giovedì 2 febbraio 2017

Jonas Hassen Khemiri, “Una tigre molto speciale (Montecore)” ed. 2009

                                                               vento del Nord
                                                               biografia
        il libro ritrovato


Jonas Hassen Khemiri, “Una tigre molto speciale (Montecore)”
Ed. Guanda, trad. Alessandro Bassini, pagg. 331, Euro 17,00

Titolo originale: Montecore. En unik tiger


   “Grazie, Abbas. Fortuna buona per il futuro. Spero tu avrai successo nella tua ambizione di non contagiare tuo figlio con l’estraneità.”
  “In che  senso, contagiare?”
  “Sì, perché il senso di estraneità sembra davvero vagare in eredità da una generazione all’altra, non trovi? E allo stesso tempo contagiare quelli che ti stanno vicino. Un po’ come una malattia infeziosa.”

   Montecore. Chi è, che cosa è Montecore? La prima parte del titolo, “Ritratto di una tigre molto speciale”, sarebbe già abbastanza intrigante di per sé, senza l’aggiunta di quel ‘Montecore’ che lascia spiazzati. A meno che la curiosità invincibile ci porti subito a fare delle ricerche, dobbiamo attendere la fine del romanzo per avere almeno qualche indizio sul suo significato, e peraltro anche lì il riferimento è a Google, lo stesso motore di ricerca che usiamo anche noi. Montecore era la tigre bianca ammaestrata della coppia di domatori Siegfried e Roy che si esibiva a Las Vegas. Aggiungo alcuni dettagli su cui la mente del lettore può lavorare, mentre si immerge nelle pagine di questo libro affascinante: Siegfried e Roy erano tedeschi (stranieri in America); Siegfried e Roy avevano un grande sogno; di Roy è la citazione all’inizio del libro, riferentesi allo stretto legame con gli animali, “Pensano che sia una strana tigre che cammina su due gambe”; Roy finì dissanguato per essere stato azzannato alla gola da Montecore- pare però che la tigre fosse intervenuta per difenderlo da una spettatrice invadente; nei giochi di ruolo inventati da Jonas (il figlio di Abbas Khemiri, grande protagonista in assoluto del romanzo) le manticore sono i mostri.

    La straordinaria tigre bianca è dunque Abbas Khemiri? Il romanzo di Jonas Hassen Khemiri è la storia di suo padre, ma è anche la storia di un uomo che, emigrato dalla Tunisia alla Svezia, è colpito dal ‘virus dell’estraneità’ e che lotta per non contagiare il figlio, è un libro sul rapporto di un padre con il figlio ed è, infine, una protesta e una denuncia del razzismo e della discriminazione. C’è qualcosa delle acrobazie degli animali del circo in “Una tigre molto speciale”, un romanzo pirotecnico e scoppiettante a più voci. Il primo a prendere la parola, o meglio la penna, ovvero a battere una e-mail sui tasti di un computer, è Kadir, l’amico di Abbas Khemiri. Scrive a Jonas: ha saputo che Jonas e suo padre non si parlano da nove anni e che ora Jonas sta pubblicando il suo primo romanzo. Che ne dice dell’idea di collaborare per scrivere una biografia di Abbas, diventato ormai un fotografo famoso?
Da questo punto in poi quello che noi leggiamo è un libro in fieri, composto dalle e-mail di Kadir in cui ribatte e commenta ciò che Jonas deve avergli scritto, una narrativa in terza persona in cui Kadir racconta la giovinezza di Abbas in Tunisia (arrivato lì dall’Algeria in guerra) e il colpo di fulmine tra Abbas e Pernilla Bergman, i ricordi di Jonas che tuttavia non usa la prima, ma la seconda persona per dirci di un padre del tutto speciale, del tutto diverso dai padri dei suoi compagni. Il padre (anzi, ‘il pappo’) di Jonas non veste mai in giacca e cravatta, ha i riccioli neri e la carnagione scura, ha gli occhi scintillanti ed è sempre allegro. Il pappo ha fondato con Jonas il Duo Dinamico, coinvolgendolo nelle sue imprese (di scarso successo, per lo più). Il pappo non parla svedese ma il khemirico, un miscuglio di lingue con regole ed eccezioni (ad esempio, ‘niveizzare’ vuol dire spalmare una crema e se una cosa è liscia è ‘pernilliana’). Il pappo arriva a prenderlo a scuola urlando a gran voce, “Ma ciao vecchi scarponi!”. Ai ricordi di Jonas per ricostruire il passato si aggiungono le lettere che Abbas ha mandato a Kadir, e poi ci sono le note esplicative di Kadir a pie’ pagina- la costruzione del libro, il lessico usato nello scambio di lettere, le correzioni ad un testo che viene scritto in simultanea mentre lo leggiamo, ci fanno venire in mente l’eccezionale debutto di Jonathan Safran Foer, ma i personaggi, l’ambiente, la problematica sono talmente diversi che allontaniamo subito l’idea di una somiglianza.

    Abbas Khemiri domina il libro di suo figlio, è un personaggio strepitoso- d’altro canto non è forse riuscito ad incantare, lui che non ha né soldi né un lavoro, la bionda e alta svedese Pernilla che gli dà ben tre figli? Perché Abbas ha un sogno e lo persegue, contro tutti e contro tutto, e si rispetta sempre chi ha la forza di credere nel proprio sogno. Abbas vuol diventare un fotografo come Robert Capa e ci riuscirà, tra avversità e comiche disavventure. Intanto, però, il figlio che lo adorava, che lo seguiva come un’ombra, si allontana da lui e finisce per considerarlo un vigliacco, o un traditore.
Perché, mentre cresce l’onda del razzismo in Svezia, mentre aumenta la paura di essere aggrediti da teppisti di estrema destra, mentre si diffonde l’insultante parola ‘blatte’ per definire gli immigrati, padre e figlio si trovano su sponde diverse, quasi che il virus dell’estraneità fosse entrato nella famiglia stessa. Con dolore, dell’uno e dell’altro. Dolore così intenso che si tocca, perché, che cos’è “Una tigre molto speciale” se non una mano allungata verso il padre? Siamo poi sicuri che Kadir sia chi dice di essere?

E infine un’osservazione: quanto ci delude questa Svezia violenta e razzista!

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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