi (e pensiamo a Primo Levi), nell’ossessione per l’aspetto fisico (da che cosa si riconosce un ebreo? il colore dei capelli è importantissimo), infine nella sensazione- anzi, nella certezza- che il mondo sia debitore agli ebrei.

     Di che cosa il mondo sia debitore agli ebrei affiora nella serie di racconti ambientati nel campus universitario americano dove approda il personaggio che riflette, almeno in parte, la scrittrice stessa. Gli ebrei polacchi si aspettano che gli venga dato il visto di immigrazione, una borsa di studio, un posto di lavoro, un alloggio. E gli studenti delle storie che si svolgono a Monaco di Baviera non sono molto diversi. Sia negli Stati Uniti sia a Monaco formano quasi degli enclavi, come quelli dei pellerossa d’America o dei neri di Harlem a cui la scrittrice infatti paragona gli ebrei. A Monaco sono un Gruppo che si ritrova nella mensa universitaria. Sembrano esistere in quanto Gruppo, tanto che la scrittrice si domanda che ne sarà di lei il giorno che, uno dopo l’altro, se ne andranno via tutti. E’ un Gruppo impermeabile a chi ne è fuori- i tedeschi sono tollerati, non si parla di loro con odio ma i rapporti di amicizia sono impensabili. Nonostante che uno dei professori cerchi insistentemente una ‘riconciliazione’ che non ci può essere. Quando una ragazza del Gruppo sposa un tedesco, viene esclusa, dimenticata.
   I primi tre racconti parlano della bambina che era Jadwiga, rifugiata dapprima a Cracovia già Judenfrei, ripulita dagli ebrei che una degli insegnanti definisce ‘un corpo estraneo’, e poi nel convento in Slovacchia. C’è una compagna di classe di Jadwiga che pone domande scomode: che senso ha imparare i dogmi della religione quando, nel bel mezzo di una guerra atroce, la Chiesa non fa assolutamente nulla? E tuttavia ci sono un vescovo e un sacerdote che aiutano gli ebrei; c’è un polacco che si dà da fare per farli passare in Ungheria…

    Ovunque c’è, non vista, la morte: gli ebrei che le sono sfuggiti possono anche pensare che non verranno più afferrati dalle sue grinfie e invece no. Come nella variante polacca della Morte che aspetta il giardiniere a Samarcanda, la Morte può coglierti a Roma- e il fuggitivo della storia non sapeva che la taverna in cui alloggiava si chiamava, appunto, ‘Roma’.

   Semplicità e profondità, realismo quotidiano e lampi di poesia in queste storie raccontate da una ‘controfigura’ che ha raccolto la torcia della memoria.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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